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«Per chi resta, ci rivediamo a fine spettacolo. Per chi torna a casa, ci vediamo martedì a lezione. E adesso fatevi un applauso, ve lo meritate!»
Una schiera di ragazzi iniziò ad applaudire e lanciare urla di gioia. Ci salutammo e in men che non si dica il gruppo si sparpagliò per il corridoio tra pacche sulla spalla e saluti.
Poggiai la schiena contro la parete. Era andato tutto bene; qualche sbavatura qua e là, sicuramente dovuta alla tensione, ma potevo ritenermi soddisfatto dei miei alunni. Avevano raggiunto un buon risultato per essere soltanto dei ragazzini. Ma quello che mi faceva sentire soddisfatto di me come insegnante era l'essere riuscito a portarli tutti allo stesso livello senza lasciare indietro nessuno.

Un sospiro mi sfuggì dalle labbra. Intorno a me, un tripudio di persone occupate a fare avanti e indietro per il corridoio come tante formiche al lavoro. Ballerini, truccatori e tecnici mi passavano a fianco intenti a raggiungere chi i camerini, chi il palcoscenico. Mi stupiva sempre constatare quante persone servissero per mandare in scena uno spettacolo. Incrociai le braccia al petto e chiusi gli occhi per assaporare quegli istanti. Avrei avuto ampio spazio per rilassarmi prima della mia esibizione -una delle ultime in scaletta-; ora avevo solo bisogno di confondermi in quel caos ed elettrizzarmi al suono dei passi veloci, delle voci concitate, del fremito degli animi che mi superavano senza accorgersi della mia presenza.
«Hobi!» riconobbi la sua voce.

«Jimin.» risposi calmo, aprendo gli occhi e fissandoli sul ragazzo che mi stava raggiungendo. Metà del suo volto era truccato di nero ed argento a ricreare le fattezze di una maschera rifinita da una cascata di brillantini; sembrava un'opera d'arte scappata da un museo. Quella visione mi suscitò una lieve malinconia; era cresciuto così in fretta nell'ultimo anno. Questo sarebbe stato il suo secondo saggio.
Si fermò davanti a me facendo una piroetta e per poco non colpì un signore di passaggio.
«Ti vedo su di giri!» scherzai «Sei pronto?»
Indossava un paio di pantaloni di seta neri ed una maglia della stessa fattura e colore, dall'ampio scollo a V. Portava delle ciabatte ai piedi ma sapevo che si sarebbe esibito scalzo.
«Sono pronto! Stavolta ho deciso di non pensare a niente e stare tranquillo.» disse sorridendo. Avrebbe potuto darmela a bere se solo non avessi notato il modo in cui apriva e serrava i pugni. Gli poggiai le mani sulle spalle e le strinsi saldamente, guardandolo negli occhi. Cercai di essere il più convincente possibile.
«Andrà tutto bene, Jimin. Sarai fantastico. Concentrati solo sulla musica e il resto verrà da sé.» Percepii i suoi muscoli rilassarsi a quell'incoraggiamento.
«Grazie hyung.» mi guardò pieno di riconoscenza sebbene non avessi fatto niente di speciale.
«Cinque minuti e si va in scena!» l'insegnante di danza moderna richiamò a sé i ballerini.
«Devo andare.» Jimin prese un respiro profondo e si avviò giù per il corridoio. Ad un tratto però si voltò nella mia direzione, cercando di sovrastare la confusione alzando la voce.
«Hyung! Mi guarderai?»
«Non ti toglierò gli occhi di dosso!»
Sorrise, rassicurato dalla mia risposta e corse via, risucchiato dalla folla.

✦✧✦

Merda! Possibile che tra tutti i giorni, proprio questo dovevo rimanere bloccato in ufficio?!
Controllai per l'ennesima volta l'orario, innervosendomi ancora di più. Non avevo promesso nulla ad Hoseok -non ci eravamo nemmeno più incontrati dopo quel pomeriggio- ma alla fine avevo deciso di andare al saggio e mi scocciava terribilmente non rispettare la decisione a causa di un imprevisto.
«Cazzo non ne vengo fuori!» sbottai.
Namjoon alle mie spalle si abbassò per leggere meglio la finestra d'errore comparsa sullo schermo del pc «Guarda, non funziona!» premetti ripetutamente una combinazione di tasti «Dimmi te se dobbiamo lavorare su computer del genere. Andrà a finire che porterò il mio da casa!»
Joon, visibilmente più calmo di me, cercò di tranquillizzarmi «Vedrai che adesso risolviamo. Fammi provare...»
Mi alzai, cedendogli il posto «Spero non perdere tutto il lavoro!» mi lagnai. Il pensiero di non riuscire a recuperare l'ultimo salvataggio mi fece sbuffare. Mi passai una mano sulla tempia, cercando di non arrabbiarmi più di quanto non lo fossi già.

