Una Storia Infinita.

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Da lettore incallito quale sono, posso dire di amare tutto di una buona storia, e di odiare tutto di una brutta storia.
Ma ci sono delle eccezioni. Se c'è una cosa che odio di una bella storia, è il finale. E viceversa si può dire per una brutta storia. Anzi, a dirla tutta, li odio in entrambi i casi. La parola "fine" mi ha sempre fatto gelare fino al midollo.
Perché?
Sa di morte. Quando una storia finisce, muore. Tutte le emozioni che ci ha fatto provare, le risate e le lacrime, tutto scivola via con lei. Non importa se la rileggi. Quelle sensazioni non torneranno. Si può dire che la prima volta che apri un libro, è l'ultima. Le altre volte, sono solo un tentativo di riportare indietro qualcosa di morto e sepolto, che continuiamo strenuamente a cercare. Si può dire lo stesso per la musica, la prima volta che ascolti una canzone è unica.
Non a caso libri e musica vanno d'accordo. Si può dire che la mia vita è fatta di colonne sonore e grandi storie. Ogni libro della mia vita è legato a una canzone particolare.

Ma stiamo andando fuori tema.
Per lo stesso motivo, nei dialoghi dei miei personaggi, odio usare il punto fermo.
È freddo. Un punto di non ritorno. Chiuso. Terminato. Non c'è più nulla da dire. Preferisco di gran lunga i punti di sospensione: nascondono emozioni, sono fatti di cose non dette, anticipano un continuo al discorso. Possono celare affermazioni, domande, dubbi, pensieri. Sono caldi. Sono vivi.
Mettere un punto ad una storia è, per un lettore, un atto doloroso. Significa lasciarsi alle spalle tutto ciò che si è provato davanti alle parole contenute in quelle pagine. Il dopo è una famelica caccia a qualcosa che possa suscitare le stesse emozioni. Più libri leggi, più la fame aumenta. E il cibo scarseggia. Il nostro cuore d'inchiostro si indurisce, e abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo. Smettiamo di stupirci davanti a storie che prima adoravamo. Diventiamo difficili da accontentare. Vogliamo sempre di più.
Ma per uno scrittore....mettere fine ad una storia equivale a seppellire un amico. Un commilitone. Un compagno. Un fratello.
In parole povere, un pezzo della propria anima. Perché in ogni personaggio che inventano, vi è un frammento della loro personalità. Un vero scrittore piange, ride e si arrabbia assieme con i propri personaggi. Si infuria davanti alle scene più irritanti, sorride come un ebete di fronte alle battute stupide che lui stesso scrive, si commuove quando mette nero su bianco le loro ultime parole. È come se vivesse in prima persona quello che scrive. Chiudere il proprio libro, vuol dire sigillare nel passato il mondo in cui abbiamo vissuto in quelle febbrili ore di lavoro, di mattino presto o a notte fonda. È gettare via una vita. L'unica consolazione che gli scrittori hanno per questo grande dolore, l'unico effettivo vantaggio sui lettori, è la speranza che un giorno quel libro capiti in mano ad una persona, e le faccia vivere tutto quello che lo scrittore ha provato. Scrivere storie è forse il lavoro più altruista di tutti. Alla fine, il piacere di uno scrittore consiste nel dar piacere ad altri.
Nel piantare il germe della vita nel cuore di uno sconosciuto. Nel far vibrare la sua anima come corde di violino, e suonare ancora la melodia che lui stesso ha a sua volta suonato.
Da scrittore e lettore, ho provato entrambe queste pene. Ho letto libri fino a quando non avevano più nulla da dirmi, ascoltato canzoni fino a quando il battito del mio cuore non accelerava più. Ho provato il freddo, tremendo senso di perdita che si prova quando qualcosa di grande finisce.
Quando sul fondo del vaso non rimane neanche la speranza, cosa rimane?
Disperazione?
No, senza speranza non può esserci disperazione.
Rimane il vuoto. Un buco che più cerchi di riempire più si ingrandisce.

