Capitolo VI

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Nipias riprese i sensi con un sussulto d'orrore: delle mani rudi e invadenti la stavano spogliando degli abiti da lavandaia, strappandole le vesti con impazienza

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Nipias riprese i sensi con un sussulto d'orrore: delle mani rudi e invadenti la stavano spogliando degli abiti da lavandaia, strappandole le vesti con impazienza. Istintivamente provò a sottrarsi a quella presa e a portare le mani alla testa che pulsava, ma si rese conto di avere le braccia legate dietro la schiena.
Riconobbe subito la risata maschile e crudele che accolse i suoi tentativi di liberarsi: sbattendo le palpebre per scacciare le lacrime rimaste impigliate tra le sue ciglia, la ragazza riuscì a mettere a fuoco la figura massiccia del Romano che chiamavano Taurino.
Per qualche istante si osservarono a vicenda, i volti animati da ostile curiosità:
"È davvero grande!" pensò, sconfortata. "Ha dei tronchi d'albero al posto delle braccia e le sue mani potrebbero spezzarmi il collo senza fatica alcuna! Come farò a fuggire da qui?"
Si accorse poi che non si trovavano più alla fattoria: la debole luce data da un focolare improvvisato illuminava le pareti coperte di muschio di una capanna abbandonata; oltre la soglia, che Taurino aveva coperto col proprio mantello, si udivano tuoni fragorosi e lo scrosciare di una tempesta.
"È un miracolo che il tetto non ci sia ancora crollato sulla testa!" si disse, alzando lo sguardo verso le travi di legno che avevano iniziato a marcire da tempo e lasciavano entrare numerose gocce di pioggia.

«Non dici nulla?»

La voce dell'uomo fremeva di soddisfazione e Nipias si sentì invadere da una furia cieca, ma quando provò a lanciarsi contro di lui un dolore acuto alle braccia le mozzò il respiro: voltando il capo di lato, intontita, vide che la corda che le serrava i polsi era saldamente annodata ad un palo infisso nel terreno.
"Mi ha messo alla catena come un cane!" pensò, confusamente, arrivando finalmente a comprendere del tutto la gravità della situazione in cui si trovava.
E per la prima volta da quando era scappata di casa, Nipias ebbe paura.
Non era preparata per quel terrore gelido che minacciava di spaccarle il cuore in due, che le toglieva il respiro fino a farla annaspare e scuoteva il suo corpo con un tremito innaturale; lasciò vagare lo sguardo sul suo corpo semi nudo, capendo con un moto di orrore che Deianna e Taros le avevano sempre detto la verità.
La guerra non era fatta solo di sangue e di onore; era anche oscurità e disperazione e vergogna pungente.
Si portò le ginocchia al petto, nascondendo le sue forme agli occhi avidi di Taurino, che le girava intorno e la studiava con l'eccitazione di un cacciatore che ha messo in trappola la propria preda.

«Non sei bella» decretò infine l'uomo, chinandosi verso di lei e catturando tra le dita una corta ciocca scura. «Anzi, sei piuttosto insignificante in confronto alle donne che di solito girano intorno a Quadrato, fortunato bastardo! Dunque perché ha messo a rischio la sua carriera per te?»

«Non so di cosa parli!»

Nipias si sentì scaldare il petto da un moto di orgoglio: era riuscita a tirar fuori una voce ferma e sdegnata, senza traccia di supplica.
Le dita di Taurino si spostarono dai capelli alla gola nel tempo di un battito di cuore: ora incombeva su di lei e ogni spigolo del suo corpo premeva contro il suo, un contatto osceno e sgradito che le fece venir voglia di urlare. Tuttavia rimase ostinatamente muta, ricambiando lo sguardo furioso dell'uomo con pari intensità.
Mentre si divincolava per strisciare via da lui le sue mani incontrarono qualcosa di tagliente:
"Una pietra!" pensò, stringendo il sasso affilato tra le dita, incurante dei graffi che le procurava, esaminando la sua forma triangolare e i bordi slabbrati.
"È la mia migliore speranza di cavarmela!"

La figlia del Picchio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora