Capitolo 14

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P.O.V FILIPPO

Eravamo saliti quasi tutti sul palco per la presentazione, mancava solo Emma e l'ultima cosa che volevo fare in quel momento era guardarla o ascoltare la sua voce. Soprattutto perché sarebbe stata dura ignorarla.
Abbandonandomi sulla sedia, allungai le gambe e le accavallai all'altezza delle caviglie. Presi una penna e cominciai a disegnare cubi tridimensionali sul quaderno.
<<Mi chiamo Emma Muscat>>, cominciò lei, ma io continuai a tenere gli occhi fissi sulle linee che stavo tracciando.
<<La canzone è di Fabrizio de André La canzone dell'amore perduto>>
Aggrottai le sopracciglia. Emma ascoltava de André, io e quella ragazza avevamo molte cose in comune.
<<Quando ero bambina, alla sera mia mamma prendeva la chitarra...>>
Aveva un tono lieve, spontaneo, come se stesse parlando con una sua amica.
<<Mia madre quasi quattro anni fa è morta. Aveva il cancro. Mi sentivo insicura, avevo paura e non riuscivo più a cantare. Ne ero letteralmente terrorizzata. Per un anno mi sono rifiutata di farlo. Odiavo l'idea che lei non poteva più ascoltarmi. Poi un giorno...>>
Fece una pausa e io alzai la penna dal foglio, rendendomi conto che non avevo fatto altro che ricalcare sempre lo stesso cubo.
<<Stavo camminando per i corridoi e dall'aula di musica ho sentito la stessa canzone che suonava mia madre>>
Cominciai a nutrire qualche sospetto e il mio respiro si fece più concitato.
Quello non era un ricordo qualsiasi.
Lei prosegui << ho aperto la porta, ero curiosa di vedere chi la stava suonando, ed ho visto un ragazzo...non volevo essere scoperta quindi sono rimasta nascosta. Ma più ascoltavo quella canzone più mi sentivo vicino a mia madre, avevo capito che lei era sempre vicino a me. E come se la parte di me che era morta con mia madre fosse tornata a vivere>>
Non riuscii a trattenermi alzai lo sguardo e incontrai il suo. Il mio cuore...fu come se lei lo avesse afferrato e stritolato.
Emma.
Stava parlando con me...ero io quel ragazzo, mi ricordo perfettamente quel giorno...ero incazzato con tutti, avevo scoperto che mio fratello aveva incontrato mio padre una settimana prima che lui morì, aveva perdonato quel bastardo, dopo tutto il male che ci aveva fatto, ma anche questo non era bastato per alleviare il dolore che mio fratello provava, così mi chiusi nel aula di musica ed iniziai a suonare
<<Gli volevo dire grazie, perché anche se non lo sapeva, era grazie a lui che avevo capito che non potevo abbandonare la musica...>>
Una lacrima le rigò la guancia e io sentii un groppo in gola.
<<ma non era il ragazzo che pensavo, mi ha trattato male appena mi sono avvicinata a lui, non ha voluto neanche sapere cosa gli avrei voluto dire>>
Aveva le lacrime agli occhi e a me venne voglia di spaccare qualcosa.
L'avevo ferita. Ero uno stronzo del cazzo. E per quale motivo mi ero comportato in quel modo?
<<Ci ho provato altre volte ma con scarsi risultati e poi ci ho rinunciato>>
Mi guardò di nuovo e il suo tono di voce divenne ancora più deluso.
<< Tra un anno andrò via da questa scuola e anche lui rimarrà solo un ricordo>>
Strinsi i pugni ed ebbi la sensazione di essere rinchiuso in uno spazio angusto, dal quale volevo fuggire.
A stento mi accorsi che tutti la stavano applaudendo, anzi si stava sollevando una specie di ovazione. Io non sapevo che diavolo fare.
Emma fece un inchino, i capelli le ricaddero sulle spalle, e si profuse un triste sorriso. Come se si sentisse bene, ma in colpa, proprio per il fatto di sentirsi bene.
Mi alzai, e uscii dall'Auditorium, con addosso la sensazione di essere in una specie di maledetto tunnel. La gente si congratulava con Emma, ero avvolto da una specie di brusio. L'unico rumore che sentivo mentre camminavo lungo un corridoio era il battito del mio cuore.
Premetti la fronte contro la fredda parete fuori all'Auditorium e chiusi gli occhi.
Che diavolo mi aveva fatto quella ragazza?
Riuscivo a stento a respirare. Provai a costringere l'aria a entrarmi nei polmoni.
No, no....
Vaffanculo
Maledizione, Emma. Non farmi questo. Non fottermi il cervello.
