The kidnapping

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Nella sala d'attesa si dilettava in aritmetica moltiplicando mentalmente alcune grosse cifre. In quell'esatto momento aveva ventitré anni e sette mesi. Ventitré per trecentosessantacinque faceva ottomilatrecentonovantacinque. Addizionò dodici giorni per gli anni bisestili ed ottenne ottomilaquattrocentosette.
Ottomilaquattrocentosette occasioni perdute, vuoto e cupo delirio, aspettative infrante e tormenti senza fine. Ottomilaquattrocentosette differenti personalità, irrefrenabili sorrisi, imprese eroiche ed attimi di eterna felicità dall'ignota origine. Se per alcuni la vita era opera d'arte, aveva reso la propria orrore. Apparteneva alla categoria di persone che non stanno mai al loro posto, semplicemente perché non hanno un posto. Di coloro che si tengono dentro le cose sbagliate, con cui vorresti comunicare per ore, però le parole giuste non le hanno ancora inventate.
Aveva la mente tartassata, lo sguardo bisognoso di silenzi. Sapeva di non avere futuro ma se ne sentiva perseguitato, perché un fiore avvizzisce se pensa al domani. La tela del suo mondo era grigio ed inquietudine, si rifletteva nell'intensità di dolore che portava addosso come una vecchia felpa consumata dai lavaggi. Si ritrovava sospeso in un vuoto impenetrabile, simile all'oscurità che regna in un ripostiglio dopo aver spento la luce. La confusione e l'imprevedibilità erano sue amiche.
L'ultimo gruppo ad entrare nell'auditorium arrivò compatto. Si trattava di tredici brillanti giornalisti preceduti dal vicedirettore del New York Times. Uomini e donne dalla puzza sotto il naso e le manie d'ambizione. A Maynard interessava uno di loro, ed era su di lui che aveva riversato tutte le attenzioni in una settimana. Pedinarlo fu indicibile semplicità. Sembrava condurre una quotidianità schematizzata: non sforava mai di un minuto durante gli appuntamenti e spesso, vi si presentava anzi con largo anticipo.
La riunione volse a termine alle due. Il giovanotto preferì spostarsi sull'esterno dell'edificio per non dare nell'occhio. Quanto meno coltivava la consapevolezza di essersi schierato - daccapo - dal lato sbagliato della giustizia.               
        
"𝐋𝐚 𝐦𝐢𝐚 𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚̀ 𝐟𝐢𝐧𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐢𝐧𝐜𝐢𝐚 𝐥𝐚 𝐯𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚."               
        
Martin Luther King aveva ragione, ma Maynard era un collezionista di equivoci. La rivoluzionaria contraddizione della realtà.
Scorse un nascondiglio tra un isolato e l'altro, proprio vicino al furgoncino che una conoscenza in comune con il dottor Wolanski gli aveva prestato in onore del succulento avvenimento da prima pagina. Le gambe del signor Lavan lo avrebbero tratto dritto nella tana del ragno.



Non era mai stato una persona ingenua, Rafael.

A stento si fidava delle persone e quando lo faceva, questa fiducia non veniva mai riposta completamente.
Complice un passato tormentato dalla figura paterna, il reporter aveva ormai da anni deciso che una spessa barriera d'indifferenza e freddo distacco, si sarebbe sempre frapposta tra lui e chiunque altro.
O almeno, questi erano stati i suoi propositi fino a che una persona - che poi si sarebbe rivelata la più importante della sua vita - non riuscì ad abbattere questo spesso ed imponente muro.
E con lui, anche quella diffidenza.
Piano piano, infatti, la vita sembrò assumere colore.
Nuove sfumature si aggiungevano giorno dopo giorno a dar luce a quella scala di grigi che era stata la propria esistenza fino a quel momento.
Ed ora, ecco che il mondo gli appariva completamente diverso.
Gli uccellini avevano preso a cantare tra gli alberi, i fiori, d'improvviso, si fecero carichi di profumo.
E nelle persone iniziò a vedere del buono, probabilmente anche dove questo non era presente o troppo nascosto in profondità, per percepirlo.
E fu proprio ciò che accadde quel giorno.
Ingenuo, il cubano, pensò che un giovane ragazzo con tanti problemi, potesse in realtà nascondere dentro di sé un bambino spaventato, in cerca di aiuto.
Motivo che lo spinse a raggiungerlo nel luogo prestabilito, ignorando completamente quel campanello d'allarme che anche il fidanzato aveva accentuato in quel breve scambio di battute effettuate tramite telefono.
Stringeva ancora l'oggetto tra le mani, intento a rispondere all'ultimo messaggio da egli inviato, quando gli occhi si scontrarono contro il ceruleo delle iridi altrui.
Un sorriso comparve d'istinto sul suo volto.                      

