Capitolo 5

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Riesco solo a sbattere gli occhi due o tre volte , come per cercare di svegliarmi da quello che deve essere per forza un sogno delirante indotto dai medicinali che mi vengono somministrati, oppure dallo stress fisico a cui sono sottoposto in questi giorni. Non posso nemmeno aprire bocca. Riesco solo a buttarmi a capofitto in quegli occhi verdi, quasi commossi ma con una dose di determinazione che non avevo mai visto in te, e che ora mi lascia un po' interdetto.
Abbassi  il girocollo, quanto basta per far uscire il naso cosparso di lentiggini. Il tuo respiro è calmo e calcolato. Ti avvicini ancora di più, sussurrando:
"Non c'è molto tempo, devo farti uscire da qui in fretta."
Mi alzo, con un grumo di parole ancora gelate in gola. Una fitta di dolore mi pervade il corpo, ma la situazione è così assurda che nemmeno me ne accorgo. Ci avviciniamo al condotto dell' aria. Ogni tuo movimento è sinuoso, ogni tuo passo non produce il minimo rumore sul freddo pavimento di piastrelle. Mi aiuti ad arrampicarmi e ad entrare nel condotto. Ci metto alcuni secondi, non essendo più abituato all'esercizio fisico, ma con una bella spinta atterro di pancia sul metallo. Mi stupisco della tua forza. Ho sentito i tuoi muscoli contrarsi sotto la pelle a causa del mio peso, e non avrei mai immaginato che potessi sviluppare così tanto la tua forma fisica.
Nel giro di un paio di secondi sei di fronte a me nel buio del condotto. Non me ne sono nemmeno accorto. Solo ora noto che vicino a te c'è un piccolo zaino nero. Te lo metti in spalla e mi fai un cenno con la testa.
" Seguimi, stai vicino a me e non perderti. È molto buio."
Annuisco, e incominciamo l' Odissea nel nostro personale labirinto d'acciaio.

Il buio e l'aria soffocante innescano qualcosa nel mio cervello, come il sole di primavera fa spuntare le prime gemme sui rami degli alberi. Così i miei pensieri cominciano a vagare in ogni dove come schegge impazzite. Fino ad adesso la mia mente era stata come anestetizzata, tanto improponibile mi era sembrata questa situazione. Non riesco neanche a realizzare che tu sia qui, vicino a me, dopo tutti questi anni. Tu, che mantenevi vivi i miei ricordi e la mia rabbia, e che riuscivi a placare almeno in minima parte l'opprimente solitudine di quella gabbia di metallo. Sei cresciuto tanto, però. Il bambino magro e debole come un uccellino che ricordavo se n'è andato, almeno all'esterno. Tuttavia, riesco a percepire, nel profondo, che questo lato di te è ancora presente, anzi: sembra addirittura più forte. Sembra quasi che in questo momento tu lo stia domando, come si fa con una bestia pericolosa. Hai imparato a controllare le tue emozioni in base alla situazione, e nel tuo caso era una cosa praticamente impossibile. Era altamente improbabile che il piccolo bambino piagnucolone che eri a quattro anni potesse sviluppare questa capacità. L'ipotesi più plausibile è, quindi, che qualcuno o qualcosa ti abbia indotto a farlo.
Che cosa ti è successo, Deku?

Finalmente, dopo un'infinità di tempo trascorso a strisciare lungo stretti cunicoli, una luce accecante ci appare davanti appena svoltato un angolo. Arriviamo fino alla fine del tunnel, dove ci aspetta una grata. Ti giri verso di me, togliendoti lo zaino dalle spalle e aprendo la cerniera. Tiri fuori un pacco di vestiti, tutti rigorosamente neri.
" Mettiteli, sono per le videocamere."
Noto quasi con piacere che nel consegnarmelo le tue gote si arrossano leggermente.
Prendo il pacco, e mentre ti volti mi tolgo i due stracci che porto e mi infilo i pantaloni, il girocollo e la felpa con cappuccio. Quando ho finito ti giri verso di me. I tuoi occhi sono come due fari nel buio.
" Pronto?"
"Andiamo."
Con un piccolo cacciavite riesci a svitare i bulloni. Spingi lievemente la grata verso l'esterno e la prendi tra le mani poco prima che cada. La appoggi a lato e ti cali giù con un unico movimento. Sento come se il mio cuore stesse per scoppiare da un momento all'altro.
Ho voglia di urlare, di piangere, di sbattere i piedi a terra, ma rimango immobile come una roccia.
Non so da quanto sognavo questo momento, è come se il dolore e la sofferenza fossero rimaste incise nella mia anima, diventando un tutt'uno con me stesso.
Improvvisamente un ricordo mi attraversa la mente come un treno impazzito. Avrò avuto tre o quattro anni e in biblioteca trovai tra gli scaffali polverosi un libro molto vecchio. Illustrava degli uomini e delle donne scheletrici, vestiti con delle gigantesche tute a righe, che venivano liberati in un campo di concentramento in quello che era il distretto polacco durante una guerra antichissima. Ora, dopo undici anni, credo di poter capire almeno un poco la gioia dipinta sui loro volti in quelle fotografie in bianco e nero. Non mi accorgo nemmeno della lacrima che mi scende lungo la guancia, schiantandosi sul metallo.
"Ci sei?"
Annuisco, prima di saltare giù. Quando atterro mi sembra di immergermi nella luce. Sento le lacrime, trattenute per troppo tempo, scorrere copiose come un fiume in piena. Mi copro il viso con le mani. Sento il calore del tuo corpo contro il mio, mentre mi stringi nell'abbraccio che entrambi avevamo a lungo atteso, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Mi stringi più forte, mentre finalmente il mio corpo si lascia andare.
I ruoli si sono capovolti.
"Sei a casa."

Ogni cosa mi sembra perfetta e incredibile allo stesso tempo. I miei occhi riescono appena ad adattarsi alla luce, tanto sono pieni di lacrime. Non riesco nemmeno a distinguere l'ambiente in cui mi trovo. Tutto è così nuovo. L'unica costante è il tuo corpo attaccato al mio, come se non si volesse più staccare. I secondi diventano minuti, ma non accenni a lasciare la presa. Sembri quasi un cane che non vuole mollare l'osso.
Alzi gli occhi verso di me. Anche i tuoi sono pieni di lacrime; mi ricordano due laghi inquieti e profondi, pienamente sconvolti.
"Kacchan, non ti arrabbiare. Ti spiego tutto dopo. Sei al sicuro ora, ricordatelo."
Mi stringe un'ultima volta. Non riesco nemmeno a parlare che qualcosa mi si inficca nel fianco. Sento il corpo ammosciarsi, le palpebre che si chiudono, il cervello che si spegne.
Blackout.

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