Non sapevo più nemmeno io cosa avevo intenzione di fare. Volevo lasciarla da sola. Volevo dimenticarla. Ma poi non ci riuscivo.
Forse non desideravo altro che trattenere il fiato e respirare il suo odore fino a dimenticarmi chi ero.
Ma non potevo. Avevo bisogno di odiarla. Avevo bisogno di odiarla, perché se non avessi avuto qualcosa contro cui sfogare tutte le mie energie avrei di nuovo perso la testa.
<<Ci vediamo Filippo>>
Mi girai e ritornai in me. Era Simone a salutarmi e lei era con lui.
Mi guardava come se nemmeno esistessi.
Ficcai le mani nella tasca della felpa, per non far vedere che avevo serrato i pugni. Ormai era diventata un' abitudine quando ero in pubblico. Tenevo a bada il mio caratteraccio in modo che nessuno notasse cosa ribolliva sotto la superficie.
Tuttavia, osservandola incamminarsi lungo il corridoio, non potei fare a meno di infuriarmi.
Se ne stava andando con lui.
Dopo che mi aveva messo a tappeto
Avevo stretto i pugni talmente tanto che mi facevano male le dita.
<<Mi dai un passaggio?>>
Strinsi istantaneamente i denti e la frustrazione minacciò di trasformarsi in rabbia.
Non dovetti nemmeno voltarmi per capire che si trattava di Carmen.
Era l'ultima persona a cui avessi pensato, per cui sperati che cogliesse l'antifona e si togliesse dai piedi.
Ma poi mi ricordai che c'era una cosa che le veniva bene.
Mi girai, la presi per mano senza nemmeno guardarla in faccia e la trascinai verso il bagno più vicino. Dovevo sconfiggere quel senso di insoddisfazione e Carmen andava benissimo.
La scuola era deserta, erano andati tutti via. Entrai in una classe e mi infilai dietro un banco la feci sedere sopra di me. Lei ridacchiò, ma in tutta sinceritá, non me ne fregava un cazzo di chi fosse, di dove mi trovassi o che qualcuno ci vedesse. Avevo bisogno di sprofondare. Di andare cosi a fondo da non riuscire più a sentire i miei pensieri. Da non vedere più i suoi capelli biondi e i suoi occhi verdi.
Le aggredii la bocca. Non aveva un buon sapore. Ma non mi importava più di tanto. Non era una questione di godimento.
Le abbassai le bretelle della canottiera e il reggiseno fino alla vita. Era rimasta a petto nudo e io ne approfittai, mentre lei gemeva.
" Gli volevo dire grazie, perché anche se non lo sapeva, era grazie a lui che avevo capito che non potevo abbandonare la musica"
Stavo cercando di fuggire da Emma, ma lei mi aveva raggiunto lo stesso. Strinsi Carmen a me e inalai il profumo della sua pelle, desiderando di avere tra le braccia un'altra ragazza.
" ma non era il ragazzo che pensavo, mi ha trattato male appena mi sono avvicinata a lui"
Il cuore mi batteva fortissimo, come volesse schizzarmi fuori dal petto. Non riuscivo a calmarmi. Carmen mi attirò a se. Le misi le mani dovunque, sforzandomi di trovare una via di fuga.
Sforzandomi di ritrovare l'autocontrollo.
" Ci ho provato altre volte ma con scarsi risultati e poi ci ho rinunciato"
Palpeggiai il fondoschiena di Carmen e le divorai il collo. Lei genette e disse qualcosa, non capii cosa. Sentivo solo una voce nella mia testa e nè lei nè nessun'altra ragazza sarebbero riuscite a metterla a tacere.
" Tra un anno andrò via da questa scuola e anche lui rimarrà solo un ricordo"
A quel punto mi bloccai.
Rimasi senza fiato.
Finalmente avevo capito.
Non so se era per via dei suoi occhi colmi di lacrime o del tono della sua voce, Emma mi aveva amato.
<<Che succede tesoro?>>. Carmen mi aveva gettato le braccia al collo, ma io non riuscivo a guardarla. Mi limitai a starmene seduto li, ansimandole sul petto, cercando di illudermi almeno per una manciata di secondi di avere Emma tra le braccia.
<<Filippo? Che c'è? E da quando è iniziata la scuola che ti comporti in modo strano>>. Quella sua fastidiosissima vocetta. Perché la gente non capiva mai quando era il momento di starsene zitta?
Mi portai le mani al volto. << Alzati. Ti accompagno a casa>>, sbottai.
