2- Non Importa Chi Sia Io

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Non vi dirò niente della mia nascita, perché dove o quando sono venuta al mondo non fa di me ciò che sono.
Io non so perché il destino mi abbia scelto come scrittore, forse ha visto del potenziale in me prima ancora che io nascessi, forse invece me l'ha dato lui, nessuno lo sa.
Ovviamente non posso dirvi ciò che non so, di conseguenza non posso spiegarvi cosa ne ho fatto della mia vita fino ad ora. Se qualcuno me lo chiedesse gli risponderei che mi sembra di non aver vissuto. Mi ricordo delle vite degli altri, ma non la mia. Grazie a questi altri, posso cercare di ricostruire qualche pezzo di puzzle, ma mi sento come se fossi stata solo un'ombra, una figura sbiadita.
Quando sono nata già un'altra bambina possedeva l'amore dei miei genitori: mia sorella maggiore. Non mi piace definirla tale perché lei è un protagonista, io uno scrittore. Di conseguenza lei non ha mai fatto niente che potesse aiutarmi. Io invece invertii le regole: chi lo diceva che era lei a dover proteggere ed aiutare me? È sempre stata così debole e io avevo tanta forza da prestare.
Inconsapevolmente presi la penna per la prima volta e modificai una frase nel suo libro: lei era la sorella minore.
Le cose sembravano andare molto meglio: l'aiutavo e la proteggevo.
Con mia mamma non ho iniziato subito a giocare con le parole. Come ogni genitore, i miei volevano essere partecipi della mia vita, volevano che gli raccontassi tutto ciò che di bello o brutto mi accadeva. Ma come potevo dire qualcosa che non potevo ricordare, che non rimanevano impresse nelle pagine della mia storia? Non potevo, semplice.
Un giorno vidi mia sorella andare dallo psicologo e da brava bambina mi impuntai che ci dovessi andare anche io. La mia curiosità era tanta: perché ci andava? Cosa c'era dietro quella porta? Di cosa parlava? Cosa nascondeva, a me, sua acquisita sorella maggiore, che però con lo psicologo si confidava? Cos'aveva quell'uomo più di me?
Quando entrai nel suo studio rimasi sorpresa: non sembrava starci un adulto lì dentro, sembrava più una stanza giochi per bambini.
Era piena di giocattoli e disegni. I primi erano un po' anonimi, chissà quante mani li hanno toccati, quanti bambini hanno racchiuso un attimo della loro vita in quei colori. Ma i disegni raccontavano, eccome se lo facevano: un cagnolino e il suo padrone, i ringraziamenti al loro psicologo, le loro vacanze, i loro sogni.
Inconsapevolmente un' altra porta nel mio cervello si era aperta: gli oggetti possono racchiudere le storie degli altri, basta avere un interprete che ne sappia il significato.
Io ovviamente lo avevo e stava di fronte a me, le mani congiunte, gli occhiali leggermente abbassati sul naso. Iniziò la procedura partendo con una semplice domanda a cui io risposi schiva. Era altro che mi interessava in quel momento.
Prima che potesse farne un'altra lo precedetti. Iniziai a fargli domande a raffica, a chiedergli di raccontarmi la storia dietro quello e quell'altro disegno o chi giocava tanto con quel gioco ancora mezzo fuori dallo scaffale.
Lui mi guardò con un misto di rimprovero e pazienza, il solito sguardo di un adulto nei confronti di un bambino e mi spiegò che eravamo lì per me, non per gli altri.
Allora, in quel momento, capii una cosa molto importante: a me non importa niente di chi sia io e cosa faccia, io voglio sapere tutto delle storie degli altri.
Perché come i vampiri che non hanno sangue nelle vene desiderano cibarsi di quello degli altri, io, senza storia, voglio cibarmi delle altre.

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