«Non perderai nulla, abbi un po' di fiducia in me.»
«Sei l'unico di cui mi fido qui dentro.» borbottai, ricontrollando l'ora.
«...hai qualche impegno?» mi domandò di sfuggita mentre digitava codici a me sconosciuti.
«Mh?»
«Continui a tener d'occhio l'ora. Devi andare da qualche parte?» aprì il terminale e sullo schermo comparve la consueta finestra nera.
«No, cioè sì ma non è niente di importante.»
Si voltò, squadrandomi «Se hai cose urgenti da sbrigare, vai. Qui posso sistemare io. O almeno provarci.»
Apprezzavo il gesto ma non era giusto perdesse altro tempo a causa mia.
«No sul serio, non è un impegno di grande importanza e poi sei già stato fin troppo gentile a fermarti oltre l'orario.»

Alzò le spalle mentre inseriva comandi nel terminale «Non ho comunque di meglio da fare. E, detto tra noi, non ho proprio voglia di raggiungere i colleghi al bar stasera. Perciò se devi andare, vai. Non farti problemi.»
«Ma...»
«Ancora qui sei?!» si voltò di nuovo, alzando le sopracciglia e scacciandomi con la mano. Aprii la bocca ma non seppi cosa dire. Gliene fui estremamente grato anche se mi sentii uno scaricabarile. Iniziai a recuperare le mie cose in tutta fretta; erano le sette meno un quarto, il saggio era già iniziato da parecchio.
«Se riesco a risolvere devo solo salvare il progetto?»
«Sì esatto, basta me lo salvi. Ci penserò io domattina ad inviarlo al cliente.»
Mi fece segno con il pollice all'insù mentre immetteva altri comandi. Gli posai una mano sulla spalla prima di uscire dall'ufficio «Grazie. Vedrò di offrirti il caffè per una settimana intera.»
«Basta ti ricordi di aggiungere lo zucchero!»

✦✧✦

Jimin aveva la capacità di farsi guardare. Quando ballava aveva l'abilità di richiamare tutta l'attenzione su di sé. Questo a molti suoi compagni di corso non andava giù e più di una volta si era confidato con me, raccontandomi delle frecciatine e dei commenti poco carini che aveva ricevuto; di quanto si sentisse a disagio ad essere considerato suo malgrado il cocco dell'insegnante. Jimin rischiava di restare bloccato per colpa della gelosia rivolta nei suoi confronti perché, sensibile e privo di autostima com'era, credeva di non meritare il titolo di primo della classe.

«Se si impegnassero nel ballo come si impegnano a parlar male di te, forse potrebbero sperare di raggiungere il tuo livello.» gli avevo detto, particolarmente irritato, durante uno dei suoi sfoghi. Aveva talento da vendere ma sapeva anche che il talento non gli sarebbe bastato se voleva arrivare in alto. Mai avevo visto uno studente più dedito di lui alla danza. Se la scuola fosse rimasta aperta anche di notte, probabilmente l'avrei trovato a riprovare all'infinito un passo, una sequenza, una coreografia. Era un perfezionista al limite del maniacale; proprio come lo ero io. Forse era per quello che ci eravamo avvicinati in maniera così naturale. Rivedevo in lui una parte di me.

Andai a sedermi in prima fila, nel posto che mi ero fatto riservare appositamente per quell'esibizione. Una lieve agitazione prese a scorrermi nelle vene. Ero emozionato e curioso; volevo scoprire cosa aveva in serbo stavolta per il pubblico, Jimin. Le luci si abbassarono e scorsi le sagome dei ballerini sparpagliarsi sul palco, mettendosi in posizione; lui al centro, in quel posto che gli spettava di diritto. Mi sembrò come se tutto il teatro stesse trattenendo il respiro in quei secondi di buio prima che la musica avesse inizio. Ed ecco che le luci si alzarono e le note del pianoforte presero a diffondersi nell'auditorium.

Quando Jimin ballava, la musica passava in secondo piano tanto da sembrare un contorno, un'aggiunta; se si fosse esibito senza di essa sarebbe comunque riuscito a convogliare tutte le emozioni con i semplici movimenti del corpo. Ogni gesto unito alla sua mimica facciale ora, trasudava angoscia e tormento. E proprio come gli avevo assicurato pochi minuti prima, non gli staccai gli occhi di dosso. Non ci sarei riuscito nemmeno obbligandomi; quando lo sguardo vagava su un altro ballerino ecco che subito percepivo una mancanza e tornavo a cercarlo. Misi momentaneamente da parte il mio lato di insegnante per godermi l'esibizione come uno dei tanti spettatori che riempivano la sala. Jimin riusciva a far sembrare allo stesso tempo tutto dannatamente semplice e difficile; sapeva calibrare ogni mossa, dandole la giusta pesantezza o leggerezza a seconda dei casi e quella coreografia, che univa passi di danza classica e moderna, pareva cucita su misura per lui. Lo guardai estasiato, librarsi in aria e piroettare ed eseguire un salto acrobatico che, ne fui certo, stupì l'intera sala.
Il pezzo infine terminò così come era iniziato, con i ballerini raggomitolati a bocciolo e mentre le luci si abbassavano definitivamente su quell'esibizione, osservai la schiena di Jimin muoversi velocemente su e giù nell'atto di riprendere fiato e percepii un lieve pizzicore all'angolo degli occhi.

2nd floor || SOPE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora