Capitolo 1

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A volte siamo così presi dalle parole, da quelle sussurrate che ci dimentichiamo dei gesti. Quelli giusti o sbagliati. Quelli che ci mettono nei casini il più delle volte. Un video abbastanza sbagliato postato su internet. Una macchia di Martini sul vestito del venerdì sera. Un bacio sotto casa che sapeva di Milano.

Capelli neri e occhi verdi ingannano, ma sono anche l'inganno più bello. Rossetto rosso e mani fredde in quel di Milano. Magari calde, se solo fossero prese e baciate.

Il liceo è una fottuta maschera.
Bello ma non ti fa paura? Non hai paura di quello che potrebbe accadere da un momento all'altro per qualcosa di "sbagliato" agli occhi degli altri? Per qualcosa detto? Non hai paura dell'essere uguali? Non pensi anche tu che il mondo sia soltanto una cazzata? Che quello che ci viene detto non è nient'altro che una grossa bugia?
Non pensi che sia meglio incontrare qualcuno diverso, con idee diverse, con un modo di vestirsi diverso? Non pensi che sia meglio? Ma noi cosa potremmo fare. Viviamo i nostri giorni come se fossero gli ultimi. Incontriamo sconosciuti sulla metro. Incontriamo ottantenni per mano tutti i giorni. Incontriamo persone che vivono nelle strade. Incontriamo persone romane che fingono di essere milanesi. Incontriamo il ragazzo perfetto nel momento completamente sbagliato.

Settembre.

Greco alla prima ora è illegale.

Quella stronza interroga.

Non ho studiato nulla. Ero troppo impegnata a pormi domande durante il fine settimana e a capire il perché mio padre ci avesse abbandonato.

Ha sempre fatto così. Ogni volta che c'era un problema prendeva e se ne andava ma ero certa che una volta si fosse calmato, sarebbe tornato da me. Dalla sua "piccola". Poi una sera ha deciso di andarsene per davvero.

Decido di entrare alla seconda.

Entro in classe con ancora le cuffiette bianche e l'ultimo pezzo di Gazzelle nelle orecchie.

"... E piangi sul cuscino, tutte quante le mie lacrime. E bevo come un ragazzino e quando bevo senza te, quando faccio schifo, quando faccio schifo come te..."

Poso l'Eastpak vicino il banco e prendo il libro e il quaderno di algebra.

Stupide equazioni.

Poi mi accorgo che alla mia sinistra c'è un tipo nuovo. Non è di questa scuola e sembra molto più grande e maturo per essere del terzo.

Leo.

Capelli come la cenere e occhi verdi dove si può tuffarcisi dentro.

La prima cosa che noto in una persona sono gli occhi. Nascondono tutto e dicono l'esatta verità e cosa più figa, capisci esattamente quando ti racconta un sacco di cazzate. In poche parole, ti risolvono i problemi. Guardando gli occhi capisci il mondo. Guardando i suoi e conoscendolo meglio dopo, ho capito che è tremendamente sensibile anche se non dà a vederlo. Il padre lo ha lasciato quando aveva soltanto tre anni. Con la mamma ha un rapporto bellissimo e non la lascerebbe per nulla al mondo. Mano sul cuore. Viveva qui ma si è trasferito, un anno dopo che il padre li ha lasciati, a Roma (ecco l'accento romano che non mi spiegavo). Ha 18 anni.

Gli accenno un saluto. Non mi va di andare oltre.

Lui non ricambia: è troppo impegnato a chattare con ragazze più piccole, molto più piccole di lui.

"Scherziamo? Questa potrebbe essere sua sorella" penso a voce alta.

A voce alta.

Lui mi sente.

Mi guarda.

Ride.

Rido anch'io.

"Che fai?! Ti ho appena incontrata e già mi spii il telefono?"

Lo guardo negli occhi.

Ridiamo come due matti.

La classe punta gli occhi su di noi.

Mani fredde #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora