*Prologo*

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_*Cattleya*_

Ci sono tanti vocaboli per spiegare ciò che sta per avvenire.
Nefasto, mi aggrada. Non presagisce nulla di buono.
Fatale. É così che dovrebbe essere una fine, che sancisce il mio inizio.
Distruttiva. Mi piace esserlo, come loro hanno distrutto ciò che di più caro avevo.
Lenta e precisa, dentro questa recita, dove il sipario si spalanca e do inizio alla mia sceneggiata.

Esistono molte forme di dolore. Fisico. Ma quello più distruttivo è sicuramente quello mentale.
Quello ti sgretola, di disintegra, ti annienta.
Ti penetra dentro le ossa come il gelo, e quello resta. Niente più colore. Niente più calore.
Ci sono ferite profonde che non si emargineranno mai, ma al massimo lasciano cicatrici visibili per ricordare.
Ci sono scene che non puoi cancellare, ma al massimo tentare di non ricordare, per non affondare nell'oblio della più pura disperazione.

Sono nata esattamente ventidue anni fa, tra sterpaglia incolta, e il marcio del mondo annesso alla sua puzza di crudeltà nefasta.
Sono originaria del Venezuela, Caracas precisamente, ma mi sono trasferita dodici anni fa a Manhattan.
Sono venuta al mondo per uno scopo, che mi spinge ad andare avanti da tutta una vita.
Nulla che possa essere fantascientifico.
Niente alieni o demoni da sconfiggere...No!
Qui si tratta di un conto in sospeso, che chiuderò grazie alla sofferenza che mi porto dentro, in un cuore insonorizzato, dotato di ammortizzatori per i colpi.

Analizzo da dietro i miei occhiali a montatura leopardata, lo schermo del computer.
Gli ultimi spostamenti di merci.
Un impero tirato su per il piacere, ricavando alleanze verso i cartelli importanti, di tutta l'America Latina.

Vi chiederete perché ho aspettato così tanto per attaccare.
Ho lavorato molto su me stessa. Sulla mia sicurezza. Mi sono dovuta munire di attrezzature che coprissero ogni mia minima debolezza.
Una corazza impenetrabile.

«Ti accompagnerò fino al confine, e da lì in poi continuerai a piedi, finché non vedrai un furgone oltre la dogana. Murad, saprà cosa far...» Sospendo Gary con un'alzata di mano, il piano che abbiamo studiato per due mesi interi.

Farmi passare per una merce, in cambio di polvere raffinata, che Murad si é procurato vendendo l'anima al diavolo.
Precisamente un braccio mutilato, dove adesso ha affissa una protesi.
Sono stata inserita nel database grazie a Gary. É un hacker professionista, e ora anche io sono una di quelle tante ragazze che viaggeranno fino a Cuba.
Verremo lasciate al porto, viaggiando sopra un traghetto per arrivare a l'Havana, e successivamente ricaricate come dei pacchi postali fino a Cienfuegos.

Clicco con la mano sopra al Mouse, giusto per farmi un'idea della città. Ovviamente non sono una turista.
«Perché lo fai Elenor? É passato tanto tempo, tu eri solo una bamb...» Lo blocco nuovamente brusca, girandomi con il volto iracondo verso il suo preoccupato.

«Una bambina che ha visto i suoi morire sotto i propri occhi innocenti. Chiusa in un'orfanotrofio, finché la tua famiglia non mi ha adottata.» Gli rifaccio presente con il dolore rovente come una pressa schiacciata sul petto, il motivo lampante.

Noto le sue palpebre abbassarsi per celarmi le iridi nocciola, piene di apprensione, e con un balzo mi isso dalla mia sedia girevole.
Mi alzo con una mano a pugno, i lembi del vestito rosso corto, e gli monto a cavalcioni portando le dita a solleticargli la nuca, facendolo gemere di piacere, mentre la sua erezione dentro i pantaloni si pigia fiera tra le mie labbra coperte da un tanga di pizzo.

«Gary, apri gli occhi.» Gli sussurro suadente sulle labbra, prima di leccarle con la punta della mia lingua, facendole schiudere in un ansimo roco.

«Sei scorretta El...» Ribatte con la voce più bassa per l'eccitazione, e i suoi palmi si stringono su i miei fianchi nel sentirmi emettere una risata sensuale, dovuta alla sua sconfitta.

«Sono mai stata corretta?» Lo pungolo con sfacciataggine, muovendomi sinuosa su di lui, che scivola con un palmo verso le mie natiche e i suoi polpastrelli sfiorarmi fino a trovare il mio fulcro.

«Sai sempre come rigirare la situazione, a tuo favore.» Ammette assuefatto da me, per poi scostarmi il tessuto e penetrarmi violento con due dita. Ancor più violenta é la mia bocca, che feroce si abbatte sulla sua, dominandola.
É sempre stato così tra noi. Dalla prima volta che sentii la voglia di perdere la verginità.
Non mi interessavano i bambini a scuola, che mi prendevano in giro per il mio colore mulatto.
Gary era più grande di sette anni, io avevo sedici anni, e lo volevo.
Lo avevo provocato in ogni modo, e cedette quando una sera da soli in casa, mi feci trovare nuda sul suo letto ad una piazza e mezzo mentre mi facevo un ditalino gemendo il suo nome.

«Mi mancherai.» Geme frustrato, nel sentire la mia mano stimolargli i testicoli.

«Ci terremo in contatto in qualche modo.» Lo rassicuro dolcemente, e annuisce mentre continua a darmi piacere e farci cavalcare l'onda del desiderio che si trasforma da denso a liquido.

Porta la fronte contro la mia, riaprendo gli occhi per perdersi nelle mie iridi miele.
Abbiamo ancora i respiri affannati, ma sento distintamente una sua mano allungarsi per prendere un auricolare a forma di tappo per dormire la notte, e l'altro uguale, lo é sul serio.
Lo fisso scettica, vedendo il suo sorriso allargarsi.
«usa questo, solo quando sei certa di essere da sola. Non nominarmi mai, e...stai attenta Elenor.» Di nuovo si premura amorevole, di guardarmi intorno, dietro e anche davanti.

«Saprò cavarmela.» Sono sicura quando lo dico, ma il mio corpo trema e mi alzo, per non farglielo scorgere.

«Ti toccheranno altri uomini.» Il suo fiato si spezza su questa constatazione, perché non è una domanda. Lo so io. Lo sa lui. Non posso smentire la dura verità. Da domani sarò una merce. Sarò una delle donne di Don Camilo e dei suoi "amici".

Ma non abbasso lo sguardo, lo tengo innalzato. Tengo a Gary, ma non è amore, nonostante lui mi abbia ripetuto più volte che mi ama. Ho imparato che non c'è tempo per quel sentimento. Che è tutta un'utopia dei classici sognatori. Che non mi sarei più legata così tanto a nessuno, dopo la morte dei miei.
Tutt'ora i miei patrigni sono dei conoscenti per me.

«Vado a mettere le ultime cose nella sacca.» Spezzo il tutto con quell'affermazione, senza nessun cedimento vocale.

Sarò di tutti, ma mai di nessuno.
Mi toccheranno sulla pelle, ma mai nell'anima. Affonderanno nel mio corpo, ma mai nel mio cuore.

Da domani sarò un' Orquìdea Salvaje, sotto il nome di Cattleya García.

*Orquìdea Salvaje* ~Prossimamente~ Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora