🎆 9. Andreo e Giulietto

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Nicole si alzò dal terreno, mirò un po' alla cieca quell'asta di fronte a lei e poi tirò un calcio così potente che il pallone finì verso la seconda stella a destra, addosso a una sediolina degli spalti, rimbalzando sulla plastica con un rumore secco che riecheggiò per tutto il campo.

C'erano solo lei e la nebbia, ma si immaginò che la curva si alzasse ed esultasse per il suo colpo facendo partire bombolette di fumo rosse e cori animaleschi. Cosa che non sarebbe mai successa, perché con tutte le volte in cui aveva provato, non era ancora riuscita a portare a casa un punto oltre la maledetta asta.

E sì che Giulio Pizzi la faceva sembrare così facile.

"Lucich!"

Accidenti! Balzò, recuperando il pallone sperduto e voltandosi con quello stretto fra le braccia come se fosse un bambino che avrebbe dovuto accudire.

Si accorse che a parlare era stato suo padre, così si rilassò quanto bastava per riconoscere il grado di parentela, ma riprese rigidamente a riordinare gli oggetti sparsi in giro, per non doversi sorbire un richiamo ufficiale alla santa sede del Vaticano.

"Scusa, stavo solo controllando che fosse gonfio."

L'uomo, dapprima impettito e burrascoso, lasciò andare qualche punto di camicia e si avvicinò alla figlia: "Hai eseguito malissimo, Lucich. Rimettiti in posizione che rifacciamo come si deve."

"Papà..." sbuffò lei, mentre piegava casacche e raccoglieva ginocchiere pur di non dovergli dare retta.

"Lucich." ripeté lui, in tono autoritario.

Così lei capì che avrebbe dovuto dargli retta. Antonio non l'avrebbe lasciata in pace finché lei non avesse rifatto l'esercizio, ogni supplica sarebbe stata inutile, e dato che ormai lo sapeva bene, semplicemente si arrese agli ordini. Mollò la sua roba, si piantonò sul cerchietto bianco e affrontò a muscolatura molle la preparazione al calcio da tallonatore di touch.

"No, non così." osservò suo padre, prendendola delicatamente per le spalle e ruotandola verso sinistra di qualche grado. "Sei mancina, te lo devi ricordare, Nicole."

Sbuffò.

La ragazza pareva oltremodo scoraggiata: non avrebbe mai beccato il canale, così, o avrebbe finito per far orbitare il pallone verso Urano, come poco prima.

Antonio si posizionò dietro di lei, corresse l'impostazione delle spalle, della schiena e delle gambe, poi allungò un braccio a pochissimi millimetri dal suo viso: "Vedi? È lì che devi mirare, non in un punto a casaccio del cielo. Dosa la forza, pensa di far passare la palla un po' sotto e vedrai che invece arriverà giusta giusta a qualche centimetro sopra."

"Tanto non mi è mai venuto. Lo sai."

"Perché non ci credi abbastanza." 

Quella frase tumblr detta da niente meno che il coach Lucich, in un raro quanto improbabile sprizzo di umanità, rimescolò lo stomaco già abbastanza malandato di Nicole e la convinse a riprovare. Così, girò la testa verso la traiettoria che Antonio le aveva mostrato e prese un profondo respiro che le riempì il polmoni di nuova adrenalina.

Caricò, lasciò e il lato del suo piede accompagnò la palla ovale in un perfetto arco che finì la sua corsa appena due centimetri sopra il canale di fondo campo.

"Punto." decretò suo padre, e su entrambi i loro volti si disegnarono due identici sorrisi soddisfatti.

"Sei veramente infallibile come dicono." insinuò Nicole, lusingata dalla sua stessa performance, ma impegnata a non darlo a vedere.

"Certo, ma bisogna dire che è merito della propensione al successo firmata Lucich."

"Io sono un fallimento, papà."

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