«Maynard, spero di non averti fatto aspettare troppo. »



« Affatto. E' un uomo di parola. »  
                           
Emerse dal vicoletto ombrato per via delle balconate condominiali, che trapelavano soltanto sottilissimi raggi solari. Superò di qualche passo l'adulto dagli abiti formali e volse occhiate sia a destra che a sinistra. Aveva imparato la lezione dal primo crimine commesso. Galina, la stessa donna coinvolta nel nuovo pasticcio, era stata chiara: nessuna traccia, nessuna prova. Coleman si era stampato nella mente la formula che l'avrebbe reso fantasma, infilando allora dei guantoni in pelle nera.
Fu abbastanza vicino da apparire indubbiamente una minaccia agli occhi di Rafael. Un cittadino colto alla sprovvista non sarebbe mai stato in grado di affrontare una situazione simile, soprattutto se onesto e bonario come si era rivelato l'impiegato della celebre testata giornalistica americana.                                                
« Innocente quanto utile alla causa. Accetti in anticipo le mie scuse, Rafael. E' solo il malcapitato del contesto. » 
                          
Gli strappò la ventiquattrore dalle mani sferrandogliela contro per creare subbuglio e approfittare dell'imbranataggine fisica prossima. Lo colpì al naso con un forte pugno che lo gettò sull'asfalto. Gli stivaletti neri picchiarono rozzamente la testa. Lavan si ridusse ad un piccolo ammasso caldo di carne, e rantolò fino a perdere i sensi.
Lo afferrò speditamente per i piedi trascinandolo sul retro del veicolo. Il vero sforzo si presentò mentre lo sollevava per trasferirlo nel bagagliaio e mettersi alla guida.
Il primo pesce aveva abboccato. 



Non badò all'aria sinistra del ragazzo, ancora intento a digitare quell'ultimo messaggio in risposta al fidanzato.

Questo, almeno, fino a quando non lo vide spostarsi alle sue spalle.
Accadde tutto nel giro di pochi secondi.
Strane parole dal più giovane pronunciate, gli fecero correre fastidiosi brividi lungo la spina dorsale. Brividi di avvertimento, brividi di paura.
Paura che si fece viva, negli occhi del cubano. Non fece tempo a reagire, quest'ultimo.
La borsa gli fu strappata di mano e poi lanciata addosso, e subito dopo, un pugno in pieno viso.
La sorpresa venne sostituita dal sapore metallico del sangue ad invadergli la bocca. Sangue che prese a scorrere copioso anche sul suo volto, a seguito di quei successivi calci alla nuca.
Tramortito, privo di forze, rimase inerme al suolo. Il cellulare gli scivolò dalle mani, la chat del fidanzato ancora aperta, in attesa di un messaggio che non sarebbe mai arrivato.
Fu a lui, che il reporter rivolse i suoi ultimi pensieri, prima di perder conoscenza.

La vista si annebbiò e quegli occhi color del ghiaccio, privi di emozioni, furono l'ultima cosa su cui le iridi verdi e spaventate del cubano si posarono.      


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