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Ayame Sakamoto era pronta per la battaglia.

Si era svegliata all'alba e aveva fatto nuovamente pratica con la Quinque, rinforzando sia la difesa che l'attacco. Almeno, se ce ne fosse stata l'occasione, sarebbe riuscita dare prova di sé.

Aveva sussurrato a Yataro, ancora addormentato, che sarebbe tornata da lui sana e salva. Quelle parole le appesantirono il cuore e non riuscì a dirle senza che qualche lacrima bagnasse le sue guance. Diede un leggero bacio al fratello e si lasciò la casa alle spalle, la valigetta argentea nella mano.

Arrivata alla TSC, si mise la divisa da combattimento e la ricetrasmittente nell'orecchio destro. Poi aprì la grigia custodia. Rimase immobile, fissando le due lame luccicare, per qualche secondo. Con il cuore a mille le impugnò.

Erano Sai, armi a tre lame realizzate con il kagune di un Bikaku: una lunga al centro e due più corte ai lati. Il manico, invece, era ricoperto di pelle marrone intrecciata.

Erano state il suo primo trofeo, il primo Ghoul che aveva ucciso.

Non ne era mai stata fiera. Ogni volta che li impugnava, il ricordo di aver commesso una sorta d'omicidio si faceva strada nella sua mente, quel senso d'inquietudine le aveva impedito di utilizzare l'arma per un certo periodo. Tuttavia, era riuscita a riprendersi e a diventare un'investigatrice. Fu la voglia di ripulire il mondo, per quanto poteva, dai mostri che avrebbero potuto divorare Yataro, a farle superare l'ostacolo. E, ora che ne aveva nuovamente l'occasione, dopo tanto tempo, non avrebbe esitato.

Eppure... Il combattimento avrebbe portato perdite e Ayame lo sapeva fin troppo bene. Lo sapeva e sperava di non essere lei quella a dover perdere all'oscuro gioco degli Orfani.

Con un movimento veloce di polsi, sistemò le armi nei foderi, appositamente creati per la sua arma, sulla cintura grigio chiaro. Guardò la sua immagine riflessa nello specchio della stanza bianca.

Aveva il corpo tonico racchiuso in una maglia nera e dei pantaloni attillati dello stesso colore. Ai piedi indossava degli anfibi alti, anch'essi corvini. Sul petto, come supporto, aveva una corazza cinerea. I capelli erano raccolti in una crocchia improvvisata, dalla quale spuntavano alcune ciocche rosa a contornarle il viso. Delle gocce le bagnarono le guance. Stava piangendo.

Ayame non ne conosceva il motivo e, davanti al suo riflesso, silenziosamente, restò a osservare il suo volto, fino a che non si calmò e riprese il controllo di sé.

Inspirando profondamente e passandosi entrambi i dorsi delle mani sugli zigomi, sorrise alla sua immagine. Si girò, chiuse la valigetta e, infilandosi l'impermeabile, pensò che sarebbe sopravvissuta.

• • •

La Quinx Squad era in viaggio verso il punto designato, assieme a un'altra scorta di investigatori, chiamati dal direttore come difesa per i cittadini, nel caso le cose si fossero messe davvero male.

Non sembravano molto agitati, anzi, il clima era rilassato e divertito nel furgone senza finestre. A differenza loro, Ayame cercava in tutti i modi di nascondere l'ansia che sentiva montare nel petto. Teneva le dita serrate sul trench e guardava un punto indefinito sul pavimento. Stava davvero riconsiderando la risposta che aveva dato a Marude. Forse avrebbe dovuto rifiutare, invece di buttarsi a capofitto in qualcosa di così importante.

Certo, se fossero riusciti a prendere un Orfano per studiarlo avrebbero ricevuto dei meriti, ma quello era irrilevante per lei. Non le importava salire di grado.

In quel momento, nel profondo di sé, le interessava soltanto tornare a casa. Qualcuno le si sedette vicino. Ayame non ci fece caso, rimase immersa nei suoi pensieri. L'uomo le circondò le spalle con il braccio e sospirò: «Andrà tutto bene.» Quella frase la risvegliò facendola girare di scatto, fissando confusa il volto sorridente di Yusa.

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