Tutto è sfocato.
Non so nemmeno cosa sto vedendo, o se quello che ho davanti agli occhi sia vero oppure mi trovo all'interno di un sogno. Ogni cosa (ma cosa?) si muove vorticosamente, come nel mezzo di un tornado. Non ci sono limiti, ne confini. I contorni non esistono, o se esistono si spostano troppo velocemente perchè io possa distinguerli. Dei colpi di luce mi investono improvvisamente e a ogni raffica la mia testa sembra sul punto di scoppiare da un momento all'altro. Non posso più nemmeno pensare, tanto forte è il dolore. Se è un sogno, almeno fa che finisca presto, imploro a me stesso nel pieno della follia.
Improvvisamente riesco a distinguere delle voci. Sono voci umane, non c'è dubbio, ma il dolore è così assordante che non riesco a capire quello che stanno dicendo; è come se mi stessero parlando in una lingua sconosciuta, in un misterioso esperanto per me intraducibile. Non riesco a concentrarmi su di esse, ma ad un tratto il dolore scompare e così le voci: la vista mi si fa improvvisamente chiara. La luce è fortissima, ma non chiudo gli occhi, anzi: improvvisamente so di star guardando in un modo differente, senza la vista. Un concetto stranissimo, come un sogno lucido ma molto più intenso e immediato. Davanti a me, la figura in controluce del Dottore sembra emanare un'aura propria. Sembra fatto di vuoto, del nero più profondo che ci si possa immaginare. Non ha una faccia, ma il mio corpo lo riconosce all'istante: il suo odore, la sensazione delle sue mani sulla mia pelle: quel ruvido contatto che aveva sempre accompagnato le mie giornate e che mi aspettava all'inizio e alla fine di ogni operazione. Una paura primordiale si impossessa di me: un terrore così intenso da straripare, come un fiume in piena, all'infuori di me con una potenza inaudita; dal profondo della mia gola esce un grido agghiacciante; l'intero mio corpo si inarca, come posseduto dall'orrore. Sento il mio corpo separarsi da me per un attimo, la mia anima che, disperata, priva a liberarsi da quella prigionia.
E questo che si prova quando si muore?
Apro gli occhi di botto, ma ho la vista annebbiata. Sto ancora urlando e il mio corpo è percosso da spasmi violenti; sono seduto su una specie di poltrona da dentista e i miei arti sono tenuti stretti da delle robuste cinghie di pelle, rispettivamente sui polsi e sulle caviglie. La voce mi si fa roca, e ne approfitto per chiudere la bocca e gli occhi, aspettare qualche secondo in modo da riprendermi e cercare di capire in che luogo mi trovo. Sono sopraffatto dall'agitazione, tanto che sono mandido di sudore e non riesco a respirare solamente col naso. Alzo gli occhi, per trovarmi davanti una vecchia signora, di statura estremamente piccola e dal viso solcato da rughe. I capelli grigi sono raccolti all'indietro e indossa un camice bianco e dei guanti in lattice, con i quali mette cautamente le mani sopra la mia, per poi rivolgermi un caldo sorriso. Non ricambio. Lei sembra comprendere, e dopo una breve pausa dice in tono amorevole:
"Sembri essere in forze, anche se probabilmente il sedativo deve averti fatto qualche brutto scherzo. Ciononostante, dovresti rimetterti presto. "
La confusione è tale che alzo lo sguardo sopra di lei, in cerca di qualcosa ( nemmeno io so cosa) che mi aiuti in qualche modo a dissipare i miei dubbi. Solo in quel momento mi accorgo che dietro di lei, seminascosto nella penombra, mi stai guardando. I tuoi occhi volano immediatamente alla signora, e chiedi cortesemente di lasciarci qualche minuto da soli. Lei acconsente con un cenno del capo e con un piccolo salto scende dalla sedia da ufficio dove era seduta, per poi chiudere la porta dietro di sè. Solo adesso i miei occhi, che hanno ritrovato la vista, possono esplorare la stanza: è leggermente buia, ma nel complesso è simile a una specie di stanza d'ospedale. La visuale è occupata parzialmente da una tendina semitrasparente, dietro la quale una luce a neon provvede a illuminare la stanza con un bagliore asettico. Di fianco a me una flebo è collegata tramite un tubicino al mio braccio, che solo ora mi accorgo essere infilzato da un piccolo ago. Una goccia cade ritmicamente nella sacca del liquido sopra di me. Plic, plic, plic.
Ti avvicini a me con un unico passo, come se avessi paura che io possa svanire da un momento all'altro. Provi a sorridermi, ma smetti subito, forse consapevole del fatto che se avessi continuato saresti scoppiato in lacrime. Alla fine quell'emotività che ti contraddistingueva non l'hai del tutto persa. Ne sono sollevato.
Ti siedi sulla sedia lasciata libera dalla signora. Lo schienale è così alto che mi superi in altezza di una buona spalla. Ti accovacci per fare in modo che i nostri occhi si incastrino, come due gemme in una collana: smeraldi e rubini di una collana imperiale. Cautamente ripeti lo stesso gesto della signora, sorprendendoti della mia improvvisa reazione. Scusami, forse sono stato troppo irruento, ma volevo provare la sensazione delle dita che si intrecciano da tanto tempo.Un contatto umano per far sembrare tutto più vero, più reale.
" Scusami per questo " sussurri; intuisco che ti riferisci a prima. " Purtroppo era l'unico modo per portarti qui, e non conoscendo le tue abilità abbiamo usato un sedativo potente, ma ancora in via sperimentale, con parecchi effetti collaterali. Non sapevamo come avresti reagito. Aspetta un attimo che ti libero. " T i alzi e scompari dietro la tendina per un paio di minuti scarsi. Mi accorgo che, nel posto dove eri prima, c'è una piccola poltrona di pelle sbiadita. Sullo schienale è appoggiata una coperta logora. Senza volerlo mi scappa un sorriso. Sei così apprensivo. Faccio appena in tempo a rimettermi a posto sulla sedia che ritorni con in mano un mazzo di chiavi. Inizi dalle caviglie, in silenzio religioso. Piano piano la mia pelle ritorna a contatto con l'aria, permettendomi di muovere a malapena i piedi. Noto dei lividi in corrispondenza delle cinghie; probabilmente mi devo essere agitato molto durante la convalescenza.
Tocca ai polsi. Prima uno e poi l'altro in una lenta tortura. Appena l'ultima serratura si sblocca vengo trascinato in avanti. Riconosco il tuo odore intorno a me: i capelli che mi solleticano il naso, le unghie che mi si inficcano nella spina dorsale, le lacrime che hai lasciato libere di scorrere che bagnano la mia maglia in piccoli cerchi. Come un bambino lamentoso, con la voce impastata, riesci a biascicare:
" Sono così felice che tu sia qui, Kacchan! "
" Sei sempre il solito, a quando vedo, Deku. "
Lui non può vedermi, ma ho gli occhi lucidi. Una lacrima, l'ultima che mai verserò, cade sulle piastrelle.
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Room: 0 // Katsudeku//
FanfictionDa ormai due secoli l'intera umanità è rinchiusa nel labirinto di stanze chiamato Room: 0, che ricopre tutta la superficie della Terra. Non ci sono nè porte verso l'esterno, nè finestre. Il cielo è una visione preclusa. La vita degli umani è condizi...