Capitolo II

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Marco Aurelio Quadrato si sciacquò il viso per scacciare le ombre che la notte insonne aveva lasciato sul suo viso e la moneta di bronzo che portava al collo tintinnò quando sbatté contro il bordo del catino

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Marco Aurelio Quadrato si sciacquò il viso per scacciare le ombre che la notte insonne aveva lasciato sul suo viso e la moneta di bronzo che portava al collo tintinnò quando sbatté contro il bordo del catino.
Il giovane sospirò mentre rivoli gelidi gli scorrevano tra i riccioli scuri e sul torso nudo, risvegliandolo: aveva imparato a sopportare il freddo nei molti inverni passati al servizio dell'esercito di Roma e le gocce fresche sulla pelle erano una piacevole distrazione dai pensieri che lo assillavano da giorni.
Non era più il ragazzino che si era arruolato mentendo sulla propria età – anche se a volte i suoi amici gli rimproveravano una certa ingenuità che poteva rivelarsi pericolosa nella politica romana; sapeva che l'annessione dell'ager picenum era inevitabile e rappresentava l'unico ostacolo per il dominio incontrastato della sua città sull'intera penisola italica; sapeva anche che, sconfitti i Piceni, l'ascesa di Roma sarebbe stata inarrestabile.

"È quello per cui lotto da anni" pensò. "Ho consacrato la mia vita a Roma. Allora perché esito ad accettare la proposta di Sofo?"

Sofo era uno dei due consoli incaricati di sedare la nuova rivolta che dalla città di Ascoli si era diffusa velocemente in tutto il territorio circostante come un devastante incendio estivo; era un politico astuto, un generale valente e un uomo determinato ad annientare tutti i nemici di Roma. E per farlo aveva esplicitamente chiesto la sua partecipazione, nonostante Marco avesse sperato in un congedo più lungo: l'ultima campagna contro Pirro, re dell'Epiro, era stata terrificante.
In più di dieci anni da soldato non aveva mai visto una tale brutalità in battaglia e mai si era sentito così spaventato come davanti ai giganteschi animali da guerra che l'epirota aveva portato con sé; gli incubi continuavano a perseguitarlo anche in quella casa vuota e spoglia e per la prima volta aveva messo in dubbio la sua scelta di sacrificare sangue e sudore per la patria invece che per una famiglia.
La proposta di Sofo aveva poi rievocato in lui i ricordi lontani della sua prima battaglia, quando un guerriero piceno di nome Taros gli aveva salvato più volte la vita: gli eventi di quel giorno erano tutti molto confusi, ma gli occhi verdi dell'uomo gli erano rimasti impressi. 

"Cosa farò se mi capiterà di incontrare quegli stessi occhi in battaglia?"
Strinse i denti in una smorfia rabbiosa e gli occhi ambrati si accesero di una luce feroce: Marco Aurelio Quadrato amava le cose semplici, come la rude disciplina dell'esercito, la freschezza di un bicchiere di vino, la lama affilata di una buona spada; i dilemmi morali lo rendevano insicuro e scostante.
"Forse è per questo che non riesco a far carriera in politica, e non per il mio sangue bastardo..."

«Padrone?»
Uno dei pochi schiavi che teneva al suo servizio si era affacciato esitante sulla soglia della sua camera.
«È arrivata una lettera!»

Marco si scostò dal catino con un moto di stizza, afferrando di malavoglia la veste poggiata sul letto disfatto:
«Non potevi attendere che mi fossi vestito?»

«Viene da Ascoli Piceno, padrone...»

Il ragazzo lasciò cadere a terra la tunica e con uno scatto felino strappò dalle mani dell'uomo la sottile striscia di papiro arrotolato.
Leggerlo si rivelò più complicato del previsto, in parte perché le parole sembravano essere state vergate in fretta da una mano malferma e in parte perché il messaggio era uno strano miscuglio di alfabeto latino e piceno.
Quando però ne afferrò il senso, Marco si lasciò sfuggire una bestemmia tra i denti:
«Preparami una tunica migliore di questa!» abbaiò in tono aspro, passandosi una mano tra i capelli.
«A quanto pare dovrò incontrare Sofo prima del previsto!»

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