La porta di acciaio si apre con uno scatto secco, mentre alzo leggermente la testa infastidito dalla luce improvvisa delle lampade. La guardia mi tira su dal letto con maniere rozze, mentre mugugnando mi ordina di vestirmi. Lo guardo in cagnesco, mentre gli lancio un occhiataccia. Lui se ne frega, come gli è stato ordinato.
Mi metto addosso gli abiti informi che indosso da ormai dieci anni. Non hanno colore, sembrano fatti per un fantoccio. La manica si impiglia sempre nel bracciale metallico. Lui sbotta, urlandomi di fare in fretta. Quasi soffoco una risatina, mentre mi accompagna lungo il corridoio.
Mi fa pena, questo qui. Non l'ho mai visto, deve essere nuovo. Lo capisco dal suo atteggiamento troppo rigido, sembra che voglia farsi rispettare fin dal suo primo giorno di lavoro. Che pena.
" Non sai che cosa ti farò dopo. "
Lui si gira e mi guarda, con un'espressione corrucciata in viso. Non ha gradito. Prende il taser e me lo inficca nell'addome con un gesto deciso. Sento le scariche elettriche pervadermi il corpo, mentre provo dolore.
Poveretto, non sa che quello non può farmi nulla.
Riprendo a sorridere leggermente, mentre lui mi scorta con aria impassibile.Conosco queste sale, conosco queste luci, conosco ogni singolo scienziato e soldato che mi passano davanti nel mio tragitto verso il laboratorio. Hanno delle facce serie, come se nel loro cuore fossero assorti nella ricerca, ma credo che questo sia l'ultimo posto in cui vorrebbero stare. Hanno i loro camici bianchi e le loro pistole, i loro documenti e le loro uniformi militari, ed evitano tutti di guardarmi negli occhi. Pensano sia ridicola, la mia stessa esistenza in questo mondo, in questa società a loro modo perfetta, un pò meno per me.
Arriviamo davanti alla porta bianca. Ci sono voluti esattamente sette minuti e trentasette secondi, come ogni giorno. La guardia la apre con gesti rudi e mi spinge dentro senza tante cerimonie. Subito due grosse paia di mani con viscidi guanti di lattice mi prendono con decisione i gomiti. Impreco a bassa voce, senza però opporre resistenza. So perfettamente che non avrebbe senso. Si avvicina a me il Capo Reparto, con il viso ancora parzialmente coperto da una mascherina sterile. Ha un grosso paio di occhiali, dalla montatura grossa, retrò. Ha sempre avuto le lenti fotocromatiche, quindi non ho mai potuto vedere i suoi occhi, che appaiono a me come due grandi buchi neri. Non sta sorridendo. E' professionale, come al solito. Mi piacerebbe sapere il suo nome, ma anche se glielo chiedessi gentilmente, cosa che comunque non farei mai, non me lo direbbe. Si sistema per bene i guanti, per poi prendermi per il mento e iniziare a esaminarmi il viso, i denti e gli occhi. Mi punta una torcia nelle pupille; sbatto le palpebre, prima che lui faccia un cenno affermativo ai due omoni che mi tengono fermo. Mi conducono al centro del laboratorio, mentre il Capo Reparto annuisce lievemente per poi annunciare alle persone che intanto stavano aspettando agli angoli della sala:" Il soggetto 0420 è pronto per le sperimentazioni. Procedete. "
Sospiro, mentre mi fanno stendere sul rigido lettino di metallo.
Sarà una lunga giornata.
" Per oggi abbiamo finito. Portatelo nella sua cella di osservazione. "
Il Capo Reparto si congeda, mentre lo guardo togliersi i guanti. Ho la vista appannata, i polmoni non funzionano appieno, il battito cardiaco è instabile. Dovevano avere fretta di andarsene, oggi, visto che non mi hanno neanche ricucito la ferita. Impazienti bastardi. Digrigno i denti, mentre mi metto lentamente a sedere. Il dolore è atroce. Mi poso la mano sull'addome, macchiandola completamente di sangue. Oggi mi hanno aperto più del solito, credo. Mi metto malamente in piedi, mentre qualche macchia di sangue bagna il pavimento. Nessuno mi guarda, mentre vengo trascinato via ancora agonizzante dai due muscolosi uomini che tre ore prima mi avevano condotto lì. Vorrei urlare, ma mi sono ripromesso che da me non deve uscire nemmeno un gemito. Stringo i denti e cammino zoppicando verso l'uscita, dove mi aspetta la guardia, la quale mi guarda con aria truce. Deve essere ancora arrabbiato per quello che gli ho detto stamattina. Mi fa ancora più pena.
" Muoviti, forza! "
Mi dà una spinta, facendomi cadere a terra. la pozza di sangue sulla mia maglia si allarga, mentre perdo per alcuni secondi il respiro e la vista si azzera completamente, mentre davanti agli occhi mi si para una patina nera. Mi riprendo solo dopo alcuni secondi, coperto di sudore e col fiatone, mentre cerco disperatamente di rialzarmi.
" Brutto figlio... di- "
Lo guardo negli occhi, e per una frazione di secondo riesco a scorgere del terrore puro nelle sue iridi. Cerca di ricomporsi come può, impugna il taser e assume un tono intimidatorio mentre mi ordina di proseguire, ma sotto sotto sia lui che io sappiamo già che d'ora in poi la sua vita sarà un inferno, qui con me. Lo sapeva anche da prima, da quando gli avevano affidato questo incarico. Probabilmente lo avrà sentito dalle altre guardie, che adesso abbasseranno la testa quando passa lui per i corridoi. Meglio non affezionarsi a lui, pensano. E hanno ragione.
" Dammi tempo... un mese... "
Io sono il soggetto 0420 del Laboratorio del Room:0 numero 7, distretto giapponese. Conosciuto fino ai cinque anni col nome di Bakugou Katsuki, mi hanno imprigionato in questo laboratorio, dove vengo sottoposto a esperimenti praticamente ogni giorno. Sono un Glitch, un rifiuto, capace solo a essere usato come cavia, senza uno scopo preciso.
Sono il ribelle, quello che da tre anni a questa parte ha ucciso più di quaranta delle sue guardie di sorveglianze, nel tentativo di scappare. Durate tutte poco meno di un mese, è questa la mia media. Le trovano strangolate, sgozzate, impiccate, annegate. Ho decimato metà dipartimento. Sono considerato una macchina da guerra, pericolosa, che uccide in modo spietato e silenzioso. Ma nonostante questo non vogliono ancora uccidermi. Per loro i miei poteri sono preziosi.
Non voglio essere questo. Io non sono questo. Non voglio vivere la mia vita in queste mura, non voglio morire, non voglio avere paura, non voglio.
Vi odio. Odio tutti voi.
" Un mese... e sarai morto. "
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Room: 0 // Katsudeku//
FanfictionDa ormai due secoli l'intera umanità è rinchiusa nel labirinto di stanze chiamato Room: 0, che ricopre tutta la superficie della Terra. Non ci sono nè porte verso l'esterno, nè finestre. Il cielo è una visione preclusa. La vita degli umani è condizi...