~ Capitolo 9 ~

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ELVIN
Hanjie mi raggiunse e mi accompagnò fuori, l'aria gelida della notte mi perforava i polmoni, ma era niente in confronto a quello che provavo. Un' ombra scura, viscida, si era stanziata nel mio petto. "Stai bene?" Era una domanda stupida quella, come potevo stare bene, considerato che le mie mani si erano sporcate dal sangue del mio partner? "Ti accompagno a casa, non voglio che guidi in queste condizioni" continuò ignorando il mio silenzio.
"Voglio andare in ospedale" la interruppi, tenevo lo sguardo basso, l'unica cosa che i miei occhi vedevano, l'unica cosa che contava, era il denso liquido rosso sulle mie dita e la persona a cui apparteneva.
"Lo stanno operando" mi posò la mano sulla spalla "lo andremo a trovare domani, vedrai che starà bene"
'Vedrai che starà bene, che parole stupide. Non sta bene. Ed è colpa mia. Solo mia.'
"Tu non capisci" la guardai negli occhi "Voglio. Andare. In. Ospedale."
La donna mi fissó un attimo. Lacrime calde avevano riniziato a rigarmi le guance, non me ne vergognavo, non con Hanjie, in quel momento volevo solo svegliarmi e scoprire che era stato tutto un semplice incubo. Ma non lo era. Levi stava morendo davvero. E stava morendo perchè io non ero riuscito a proteggerlo. "Prima ti dai una sistemata, Elvin, non ti faranno entrare conciato cosí".
Tornai a casa, era tutto buio, distinguevo a malapena i contorni dei mobili, andai in bagno quasi alla ceca e mi spogliai.
L'acqua gelida mi scorreva lungo la schiena per poi cadere ticchettando, ma io non lo sentivo. Ero distante, la mia mente ferma alla villa, il mio cuore affianco a Levi. Ero un guscio vuoto. Un guscio vuoto sporco. Un guscio vuoto sporco del sangue della persona amata. Quella certezza mi colpì in modo doloroso. Lo amavo. Avrei dovuto capirlo prima. Quello che provavo per il corvino non era semplice affetto, come avevo creduto, era vero e proprio amore. Ma ormai era troppo tardi, oramai mi ero sporcato del suo sangue. Se fosse morto sarebbe stata colpa mia.
Mi strofinai le mani cercando di lavarle dal rosso. L'acqua divenne cremesi e richiamò alla mia mente lui. Il suo corpo esamine tra le mie braccia, mi era sembrato così fragile in quel momento.
La strada per l'ospedale la feci quasi senza vederla. Non riuscivo a concentrarmi su nulla di diverso da Levi, la mia mente richiamava continuamente sue immagini. A volte erano di quella sera, altre no. Non sapevo cosa fosse più doloroso: rivederlo coperto di sangue o mentre faceva un piccolo sorriso.
Quando arrivai in sala d'attesa iniziai a camminare avanti e indietro. Non riuscivo a stare fermo, dovevo, in qualche modo, scaricare l'ansia. Non potevo fare null'altro, però. Solo aspettare. Una lunga angosciante attesa.
Le ore passavano lente e io continuavo a camminare avanti e indietro, avevo un macigno sul petto che mi opprimeva. Avevo passato tutto il tempo a cacciare in dietro le lacrime con successo, fatta eccezione per qualche goccia salata che era sfuggita al mio controllo.
Era quasi l'alba quando un'infermiera attirò la mia attenzione sfiorandomi la spalla. "Mi scusi? È lei Elvin Smith?". Io annuii lentamente, spaventato da come si stringesse le mani in grembo. Dopo anni di interrogatori avevo imparato a riconoscere quei gesti tipici di una determinata emozione e quello era il gesto di chi stava per dare una pessima notizia. Il mio battito cardiaco aumentò. "Io.....dovrebbe venire con me.....per Levi Ackerman....."
La seguii per innumerevoli corridoi bianchi, confuso quanto spaventato. Ci fermammo davanti ad una porta dipinta d'azzurro, a bloccare l'entrata un uomo sulla cinquantina in camice bianco. Aveva un'espressione cupa. Nonappena ci vide arrivare si spostò di lato e mi lasciò entrare. Era una tipica stanza d'ospedale, bianca, spoglia, solo una sedia affianco ad un letto. Quello che mi importava, però, era chi stava nel letto. Levi era perfettamente immobile, le lenzuola fino a metà petto, le braccia nude adagiate lungo i fianchi. Il volto, che era sempre stato pallido, ora era cinereo e le occhiaie erano molto marcate. Una mascherina gli copriva naso e bocca e dei tubicini sbucavano da sotto il camice e si collegavano a macchine a me sconosciute. Il dottore, prima di andarsene, diede conferma ai miei sospetti "È in coma"

AlyssaMolin04

P.S
E con questo siamo certi che sono malvagia e sadica.
So che è un po' corto e sono in ritardo, mi dispiace
Ciao♐
P.P.S

Un grazie speciale va a eruer08 che mi ha aiutato a rendere questo capitolo più deprimente. 😘

F.B.I loveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora