🎆 2. Autostop

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QUESTO CAPITOLO ERA IN ORIGINE UNA ONE-SHOT DI NOME "AUTOSTOP", CHE HO RIMOSSO DAL MIO PROFILO PER INCORPORARE A QUESTA STORIA.

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Serena avvistò il ragazzo almeno un centinaio di metri prima. Stava appena sul ciglio e, con somma sfacciataggine, sbandierava il pollice a destra e sinistra, invadendo la carreggiata. Aveva un cappello di paglia un po' da campagnolo e la canotta bianca rigata di nero. Per non parlare delle ginocchia; sbucciate ed entrambe sanguinanti.

Serena non seppe se per la depressione del momento, o perché le fece pena, o solo per coprirlo di insulti, ma si fermò.

"Non ti puoi buttare così in mezzo alla strada. Se uno non ti vede, ti investe." gli fece notare, parlando attraverso il finestrino del passeggero, che aveva abbassato.

"C'è piena visibilità in questo punto. Scommetto che mi hai visto almeno cento metri prima. Comunque grazie!" sorrise lui tirando con sollievo la maniglia della portiera. Ma questa, con suo sommo disappunto, non aprì nulla. "Be', niente passaggio?"

Serena guardò lo sconosciuto con curiosità e fastidio. Era un ragazzo piacente: biondo scuro, occhi grandi e chiari e pelle abbronzata. Anzi, addirittura arrossata sulle guance e sul naso... doveva aver preso parecchio sole aspettando lì sotto, infatti era pure sudato.

Alle sue spalle era parcheggiata una bicicletta con la ruota davanti e il manubrio distrutti.

Ancora senza capire del tutto il perché, Serena seguì l'istinto e sbloccò la sicura. Lui entrò, posò il borsone ai suoi piedi e tirò un lungo sospiro: "Puttana!" esclamò, a mo' di considerazione su quanto la situazione non fosse delle migliori.

E poi, con un'eleganza sopraffina, usò una mano per asciugarsi la fronte e l'altra per presentarsi: "Andrea, piacere e grazie. Probabilmente non lo sai, ma mi stai salvando il culo. Te?"

"Io cosa?"

Perché parlava in modo così sconnesso?

"Come ti chiami, oh mia eroina?"

"Serena."

"Be' non si direbbe."

Andrea osservò Serena: aveva le guance rigate dal mascara, gli occhi rossi e le occhiaie lucide come se le lacrime fossero fin troppo recenti.

"Sto avendo una giornata di merda." si spiegò lei, avvertendo il peso delle sue silenziose considerazioni. "Dove devi andare?"

"P. Sherman, 42, Wallabe Way, Sidney."

"Ti faccio scendere."

"Capito; non molto ironica. Devo andare al palazzo di cristallo. Sai dov'è?"

Serena cercò di fare mente locale: le due rotonde, la zona industriale, il sushi e poi il palazzo chiamato di cristallo per via di tutte le finestre. Sì, sapeva la strada. Distava al massimo una ventina di minuti.

"Sì. Ok." disse, mettendo la prima.

"È tanto distante da dove devi andare te?" Andrea si abbassò continuando a parlare, mentre rovistava nel borsone. "Ho solo dieci euro, cazzo, mi dispiace. Ti van bene o mi molli a metà?"

"Non ti preoccupare, non voglio niente."

Andrea tornò di scatto in posizione, per fissare la faccia rotonda della ragazza e sorridere: "È il mio giorno fortunato o mi porti in un boschetto per stuprarmi?"

"Non mi pare proprio il tuo giorno fortunato." buttò lì Serena, dando un rapido sguardo alle sue ginocchia.

Il ragazzo schioccò la lingua: "Sono caduto in bici. Te?" si preoccupò, ruotando l'indice attorno ai suoi occhi.

Invischiati per le festeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora