Capitolo 13

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Andrew

Non ero preparato a questa miriade di sensazioni che Angel ha scatenato in me. Scoparla è l'esperienza più inebriante della mia vita.

Sospiro penetrandola ancora più a fondo, sempre più veloce.

Ormai sono al limite.

«Coraggio, angelo. Vieni», la esorto. So che è vicina, lo sento dai suoi gemiti che si fanno via via più acuti. È uno spettacolo guardarla mentre gode.

«Andrew», ripete per l'ennesima volta il mio nome e io sorrido. Sulle sue labbra ha un suono stupendo.

«Sì, angelo. Lasciati andare».

Lei solleva i fianchi in modo quasi frenetico aumentando non solo il suo, ma anche il mio piacere. Siamo un tutt'uno. Una cosa sola.

Infine, eccolo. L'orgasmo. Quel momento in cui si abbandona totalmente a me, ed è in mio potere.

«Sì, angelo. Così».

La sua fica si stringe attorno al mio cazzo e io non capisco più niente; ansimo contro il suo collo e spingo più forte, più in profondità, finché non la seguo a ruota eiaculando dentro di lei. Per un attimo resto immobile con gli occhi chiusi, il volto sepolto nei suoi capelli.

Sono senza fiato, privo di forze.

È stata la scopata più intensa della mia vita, e se penso che per lei era la prima volta... non oso immaginare dove potremmo arrivare insieme quando le avrò insegnato tutto quello che so sul sesso e come dare piacere al proprio partner.

Apro gli occhi lentamente e sollevo lo sguardo per ammirarla. È bellissima. Ha le guance arrossate per il piacere e sulla pelle candida dei seni spuntano i capezzoli scuri, ancora turgidi. Seguo il ritmo del suo respiro accelerato, poi poso la fronte sulla sua.

«Allora, signorina Mancini... come sono andato?», scherzo.

Lei si solleva sui gomiti e mi dà un bacio sensuale sulle labbra. «Stavolta è una A. Senza ombra di dubbio».

Rido e ricambio il bacio. Poi esco da lei lentamente, cercando di essere delicato; non mi sfugge la macchia scura sul lenzuolo che attesta la sua verginità perduta. Sono quasi commosso per il fatto che ha scelto me, che mi ha concesso l'onore di essere il primo. Infine, mi alzo e mi dirigo verso il bagno.

«Dove vai?». Sembra allarmata. Mi segue con lo sguardo e io mi volto per rassicurarla.

«Torno subito, angelo».

Rientro in camera un attimo dopo, con un piccolo asciugamano di spugna che ho provveduto a immergere nell'acqua tiepida; mi siedo sul letto accanto ad Angel e la esorto ad aprire le gambe. Lei arrossisce e protesta.

«Che vuoi fare?», chiede corrugando la fronte.

«Lasciami fare e vedrai».

Alla fine obbedisce, seppur riluttante. Le passo il panno umido tra le cosce, alleviando così il suo fastidio.

«Va meglio così?», le chiedo apprensivo. Non ho molta esperienza con le vergini, mi sento un po' impacciato.

Lei annuisce. «Sì, grazie».

«Avevo promesso di andarci piano, ma non sono riuscito a trattenermi». Ricordo alla perfezione che a un certo punto ho cominciato a spingere come un dannato, dimenticando che per lei era la prima volta. Sono stato un perfetto idiota.

«No». Angel scuote la testa. «Sei stato meraviglioso, davvero».

Le sfioro le labbra con le mie. La tentazione di prenderla di nuovo è forte, ma stavolta mi trattengo. Devo pensare a lei.

«Ora riposa», le ordino accarezzandole i capelli.

«Resterai qui con me?». Sembra in apprensione.

Le sorrido. «Certo. Al tuo risveglio mi troverai sempre qui, non scappo da nessuna parte».

Ricambia il mio sorriso, poi finalmente si mette sotto le coperte e chiude gli occhi. Resto a guardarla per un po' mentre dorme: ha le labbra rosee leggermente dischiuse, il respiro lento e regolare.

È incantevole.

Mi metterei a dormire accanto a lei, se non fosse che non riuscirei a chiudere occhio.

Sono di nuovo eccitato.

Dannazione, il solo guardarla me lo fa venire duro.

Sospiro e mi alzo cercando di non fare rumore, mi infilo i jeans, quindi lascio la stanza in punta di piedi. Cerco il cellulare che ho lasciato da qualche parte in soggiorno e controllo le chiamate. Ce ne sono sei, tutte dalla stessa persona.

Immaginavo che avrei dovuto dare delle spiegazioni.

Imperturbabile compongo il numero e aspetto. Lei risponde immediatamente, il tono di voce leggermente stridulo.

«Dove sei?»

«A casa, dove dovrei essere?». Sentirla non mi provoca alcun piacere. Al contrario, mi sento nervoso, irritabile.

«Perché non sei venuto? Ti aspettavamo per Natale, come tutti gli anni».

«Eleanor, non ho potuto. Ho del lavoro in arretrato da sbrigare».

«Quale lavoro? Le lezioni sono terminate, c'è la pausa natalizia».

Alzo gli occhi al cielo, tanto non può vedermi. «Quale lavoro? Compiti da correggere, tesine... ce n'è per i beati».

«E non puoi concederti neppure qualche giorno per festeggiare il Natale con la tua famiglia?».

Non riesco a trattenere una risata amara. «È la tua famiglia. Non la mia».

«Avevi promesso...».

«Senti, Eleanor... devo andare. Ti richiamo». Interrompo la chiamata senza un ripensamento. Ricordi del mio passato bussano alla porta della mia mente, ma non li lascio entrare. Non ora. Torno in camera e mi siedo sul letto, lo sguardo rivolto ad Angel che dorme profondamente, i lunghi capelli biondi sparsi sul cuscino.

Ha un effetto calmante su di me.

Appoggio il capo alla testiera del letto e chiudo gli occhi, inspirando ed espirando per riprendere il controllo sulle mie emozioni, ben deciso a lasciare i ricordi lontano da questa stanza e da noi.


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