7.Il primo appuntamento.

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«Stavamo dicendo che....devo studiare. Mass..ehm..professore, forse è meglio che vada.»

Il suo sguardo divenne improvvisamente triste, cupo. La luce che emanavano i suoi occhi, sembro affievolirsi mentre si allontanava dal mio corpo.
Dio solo sa quanto avrei voluto baciarlo,  stringerlo, fare l'amore con lui, fino allo sfinimento, ma diamine, era il mio professore e tutto ciò era sbagliato.

«Passa una buona giornata, Rebecca»

Sussurrò con un filo di voce, prima di raggiungere la porta di casa e richiuderla alle sue spalle.

"Brava Rebecca, cosa volevi fare eh? Portartelo a letto? Lo sai che non si può, lo sai che l'anno prossimo intraprenderai il tuo percorso universitario e non lo rivedrai mai più"

Rieccola la mia vocina interiore, che con il suo solito tempismo, sopraggiunse, facendomi scoppiare un tremendo mal di testa.
Cercai di scacciare ogni tipo di pensiero che riguardasse Mainardi, e dopo aver recupetato il cellulare, salii velocemente le scale e presi il libro, iniziando così a studiare, ripetendo gli appunti che LUI aveva spiegato con tanta cura.
Ricordo perfettamente: voleva che fossero integrati alla spiegazione già presente sul libro.
Passai gran parte del pomeriggio con la testa china sui libri, forse perché così, avrei evitato di pensare, ma il ricordo delle sue parole, delle sue labbra che sfioravano le mie, fu decisamente più forte.
Ormai esausta, persino di tenere gli occhi aperti, andai a sdraiarmi. Avrei passato il giorno del mio compleanno su un letto, a pensare, con la casa completamente avvolta nel silenzio. Silenzio che venne interrotto dalla vibrazione del cellulare; una chiamata,  da un numero sconosciuto.
Molto probabilmente, mamma o papà che mi chiamavano da chissà quale telefono.

«Pronto?»
«Rebecca, sono io»
«Io, chi?»
«Massimo»

Scattai in piedi dal letto, come se me lo fossi ritrovato davanti

«Professore, come ha avuto il mio numero?»
«Ho chiesto in presidenza, ho semplicemente detto che ti serviva una mano per la ricerca e così mi è stato dato.»
«Mi..si mi dica»
«Passo a prenderti tra dieci minuti. E non accetto un no.»
«Come passa a prendermi? E per andare dove?»
«A tra poco»

Riagganciò, senza lasciarmi il tempo di aggiungere altro.

«Ok Rebecca, calma, respira, sta arrivando»

Mi ripetei quella frase una serie spropositata di volte.
Aprii l'armadio ed osservai il vestito nuovo. Non sapevo, però, dove sarei andata, ma si trattava comunque di un appuntamento con lui e un Yves Saint Laurent, non poteva di certo essere sbagliato. Lo indossai e sistemai il trucco, sciogliendo poi la crocchia, così da liberare i lunghi capelli. Feci giusto in tempo a prendere la borsa che sentii una macchina accostarsi.
Scesi le scale e raggiunsi la porta, camminando abilmente sui tacchi vertiginosi e una volta che il campanello suonò, mi feci coraggio ed aprii.
Restai quasi senza fiato, quando me lo ritrovai davanti in smoking con uno dei suoi sorrisi migliori.

«Me lo sentivo che lo avresti indossato» disse osservando il mio vestito.
«non immaginavo, però, che ti stesse così bene»

«La ringrazio, davvero, ma... Posso sapere dove mi porterà?» chiesi, dopo aver chiuso la porta d'ingresso.

«Dammi del tu, non sono poi così vecchio sai?» sorrise, prima di portare la sua mano sulla mia, fino a lasciare che le nostre dita si intrecciassero.

«Scusi..scusa, ma abituata a vederti in altri ambiti, mi ci vorrà un po' per abituarmi» esclamai mentre stringevo la sua mano,  arrivando alla Mercedes.

Lasciai che mi aprisse la portiera ed entrai allacciando la cintura. Stavo rivivendo quello che era successo poche ore prima, anche se, la situazione, era ben diversa.
Dopo aver messo in moto, ingranò la marcia, dirigendosi verso il centro.
Avrei voluto rompere quel silenzio imbarazzante, ma ogni cosa che avrei potuto dire in quel momento,  sarebbe risultata decisamente stupida.
Sgranai gli occhi, non appena lo vidi parcheggiare davanti al ristorante.

«Questo, questo è uno dei ristoranti più belli di tutta Milano»
«Ci sei mai stata?» mi chiese, mentre si liberava dalla cintura, senza però, smettere di guardarmi.
«Una volta, ma ero piccola, mi ci portarono i miei nonni a festeggiare il Natale, dato che i miei, ovviamente, non c'erano» risposi, abbassando per un secondo lo sguardo.
«Beh, stasera, sarà diverso. Siamo qui per il tuo compleanno ed ho prenotato l'intero ristorante» disse portando l'indice sotto il mio mento, per far sì che i nostri sguardi si intrecciassero di nuovo.
Tutto ciò mi sorprese. Com'era possibile che un quasi sconosciuto, capisse perfettamente ciò di cui avevo bisogno?
Da perfetto gentiluomo, venne ad aprirmi per l'ennesima volta la portiera, per poi prendermi sotto braccio fino all'entrata del lussuoso ristorante.
Un uomo, vestito in maniera impeccabile, si avvicinò al mio accompagnatore.

«Buonasera, sono il titolare e stasera sarò io ad occuparmi di voi, accomodatevi e per qualsiasi cosa, sono a vostra completa disposizione»

Massimo sorrise e strinse la presa sul mio braccio, prima di rispondergli, ma senza guardarlo. I suoi occhi, erano fissi su di me.

«Voglio solo che questa serata sia indimenticabile»

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