<<Non voglio andare a casa. È da un mese che mi ignori. Anzi, più di un mese>>. Si rimise la canottiera, ma non accennò a spostarsi.
Trassi un profondo respiro e cercai di calmarmi.
<<Lo vuoi o no, questo passaggio?>> le chiesi, con la classica espressione da prendere o lasciare.
Carmen sapeva che era inutile farmi domande. Non dicevo niente neanche a Einar e Simone, figuriamoci se avrei detto qualcosa a lei.
Quando arrivai a casa, il mio umore era persino peggiorato. Dopo aver lasciato Carmen avevo continuato a guidare senza meta. Avevo bisogno di sentire un po' di musica, sgombrarmi la testa e fare in modo di allentare la morsa che mi attanagliava il petto.
Volevo prendermela con Emma. Ignorarla, come facevo sempre. Ma non potevo. Non questa volta.
Non c'era modo di scappare dalla verità. Andare a una festa o stare con una ragazza non sarebbe bastato a distrarmi.
La verità era...che avrei voluto tornare indietro nel tempo, a quel giorno nel aula di musica. Indietro fino a quando si avvicinò per la prima volta per parlarmi, quando gli avevo risposto male. Mi sarei comportato in maniera diversa. Invece di allontanarla l'avrei ascoltata e poi avrei sepolto il viso tra i suoi capelli. Non avrebbe dovuto né fare né dire niente. Le sarebbe bastato starmi accanto e riempire il mio mondo.
Tornai a casa, sbattei la porta e gettai le chiavi sul tavolino.
Mi diressi in cucina e quando arrivai davanti al frigorifero, notai che mia madre ci aveva lasciato un biglietto attaccato su.
"Stasera io e Andreas non ci siamo. Ordinati una pizza. Ti voglio bene!"
Cominciai a prendere a pugni l'anta d'acciaio. Contrasti tutti i muscoli e continuai a sbattere il palmo sull'eletrodomestico.
" Tra un anno andrò via da questa scuola e anche lui rimarrà solo un ricordo"
Emma mi aveva fottuto il cervello. Perché non riuscivo a dimenticarla?
Mi fermai, sforzandomi di calmarmi, ma non ce la facevo. Mi voltai e salii su per le scale. Visto che mia madre non sarebbe tornata a casa, potevo tranquillamente tirar fuori la bottiglia di Jack Daniel's. Tuttavia quella sera avevo bisogno di evadere. Non potevo sopportare tutto questo. Non riuscivo a farci i conti, avevo bisogno di stordirmi.
Una volta in camera mia, recuperati le scorte che io ,Einar e Simone avevamo sottratto dalla cantina del padre di Simone e scelsi una bottiglia.
Mi tolsi la felpa e la maglietta, scalciai via gli stivali e la strappai, buttando giù diverse belle sorsate per annegare quella voce che mi riecheggiava nel cervello.
La volevo, volevo che facesse parte della mia vita. Ma che cosa diavolo le avrei detto? Di certo non potevo dimenticarmi di Simone. Non potevo. Decisamente no.
Mi riportati la bottiglia alle labbra, chiusi gli occhi, e degludii il grumo di bile che mi era salito alla gola.
Non c'era niente da dire. Io non era adatto a lei, meritava di meglio e Simone sarebbe stato alla sua altezza.
Tirai la bottiglia contro il muro. Cadde per terra e il whisky cominciò a versarsi sul pavimento.
Maledizione!
Uscii dalla mia stanza e scesi al piano di sotto, fuori di me. Presi a calci le sedie, strappai quadri e foto. Ridussi tutto in frantumi, distrussi tutte le foto in cui sorridevo, tutte quelle che davano l'impressione che fossimo una famiglia felice. In due ore buttai giù la casa da cima a fondo. Ero esausto.
A un certo punto mi resi conto di essere fradicio di sudore, intorno a me non c'era più nulla di integro.
Provai un senso di esaltazione. Nessuno poteva farmi male se ero io per primo a fare del male al prossimo. Ero come mio padre...e mi odiai per questo.
Beatemente calmo e stordito, mi parcheggiati nel portico sul retro con un'altra bottiglia di whisky e lasciai che la pioggia mi inzuppasse. Non so quanto a lungo rimasi li, ma dopo un po' mi senti di nuovo bene. A volte non è poi così male comportarsi come un bambino di cinque anni e rompere tutto. Alla fine avevo riguadagnato l'autocontrollo e me ne stavo seduto li ubriaco, godendomi la sensazione di quiete che mi aveva pervaso.
<<Filippo?>>.
Mi voltai e rimasi senza fiato.

Gli occhi del cuore (Iremma)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora