Capitolo 2

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Il sangue scorre copioso dalla ferita sul mio addome. Mi trascino a fatica sul pavimento lucido, ansimando rumorosamente. È il momento piú brutto della giornata, questo. Non sento nemmeno l'iniezione del bracciale, tanto è il dolore che sto provando. Mi tengo una mano stretta al ventre, per paura di perdere troppo sangue. La mia fronte si imperla di gocce di sudore, i capelli biondi ricadono a terra, completamente bagnati. Sento che la mia sopportazione è al limite, non posso resistere ancora al lungo. Il dolore raggiunge il suo apice, costringendomi a stringere i denti, per poi cessare di colpo. Il battito ritorna improvvisamente normale e il sudore smette di scorrere. Alzo lentamente la maglietta e lá dove prima c'era uno squarcio purulento si trova solo la mia pelle liscia, in contrasto col tessuto macchiato di sangue fresco. Sospiro sollevato, mentre mi alzo e schiaccio un bottone azzurro a lato della porta, con disegnata sopra una goccia d'acqua, e un' altra leva metallica. Improvvisamente nel muro si apre uno scaffale contenente una nuova tunica, uguale alla precedente, insieme a un secchio. Li prendo rapidamente per poi sentire l'apertura chiudersi con uno scatto secco. Mi avvicino al piccolo rubinetto impiantato nel muro di fronte a me per poi riempirlo di acqua gelida. Mi tolgo la maglietta sporca e la immergo nel liquido, che mi fa rabbrividire dal freddo. La strizzo bene e cerco di mandare via la macchia come posso, visto che la missione è un pó difficile senza sapone. Appena ho finito uso un pó di acqua per pulirmi. Ho ancora molto sangue addosso. Il mio sguardo cade sul mio addome; sembra che non sia mai stato operato prima. La pelle è lucida e sana, i muscoli ben delineati. Alzo lo sguardo, verso il vetro che ricopre tutta la parete destra della mia piccola prigione. Per me è solo una lastra nera, ma so bene che dall'altro lato del vetro una marea di scienziati ha scrutato tutti i miei movimenti, dal primo all'ultimo. Cerco di guardarli in faccia, per poi mandargli un dito medio. Potevate almeno ricucirmi, stronzi.
Riesco quasi a sentire degli sbuffi di indignazione dall'altra parte del mio personale muro invisibile.

È passato quasi un mese da quando è venuta questa nuova guardia, e non ho dimenticato il suo trattamento durante il nostro primo incontro. La stessa cosa non si puó dire per lui, che sembra totalmente indifferente a qualsiasi cosa io faccia. Ormai dovrebbe essere sera, per precisione l'ora della doccia. È il momento perfetto per mettere in atto il mio piano, visto che a parte lui non ci sono altri sorveglianti o scienziati dall'altra parte del vetro.
Apre la porta, tenendo un asciugamano cencioso e un pezzetto microscopico di sapone in mano, e mi lancia uno sguardo sprezzante, al quale rispondo pienamente convinto con occhi adoranti. Lui rimane totalmente interdetto per un secondo, prima di passarmi titubante l'asciugamano e il sapone. Li afferro gentilmente, cercando di simulare una risata. Lui sembra cascarci, perfetto.
Dietro di me appare un soffione e uno scarico, che subito comincia ad assorbire l'acqua gettata violentemente dall'attrezzo. È il momento giusto.
Comincio a svestirmi lentamente, laaciando che gli occhi dell'uomo possano vagare liberamente sul mio corpo completamente nudo, per poi camminare con passo lento verso il getto d'acqua. Riesco a sentirlo deglutire anche con il rumore della doccia in sottofondo. Sorrido maliziosamente e lo guardo mentre l'acqua si insinua lungo le pieghe degli addominali e in mezzo alle cosce. Mi metto una mano nei capelli per poi sospirare, il tutto senza smettere di giardarlo. Lui è completamente inerme.
Ormai è mio.
Mi avvicino a lui, che ormai non ha piú la forza nemmeno per muoversi dalla sua posizione rigida. Quando arrivo abbastanza vicino appoggio prepotentemente la mano sul cavallo dei suoi pantaloni, giá abbastanza teso. Fa per ribattere, ma gli metto un dito sulle labbra.
" Voglio solo farti divertire, su. "
Mi abbasso quanto basta da ficcarmi completamente il suo cazzo in bocca. La sensazione non mi piace per niente, ma continuo imperterrito col mio speciale lavoro di lingua, la quale scorre su e giú lungo l'asta e accarezza vigorosamente la cappella, facendo scappare un sospiro all'uomo al quale sto facendo un pompino. Mano a mano che intensifico il ritmo, i gemiti si fanno sempre piú forti, fino a quando un liquido bianco e denso non mi invade la gola. Senza perdere tempo ingoio tutto e aprofittando del secondo di distrazione dell'uomo prendo il sapone e glielo ficco negli occhi. La sua espressione di godimento si trasforma improvvisamente in una smorfia di dolore, mentre la bocca si apre per permettergli di urlare. Non riesce a fare neanche questo, peró: prendo il sapone rimasto e glielo metto tutto in bocca, bloccandolo con entrambe le mani in modo che non possa sputarlo. Inizia aubito a tossire e a sputare una strana schiuma bianca, e perde l'equilibrio cadendo a terra sopra di me. Ne approfitto per mettermi velocemente a cavalcioni su di lui e legargli l'asciugamano intorno al collo, per poi stringere forte. Sotto di me sento che si agita in preda agli spasmi e alle convulsioni, alla disperata ricerca di un pó d'aria, quindi mi affretto a stringere la presa sulle cosce in modo che non possa scappare. Il viso diventa di un colore violaceo, gli occhi sono strabuzzati come quelli di un pesce, la bocca emette versi soffocati. Continuo a tenerlo stretto anche quando i movimenti sotto di me si indeboliscono, fino a quando non cessano del tutto. Mi rialzo, ansimando.
" Stronzo. "
Gli sputo in faccia, per poi lavarmi la bocca con il getto della doccia. Ho ancora quel sapore orribile in bocca. Questa volta è stata decisamente piú brutta delle altre.
Mi rivesto, facendo attenzione a non toccare il cadavere della giardia, fino a che non mi sento un pó meglio con me stesso. Mi stendo sulla piccola brandina a lato della stanza, mentre chiudo gli occhi.
Vorrei dormire, ma ogni volta non riesco a farlo. È dannatamente difficile ogni volta. Questi uomini ambigui, sono il mio unico modo per ribellarmi.
Non compatitemi per quello che faccio. Devo pur sempre sopravvivere, in qualche modo.

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