Non si poteva fuggire da Iskawan.
Rakesh lo sapeva. Lo aveva sempre saputo. E non solo a causa della divorante oscurità del Nulla che estingueva ogni luce del luogo, eccetto qualche fuoco fatuo qua e là, Iskawan era una città-prigione, da cui nessuno era mai riuscito a scappare. La vita in quel posto dimenticato dagli dei non era altro che una ciclica esistenza vuota. Era in grado di far impazzire anche il più forte degli uomini nel giro di pochi mesi. Era forse quella la ragione per cui Rakesh sedeva sul parapetto delle mura.
Minacce ignote e buio eterno si annidavano a nord, est e ovest di Iskawan. Spingersi a sud sarebbe stato altrettanto rischioso ed inutile, nessuno poteva fuggire dal Condotto. Eppure...nella inquietante e oscura massa che costituiva il Nulla, all'orizzonte c'era qualcosa ad attirare la sua attenzione. Avrebbe voluto essere lì e al contempo si malediceva per averlo pensato. Un giorno, promise a se stesso, Fuggirò. Pensare a quell'obbiettivo, gli fece tornare in mente il suo passato. La sua vita prima di Iskawan.
La sua ragione per evadere.
Rakesh lasciò dondolare una gamba aldilà delle mura, come a voler claciare quel vuoto eterno mentre osservava le terre oscure. Proprio come Iskawan, il Nulla era avvoltoda un'imperante cappa di tenebre. Un'oscurità che nascondeva ogni cosa. Colpe. Segreti. Desiseri.
Vita.
Abbassò lo sguardo sul dorso delle sue mani, rese visibili solo grazie alla presenza di un fuoco fatuo che volteggiava sopra la sua spalla. Pelle così pallida da sembrare trasparente ricopriva le sue ossa sottili. Venature blu si intravedevano sotto la carne, diramandosi come un fiume.Espirò profondamente e prese a fissare un lato delle alte mura di pietra. Nulla. Non riusciva a vedere mai al di sotto di esse. Nulla che non fosse un'imprecisata, data l'oscurità, altezza che lo avrebbbe condotto ad una morte certa in caso di caduta. Da qualche parte, sotto di lui, dovevano esserci le Porte del Sud.
E anche se fosse riuscito a vedere cosa c'era lì sotto? Cosa sarebbe cambiato?
Anche se avesse raggiunto il fondo, avrebbe significato solo un passo in più verso la libertà, ma non che fosse davvero libero. Ci sarebbe stato un altro ostacolo da superare: avrebbe dovuto raggiungere l'Impero, un'impresa improbabile che avrebbe richiestol'attraversamento del condotto, il ponte di roccia nera che collegava Iskawan all'Impero. Oltre quel ponte, risiedevano coloro incaricati di sorvegliare il regno dalla corruzione delle terre oscure e dai prigionieri di Iskawan: i membri del Clan Mudra. Qualora fosse riuscito ad oltrepassare anche i loro territori, avrebbe dovuto trovare un luogo dove non venisse riconosciuto come fuggitivo.
La sua pelle pallida, le ossa sporgenti e la sensibilità alla luce del sole lo avrebbero reso facile preda dei Mudra.
Rakesh allontanò quel pensiero. Accanto a lui c'era una fune costruita con vecchi pezzi di stoffa legati assieme. Aveva legato quella corda improvvisata ad un acuminato pezzo di metallo che sporgeva dal muro antico. Dei licheni crescevano sulle pietre lì presenti, creando una bizzarra colorazione verdastra che si illuminava al passaggio dei fuochi fatui. Come ogni altro tessuto a Iskawan, la cord a di stoffa era umida. Senza luce solare, quelle gelide terre erano sempre umide. Rakesh non ricordava cosa volesse dire asciutti o avvertire calore. La nebbia si insinuava ovunque. Talvolta, persino nella sua mente.
Rakesh si guardò alle spalle, verso Iskawan e le sue aguzze guglie nere decorate con simboli che ricordavano folate di vento. Nessuno lo stava inseguendo. Certo che no. I Vakum, individui che avevano osato troppo con la magi finendo per impazzire, vagavano lungo le mura cittadine, prigionieri della loro stessa mente. Il resto delle persone indesiderate, inviate lì dall'Impero, conduceva una vita talmente miserevole e monotona, che prima o poi, li avrebbe condotti alla follia. Alcuni arrivarono a gettarsi dall'alto delle mura nel vuoto, mentre altri si uccidevano fra lloro per qualsiasi tipo di disputa, anche la più banale. Rakesh accarezzò con le dita il medaglione che pendeva sul suo petto, poi lo strinse nel ougno. Non sarebbe impazzito. Aveva qualcosa che altri non avevano: la speranza.
