Mi volete bene, lo leggo nei vostri occhi.
Lo leggo nei vostri occhi che condividete la mia situazione, lo leggo nelle vostre espressioni e nei vostri gesti.
Il "voi" che sto usando in questo momento è un po' più ristretto, è un po' un "noi" di quelle che ci siamo sempre state, un "noi" di legami più viscerali, inevitabilmente. Abbiamo sviluppato quella capacità di capirci un po' di più, di leggerci negli occhi oltre il "va tutto bene". È il "noi" che mi porta a pensare che almeno voi abbiate capito qualcosa in più di me, abbastanza da conoscere del valore e da avere un concetto simile di merito.
La sensazione che si viene a creare nel mio cuore quando mi parlate in tono di fiducia è di pura sincerità. Io so che pensate quel che dite, io metterei la mano sul fuoco su ognuna di voi in contesti di questo tipo. E dentro mi scaldo completamente anche se fuori ci sono 0 gradi, perché capisco che la fiducia non ha valore, non c'è niente che possa darti più sollievo. La sensazione di cui parlo è la voglia di ricambiare questi piccoli gesti con altri molto più grandi, per paura di non riuscire a pareggiare il valore che invece hanno avuto per me. Ci sono poche cose che non farei per voi.
Il motivo per cui vi voglio bene non è che anche voi mi volete bene, perché solo questo non basterebbe. Nei vostri gesti non leggo solo l'affetto, ma la fiducia e il senso di condivisione. Capisco che i miei tentativi di aprirvi la porta del mondo delle mie emozioni non solo sono andati a buon fine, ma hanno anche trovato dei cuori con la sensibilità di accogliere ciò che sento. A quel punto potreste fare molte cose con la parte di me che vi ho mostrato: gettarla perché non vi importa, ma in tal caso non l'avreste nemmeno accolta; fingere perché ciò che penso è stupido, ma voi i vostri occhi sono trasparenti e poi non lo fareste mai, ci conosciamo troppo bene; dirmi la miglior frase che vi suggerisce in quel momento il vostro cuore e, potete starne tranquille, sarà sempre oro colato per il mio. Ed è proprio questo che fate sempre, perché ormai è un'abitudine. Sappiamo precisamente di cosa abbiamo bisogno e non ci vergogniamo a chiedere aiuto, perché non ci rifiuteremmo mai a vicenda. Così finiamo a fare passeggiate infinite attorno ad un parcheggio, in un'altra regione, abbracciate, mentre facciamo la fortuna delle aziende produttrici di fazzoletti di carta. O semplicemente nello spogliatoio. Oppure in corridoio, in quell'angolo poco utile dopo la nostra porta. L'elenco sarebbe lunghissimo, ma noi abbiamo imparato a passarne tante negli ultimi anni e quello che si è creato non potrà mai essere spiegato solamente con un elenco di gesti reciproci.
È la capacità di darsi di più, di dirsi la cosa giusta nel momento giusto, di sorridersi da lontano nei momenti opportuni, di avvicinarsi con le braccia aperte, così invitanti che è impossibile non affondarci, quando si è tristi o se ne ha bisogno. Il tutto senza mai la paura di essere inopportune, perché se il tuo cuore ha questo stimolo non può essere sbagliato.
La nostra è empatia.
Le diverse situazioni che affrontiamo nella nostra vita ci permettono, a volte, di conoscere di più o altri aspetti delle persone. Tutto quello di cui ci rende capaci questo stato emotivo, l'empatia, mi ha permesso di approfondire qualcosa di cui non avevo mai avuto certezze, qualcosa che ha sempre rappresentato un timore. Ora ho una sicurezza: quella che, non solo per meriti affettivi, mi sono guadagnata. Tale sicurezza è la consapevolezza di me, la fiducia in quello che potrei fare. Per questo quando vedo che anche voi capite e condividete la sensazione nei miei occhi, che insieme ai vostri diventano così uno specchio, sento che avete qualcosa in più. Perché se non sono l'unica ad avere certe modalità di pensiero, allora per un attimo tutto il contesto perde di importanza. Voi importate di più, voi siete in gradi di capire.
Voi non siete speciali perché mi volete bene, anche se essa stessa si tratta di una condizione per niente scontata, ma siete speciali per il nostro amore empatico.