Capitolo 11 - Lo Spettro, il Matto e la Bella Addormentata

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Aria! Dov'era finita l'aria?

Seamus aprì gli occhi boccheggiando in un inferno blu, un peso liquido che lo schiacciava e non gli permetteva di respirare.

Era nel panico: una muta mitraglia di bolle fuoriuscivano dalla sua bocca, mentre annaspava in quella gabbia d'acqua. Che stava accadendo?

Quel dannato spettro imbonitore gliene aveva combinata un'altra delle sue! Questa volta non l'aveva spedito dentro a un libro. Ci stava proprio affogando dentro!

Ma perché?

Perché deve doveva iniziare sempre così? Perché mai un morbido atterraggio su un prato profumato in fiore? Con qualche uccellino che cinguetti il benvenuto, magari. Sì, beh, dall'alto del cielo, s'intende.

Si rese conto che recriminare sull'entrata in scena, al momento, non gli sarebbe servito a molto, per cui si impose la calma: in fondo sapeva nuotare, doveva solo smettere di starnazzare per la paura e spingersi verso la superficie.

Cercò quindi di guizzare come un delfino, ma la triste verità era che, pur imponendosi il controllo motorio con tutto se stesso, nelle movenze si sentì più un tonno con delle pinne atrofiche. Per giunta, un tonno stupido, ma così stupido che si arenò subito sul fondale nel darsi la spinta per risalire.

No, no, no! Gridava, nel suo silenzio. Con colpo di disperazione saltò e riemerse, tossendo quella vita che aveva temuto di perdere mentre dalla bocca gettava cascate d'acqua, in cerca di qualcosa di più prezioso.

Aria! Finalmente!

Presi un paio di lunghi respiri, oltre alla salvezza arrivò anche la lucidità necessaria per guardarsi intorno; era mezzo affogato in un laghetto, sì, ma arrossì constatando quanto fosse poco profondo; appariva più come una pozzanghera di acqua dolce, dalla quale fuoriusciva tranquillamente con l'intero torace. Camminando avrebbe raggiunto in breve terra ferma.

Buttò un'occhiata rapida alle sponde: floride, dalla vegetazione lussuriosa e accogliente, senza nessun animale selvatico nei paraggi ad aspettarlo, festante.

Beh, tutto sommato non era un postaccio, pensò, e rincuorato sospirò via la tensione. Ma quella, maledetta, ritornò subito. Appena si accorse di un ragazzo nudo, a mezzo metro di distanza da lui.

Un umano? No, uno spettro, si corresse, davanti ai suoi occhi bui quanto una notte senza stelle.

«Oh, no!»

Seamus riuscì solo a dire questo, prima che una forza invisibile lo sbalzasse via. Per qualche terribile secondo planò a filo d'acqua, finché non cadde di schiena su un suolo melmoso che puzzava di muschio e marcio. Il dolore dell'impatto lo stordì e presto tutto si fece scuro, insieme alla sua coscienza.

Nausea.

Fu quella a riportare Seamus indietro, dal limbo in cui si era perduto. Una nausea tremenda per la quale riaprì gli occhi d'improvviso, scattò come una molla per sedersi e rigettò bile e alghe da una parte.

Una scena pietosa, imbarazzante, e purtroppo per lui, con dei testimoni che commentarono a caldo il proprio disappunto.

«Che cazzo di schifo!» gracchiò uno, tra le grasse risate di un altro.

Sembravano solo in due. Seamus sperò fossero in due, visto che non era proprio in grado di verificare. Aveva la nebbia negli occhi e il capo chino sul terriccio puzzolente, alla mercé del suo malore e di quegli sconosciuti che gli ferivano le orecchie e l'orgoglio.

«Vaffanculo, Reid, che cazzo ridi? Guarda: mi ha pure schizzato sullo stivale! Questa volta lo ammazzo, lo ammazzo!»

«Ma non fare il drammatico, Splendore! Dammi il tuo piedino che te lo pulisco io, lo stivale!»

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