Afferrò la corda di stracci e scomparve dall'altro lato delle mura. Grazie ai nodi distribuiti in vari punti della fune, riuscì a controllare la discesa, ma le mani dolevano per lo sforzo di mantenere la presa su quel tessuto scivoloso. Continuò a scendere, il sudore gli colava lungo le braccia e la schiena. Tenendo la corda ben salda tra i pollici, riuscì a calarsi puntando i piedi sulla parete. Scendeva lentamente, spostando una mano per volta. Finchè non raggiunse la fine di quella fune rattoppata. Abbracciò la stoffa con il braccio destro, dopodichè cercò di raggiungere la parete con quello sinistro. A differenza di altre aree dove vecchie scale e pietre crollate gli offrivano un appoggio, in questa sezione delle mura c'era solo parete liscia e piatta. Dell'acqua gocciolava lungo la parete. La cima delle mura era svanita nella nebbia e Rakesh cercava di tenere duro in quel vuoto oscuro.
Niente sopra, niente sotto.
Si dondolò e alliungò i piedi, sbuffando, ma non sentiva nulla sotto di sè. Imprecando sotto voce afferrò la corda con entrambe le mani e lentamente iniziò a risalire. La corda non era ancora abbastanza lunga. Issandosi ancora e ancora, riprese a scalare le mura. Le braccia iniziarono a tremargli. Le ossa e i muscoli delle spalle lanciarono delle fitte. Dopo qualche minuto, la nebbia si dileguò.
Vide accenni di luce. Il sudore gli impregnò il collo e la schiena finchè, alla fine, non raggiunse nuovamente la cima. Si tirò sulle mura scalcinate ed emise un respiro liberatorio. Tre fuochi fatui fluttuavano sopra di lui. Li scacciò. Non era il caso di farsi scoprire. Rakesh ritirò subito la corda per poi nasconderla in una nicchia e coprirla con delle rocce sparse. Ci sarebbe voluto tempo per riconquistare la libertà. Avrebbe dovuto ottenere più stoffa. Ispezionare le strade alla ricerca del più piccolo frammento di tessuto gli consentisse di allungare la fune. Era una ricerca disperata, si trattava di una corsa contro il tempo per guadagnarsi la libertà.
Era meglio che attendere la morte.
Sebbene creare quella corda gli fosse costato mesi e fatica, non era stato così rischioso come quella volta che cercò di fuggire nascondendosi sotto un convoglio per poi finire quasi schiacciato sul sentiero roccioso e dissestato. Quella volta lo avevano acciuffato e ricondotto a Iskawan. Gli ci erano volute settimane prima di recuperare dalle contusioni e progettare il suo prossimo piano di fuga. Senza la presenza dei fuochi fatui lì attorno, Rakesh era riuscito ad occultare il suo segreto nella coltre di oscurità e a spostarsi lungi le mura. Le mura procedevano su e giù, dando spazio di tanto in tanto a sezioni pianeggianti. Rakesh le conosceva a memoria ormai. Percorreva quel parapetto ognuìi giorno, scalando appigli improvvisati e spostandosi lungo le crepe della parete. O, almeno, è ciò che faceva in un ciclo di tempo che immaginava equivalesse ad un giorno.
Il trascorrere del tempo a Iskawan era qualcosa di ignoto. Di irrilevante. Era l'oscurità a dettar legge. Gli abitanti mangiavano e dormivano quando erano spossati dalla fatica. Rakesh saltellava su e giù tra le pietre, muovendosi silenziosamente. Si fece forza. Sebbene fosse stanco, affrettò il passo. La forza era l'unica cosa su cui avrebbe potuto contare al momento della fuga. A differenza degli altri prigionieri, lui non si era qancora arreso all'oscurità. Iskawan non aveva corrotto il suo cuore. Il medaglione che pendeeva sotto la sua maglia lercia e sudata ne era la prova.
La disperazione non lo avrebbe soggiogato.
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I Volti dell'inganno - Sinfonie del Sole e della Luna
FantasyIn un mondo pieno di inganni, ognuno recita una parte. In vista della celebrazione di un matrimonio fra reali, i clan dell'Impero si ritrovano nel palazzo imperiale, dove il Principe Isao sposerá la mite Ren, secondogenita del clan Nari. Per la prim...