Capitolo 5 - There's a place, in nowhere...

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-Massì sempre a fuma' stai, ne morirai!- esclamó Bobo andandosi a sedere accanto all'amico sui vecchi resti della panchina abbandonata accanto a una delle dieci uscite di emergenza della casa famiglia.

Bobo era uno che ci sapeva fare con le ragazze ma non con le parole, tipo che se si stava zitto il 90% delle volte che invece passava a dire cazzate, sarebbe stato molto meglio. Era uno che parlava sempre, ma proprio sempre, pure nel sonno, era una miccia inesplosa, un fuoco d'artificio bello da guardare ma non da sentire. Aveva un accento tremendamente napoletano, non si poteva sbagliare sulle sue origini, e dei capelli ricci sul rosso-dorato sempre perfetti, mai troppo lunghi ai lati, mai troppo corto il ciuffo. Gli occhi grigi e delicati li copriva con un paio di occhiali da sole tondi verdi, di quelli alla John Lennon che andavano di moda quell'estate, dilatatori a forma di spirale in entrambe le orecchie, nun tropp' grandi che se no me stann' a sforma', un sorriso bianco dai denti non perfettamente dritti ma comunque luminosi e si potevano definire quasi belli.

Massimiliano in tutta risposta grugnì e si sistemò il cappuccio della sua felpa rigorosamente nera sopra i capelli spudoratamente biondi. Gli piaceva quel contrasto, pelle bianca, occhi azzurri, capelli biondi e vestiti tutti neri. Sembrava una sottospecie di angelo dannato o cazzate simili come gli aveva fatto notare una volta Bobo. Si conoscevano da quando erano piccoli e nonostante fossero cresciuti insieme erano proprio gli opposti.

Davanti ai loro occhi poi, improvvisamente, comparì una ragazza con gli occhi lividi di lacrime che si stringeva nella sua felpona rosa -che colore rivoltante, pensò il diavoletto biondo- e provava ad attraversare la strada senza inciampare nei suoi stessi piedi che tremavano. Era evidentemente scossa e si guardava spesso alle spalle come una ladra o una fuggitiva.

-Oh Bobo, ma che sta' a f...- manco il tempo di finire la frase che un cane randagio le tagliò la strada a prese a ringhiare. Era un mastino, di grande stazza e affamato, con due occhi sanguigni che la fissavano maledettamente, i denti ben in mostra, assetati e crudeli. Quasi quanto l'animo di Massimiliano che buttò la sigaretta a terra, scavalcò il muro decadente della prigione dove degradava in una recinzione semi squarciata e afferrò una spranga.

-Massi' ma che te sei 'mpazzito!?

-O la aiuto o quello la ammazza!- gridò il ragazzo più a sè stesso che all'amico e si scagliò sul bestione. La ragazza urló e si strinse al muro, aderendovi completamente con il corpo, gli occhi chiusi e le mani che le coprivano il viso per non assistere alla scena di sangue. Un tonfo sordo, un ululato straziante e l'animale si addormentò. Massimiliano guardò il sangue scivolargli sulle scarpe e fece qualche passo indietro per buttare la spranga dentro il cassonetto dell'immondizia più vicino a lui. I passanti, i vicini, e tutti gli spioni che avevano assistito alla scena ammutolirono ma fecero finta di nulla. Là in paese, là in quel quartiere di degrado e ferocia, la violenza era la normalità. Massimiliano si voltò a guardare la ragazza che lo fissava con due occhi verdi grandi e sbarrati dalla paura.

-L'hai ucciso.- fu l'unica cosa che riuscì a dire. Avrebbe voluto ringraziarlo ma non c'era proprio niente di cui gioire.

-Ti avrebbe sbranata, lo sai vero?- ribattè freddo il ragazzo incappucciato, nascondendosi le mani in tasca. A colpo d'occhio non era del posto, l'accento sembrava romano e sicuramente non era una morta di fame a giudicare dalle Dr.Martens che portava ai piedi e alla felpa Abercrombie. Una figlia di papà, pensò schifato ma allo stesso tempo incatenato al suo sguardo. Gli doveva la vita, i suoi occhi parlavano chiaro.

-Grazie.-riuscì alla fine a dire la ragazza, tirandosi ancora più giù le maniche della felpa. Non faceva freddo e non c'era motivo di farlo, così Massimiliano capì che era un gesto riflesso.

Paura.

Il ragazzo voltò le spalle e fece per tornare dentro la casa-famiglia quando lei gli gridò dietro.

-Maia. Io sono Maia.-disse tutto d'un fiato, vergognandosi immediatamente di averlo fatto. Massimiliano le lanciò un'occhiata veloce, annuì con la testa e sparì dietro la recinzione in rovina senza dire più una parola. Un brivido le salì lungo la schiena alla vista della targa 'Comunità di accoglienza, ripristino, educazione e reintegrazione di tipo civile, sociale e familiare.' che pendeva sbilenca e morta al lato del cancello arruginito.

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