Capitolo 1

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Angel

«Ho fatto una cosa terribile». Stringo la mia tazza di latte macchiato lanciando un'occhiata colpevole a Carol, la mia migliore amica.

«Davvero?». Lei inarca un sopracciglio senza scomporsi, quasi non mi credesse capace di compiere cattive azioni; in effetti di solito sono una persona piuttosto prevedibile. Osservo le regole, mai un colpo di testa.

Almeno fino a ieri.

Arrossisco al solo pensiero. «Dico sul serio. Non so cosa mi sia preso».

«Avanti, che hai fatto?»

«Ero a casa dei Brown», comincio titubante. «Mi hanno chiesto di tenere Bess e Tom, la domenica sera di solito vanno a teatro e...».

«Vai al dunque». Carol alza gli occhi al cielo, spazientita. Sa perfettamente che i Brown mi hanno assunto come baby sitter e che io approfitto di questo lavoretto per pagarmi gli studi. Se dovessi contare sull'aiuto di mio padre, di certo non potrei permettermi il college.

Mi inumidisco le labbra. «D'accordo, a un certo punto mi sono affacciata alla finestra. Ero soprappensiero e non mi sono resa conto subito di essere osservata...».

«Osservata da chi?». Devo aver catturato la sua attenzione, perché Carol solleva lo sguardo e mette da parte il suo cappuccino.

«C'era un uomo alla finestra di fronte».

«Un uomo?»

«Sì», rigiro il cucchiaino nel mio latte macchiato nel tentativo di prendere coraggio. «Un bell'uomo. Alto, coi capelli biondo scuro, corti ai lati e un po' più lunghi sulla fronte».

«Gli hai fatto la radiografia?». Carol ride e io mi irrigidisco.

«No, certo che no!». Mi passo ripetutamente le dita nei capelli. In realtà quel che sostiene la mia amica è vero, l'ho osservato bene. Mi capita di rado di vedere uomini così attraenti. Indossava un completo grigio scuro e una cravatta color giallo canarino. Elegante e sobrio. Molto sexy. «Insomma, mi lasci finire?».

Lei sbuffa, ma non mi interrompe più. Così le racconto quello che è successo, conscia del fatto che le mie guance devono aver assunto un color porpora decisamente inopportuno.

«Aspetta, mi stai dicendo che sei rimasta a guardarlo mentre si faceva una sega?». Carol sgrana gli occhi incredula, e io mi appiattisco sulla sedia, nel vano tentativo di scomparire dalla faccia della terra.

«Abbassa la voce!». Controllo rapidamente che nessuno ci abbia sentite e tiro un sospiro di sollievo: le persone ai tavoli vicini non si sono nemmeno accorte di noi, troppo impegnate nelle loro conversazioni.

«Deve averti colpita sul serio». Carol sogghigna; mi conosce dalle elementari e sa che un simile comportamento non è da me.

«Era come se fossi ancorata al suolo, non riuscivo a muovermi», mi giustifico. Ma so perfettamente di non avere scusanti. In realtà non so cosa mi sia preso. Tanto più che ho un ragazzo. Io e Cole usciamo insieme da due mesi, lui è carino e gentile; ha tutte le doti che cerco in un ragazzo.

Non potrei mai tradirlo.

Semplicemente non sono quel tipo di persona.

«Ehi, mi ascolti?». Carol mi sventola davanti la mano e sbuffa. «Ti sei persa nel mondo dei sogni?».

Le mie guance si incendiano. Scuoto la testa, non so se per rispondere alla domanda della mia amica o semplicemente per schiarirmi le idee.

«Come vanno le cose con Cole? Tutto bene?».

Annuisco convinta, o almeno spero di sembrarlo. In realtà, ho in testa mille pensieri contrastanti.

Sono confusa. «Sì, certo», ribadisco affinché Carol non si metta strane idee in testa. «Va tutto a meraviglia».

Lei scrolla le spalle e si alza rovistando nella borsa. «Sarà meglio andare o faremo tardi a lezione».

Sospiro e finisco di bere il mio latte macchiato alla velocità della luce, prima di alzarmi anch'io. Oggi ho la mia prima lezione di letteratura inglese, una materia che adoro. Non l'ho mai detto a nessuno, ma un giorno mi piacerebbe diventare una scrittrice. Amo i libri e tutto ciò che ruota intorno a essi; semplicemente non ne posso fare a meno.

Carol si protende verso di me e mi stampa un bacio sulla guancia. «Ciao, io devo scappare. Se no chi lo sente il mio prof di storia americana? Detesta i ritardatari. Una volta a lezione ha sbattuto fuori un ragazzo solo perché era arrivato in ritardo di cinque minuti».

«Tranquilla», rispondo con un sorriso accondiscendente. «Posso cavarmela da sola. Devo solo trovare l'aula giusta, ma se mi perdo chiederò aiuto a qualcuno».

Carol ride. «Nel caso, chiedi a una studentessa. Le lezioni del professor Barrett sono famose qui alla Columbia University, specie tra le ragazze». Mi strizza l'occhio e io resto imbambolata a fissarla.

«Perché famose?»

«Perché Barrett è l'insegnante più figo di tutta la Columbia. E anche il più stronzo».

Le sue parole non sono affatto incoraggianti. Osservo Carol allontanarsi di corsa e, dopo aver pagato le nostre consumazioni, esco a mia volta e attraverso a passo spedito il campus cercando nel mio zaino la cartina.

Non sia mai che mi perda davvero!

Ho ancora il naso sepolto nel mio disordine quando all'improvviso scontro qualcosa.

O qualcuno.

Sollevo la testa di scatto, le guance in fiamme. «Oh, mi scusi!». I miei occhi incontrano quelli grigio azzurri di un uomo vestito in giacca e cravatta. Nel riconoscerlo mi pietrifico all'istante.

È lo sconosciuto che ho visto alla finestra.

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