La mia domanda è sempre stata questa: come riempi un buco che si allarga all'infinito?
Ci ho messo tanto a trovare una risposta. Dopo aver visto (e messo) la parola fine a tante cose, ci sono arrivato.
Per riempirlo, serve una storia infinita.
Ma come fare? Più di una volta ho provato il desiderio di prendere una storia che ha raggiunto il proprio termine, e ridarle vita. Ma spesso le storie nate in questo modo non sono nient'altro che l'ombra, il guscio vuoto dell'originale. E anche ammettendo che mantengano originalità e freschezza, prima o poi il materiale finisce. Si arriva a un punto dove non si ha più nulla da dire, niente da raccontare. Tentare di allungarla ulteriormente è inutile, uno sforzo agonizzante per salvare qualcosa che non può essere salvato. Si ritarda solamente l'inevitabile, come quelle persone ridotte a pezzi di carne senz'anima attaccate a una macchina, senza più possibilità di svegliarsi.
Un atto egoista e insensato.

La prima soluzione che mi è venuta in mente per generare storie infinite sarebbe affidarle a persone diverse. Nel senso, una volta che lo scrittore finisce le idee, la passa a qualcun altro che continua, e così via.
Ma i problemi di questo sistema sono molteplici.

Primo: per fare qualcosa del genere, sarebbero necessari scrittori infiniti. Cosa di cui purtroppo, specie al giorno d'oggi, siamo carenti.

Secondo: anche avendo a disposizione scrittori infiniti, non è detto che si posseggano idee infinite. La fantasia umana ha un limite.

Terzo: anche ammettendo idee e persone infinite, cosa garantisce la continuità, fluidità e qualità invariata della storia? Niente. Si potrebbe partire da una storia d'amore e andare a finire in un romanzo di fantascienza, o peggio. Una storia creata così assomiglierebbe al mostro di Frankenstein: un cadavere assemblato da pezzi diversi senza alcun legame fra loro. Destinato ad essere incompreso.

Quindi questa soluzione non è una soluzione definitiva, ma un mero tampone.

Ma ecco che ho avuto l'illuminazione. Per creare una storia infinita, basterebbe unire tutte le storie del mondo. Infiniti personaggi che si relazionano fra loro. Infiniti mondi che si scontrano e si incontrano. Amori e odi che nascono, sbocciano e muoiono contemporaneamente miliardi di volte. Infinite possibilità. Infiniti risultati.

Si potrebbe obiettare che per quanto ne sappiamo, tutte le storie del mondo non sono infinite.
È qui il punto. Di storie ne nascono continuamente di nuove. Non si è mai a corto di storie. Crei una trama autonoma, che piano piano si unisce al corso del tutto. E non ci sarebbe necessità di infiniti scrittori: confrontandosi su trame diverse, personaggi diversi, infiniti, verrebbero fuori infinite idee su come gestire i rapporti fra loro.

Tre problemi su tre risolti. Ed ecco una storia che non conosce limiti. Che non obbedisce a regole di genere o agli standard di un'epoca. I classici ottengono un tocco di novità e le storie nuove hanno delle solide basi su cui crescere forti. Inoltre, visto che queste storie appartengono a universi differenti, la continuità delle singole trame non verrebbe intaccata. Tutto convergerebbe nell'unica grande trama della Storia Infinita. Che non risponde a nesssuno se non a se stessa. Una continuità e una coerenza staccate dalle storie che la compongono, eppure intrinsecamente legate.

Questo è il sogno che mi porto dietro. Un'utopia, forse, troppo ambiziosa anche solo per essere concepita.
Ma sono sicuro che avrei la benedizione di ogni lettore e lettrice, scrittore e scrittrice. Perché capirebbero.
Capirebbero perché lo voglio fare. E saprebbero che la nobile causa di chiudere per sempre la ferita sanguinante che la fine di una storia genera è qualcosa per cui vale la pena lottare.

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