Connessioni

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Chester posò la cornetta nel suo apposito alloggio all'interno della cabina telefonica e il suono, nell'ambiente chiuso, risuonò assordante alle sue orecchie. Sobbalzò e si diede dell'idiota per quanto scombussolato fosse il suo cervello, talmente tanto, che perfino "CCC" taceva con gli occhi sbarrati e le ginocchia strette al petto rannicchiato in un cantuccio dei suoi pensieri. Sollevò lo sguardo sul lieve riflesso che permetteva la parete plastica della cabina, leggermente opaca di sporco e con la scritta verde "Telewhere" a tagliarla in diagonale per tutta la lunghezza. Eppure né l'opacità, né la scritta pubblicitaria, potevano evitare al filo dorato che continuava a muoversi e a indicargli la via, di scomparire. Di tanto in tanto, Chester lo vedeva scendergli fino agli occhi, prorompendo in un lampo giallo e oro che lo confondeva forse più di quanto non lo fosse già.

Era stanco e aveva il volto tirato, e in quel momento sentì quasi la voce del padre nella sua testa dire Chester forse è meglio che non segui le mie regole e ti fai visitare da qualcuno, ti vedo proprio male figliolo. Magari uno psicologo, ecco. Ma lui avrebbe voluto rispondere che c'era stato dallo psicologo, lo stesso filo l'aveva portato da lui, peccato che quello non lo avesse voluto aiutare. Non sapeva neanche perché avesse deciso di toccarlo in quel modo sulla testa e scatenando così la sua rabbia, ma in quel momento gli era sembrata la scelta giusta, era stato il filo forse a suggerirgliela, non ne aveva la minima idea. Fatto sta che, dopo averlo fatto, il nastro si era mosso in direzione della porta e poi giù, lungo le scale del palazzo che uscivano dall'ufficio del dottor Law.

Si era ritrovato così a girovagare per le strade di New York, seguendo quello spago d'oro prima verso un rivenditore di hot dog e poi verso vicoli e vicoletti nei quali non aveva rimediato molto, se non una buona dose di sguardi interrogativi dagli inservienti dei ristoranti che scaricavano gli avanzi nei contenitori per l'immondizia. Eppure, Chester, sebbene ormai fosse poco convinto da quel "filo d'Arianna", aveva continuato a inseguirlo come un toro pazzo a cui viene fatto sventolare d'innanzi un panno rosso. Si sentiva effettivamente ammattito e anche leggermente arrabbiato per come erano andate le cose quel giorno, ma sapeva, dentro di sé, che la via giusta era di continuare a seguire quella cordicella, anche se fosse l'ultima cosa al mondo che avesse fatto. La donna in cardigan, tra l'altro, era stata molto chiara al riguardo, bisognava seguirlo, era una cosa di importanza vitale. Vi-ta-le.

E così, intorno alla mezzanotte, era entrato nella cabina che lo spago d'oro gli aveva gentilmente indicato con volute sopraffine e sapendo bene chi dovesse chiamare, aveva fatto il numero della moglie. Peccato che a lei non era importato molto il fatto che fosse rimasto fuori a cena e che probabilmente non sarebbe ritornato per la notte, anzi, gli era sembrato perfino che la sua voce fosse divertita e sollevata. "CCC" nella sua testa si era per un attimo ripreso dalla profonda ipnosi di cui era caduto vittima e aveva urlato le sue scuse come un bimbo che viene messo di fronte alla verità. Perché Chester sapeva che Ellie non avrebbe mai dubitato di lui, non finchè "CCC" fosse rimasto sempre in agguato nella sua mente a farlo agire da sciocco e da bonaccione.

-Allora va bene, buona serata!- gli aveva detto attaccando il telefono con un sordo cinguettio e Chester era rimasto a dir poco inorridito. Perché, "CCC" o meno, il fatto di non avere nessuno a cui poter raccontare di quel maledettissimo filo dorato che aveva attaccato alla testa, lo stava (per usare un eufemismo) divorando dall'interno. Perfino lo psicologo, quel Jackson Law lo aveva mandato via e i bagliori dorati sulla parete plastica mentre continuava a guardare il suo riflesso, sembrarono accennare un assenso divertito.

Si accorse però che il filo incominciava a muoversi e, impalpabile come sempre, attraversava la porticina chiusa della cabina e si allungava oltre invitandolo a seguirlo. Chester abbassò la testa sconfitto , come se una sensazione di pesantezza gli si fosse piantata fra capo e collo e non volesse abbandonarlo. Peccato che, con ironia, pensò al fatto che il carico che si portava proprio fra il cuoio capelluto non fosse pesante, anzi, leggero e inconsistente.

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