Capitolo 18 - Fuorilegge

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28/O9/2OO7    03:46 p.m.
Sono sulla nave che ho preso un mese fa circa per arrivare a questo programma. Sembra passata un'eternità. Eppure, come allora, sono seduta a scrivere sul diario e ad osservare Bridgette e Geoff ridere in coro, Katie e Sadie fare le gatte morte a Justin, e Izzy urlare come una pazza. Ma non sento Duncan che incide sul legno della poltrona con il coltellino. Lui non c'è. Lo odio. Se n'è andato senza dire niente a nessuno, soprattutto a me; egoista. Uno ad uno stanno scendendo tutti dalla barca, io penso che sarò l'ultima: mi devono accompagnare fino alle coste spagnole, dove poi prenderò il treno per arrivare a Madrid. Rivedrò i miei genitori, ritornerò a scuola, dove sarò la prima della classe, potrò uscire di casa fino alle otto e mezza di sera, quando mio padre passerà a controllare che sono viva. Prima potrei anche sparire, che i miei non se ne accorgerebbero talmente sono impegnati. Si accorgono solo di quando prendo un voto inferiore al 9 a scuola, e lì sono guai seri. Chiaramente non ho mai approfittato del fatto che sarei potuta uscire di casa di nascosto, ma ora... la mia vita sembra così noiosa...
No Courtney, cosa stai dicendo, tu non mancherai mai di rispetto ai tuoi genitori.
-C

La ragazza sentì la nave fermarsi con un tonfo. Era arrivata in Spagna. Dopo aver preso il primo treno per Madrid, alle cinque di pomeriggio si trovò davanti alla porta di casa sua, all'ultimo piano di un condominio in centro città. Prese un bel respiro e suonò il campanello.
"È aperta la porta!" urlò una voce femminile fin troppo conosciuta.
"Ciao mamma" disse Courtney, entrando e pulendosi le scarpe nello zerbino. La madre della ragazza alzò appena lo sguardo dal computer su cui stava digitando freneticamente qualcosa; era la copia esatta di Courtney più anziana, pelle abbronzata, capelli castani -non sciolti come la figlia, ma contenuti rigidamente in una crocchia- e un fisico da invidiare, per l'età che aveva.
"Courtney! Come stai?" chiese la donna in spagnolo, riattaccando lo sguardo allo schermo.
"Bene" sospirò la ragazza, senza venir più considerata "e tu e il papà come state?"
"Ora non posso scusa, mi racconterai più tardi. Da brava vai in camera"

La sua stanza le sembrò incredibilmente vuota. Non aveva il permesso di decorarla, non era professionale, e le pareti erano di intonaco bianco. Per un attimo le mancarono le camere cadenti e malridotte dei dormitori del reality. Fino all'ora di cena restò in camera a fissare il vuoto bianco della stanza, quando la madre fece capolino per avvisarla di scendere a mangiare.
Courtney, obbediente, si sedette composta al tavolo, mentre la madre le serviva un piatto di insalata a pomodori, completamente scondita, perché era più salutare. Quello della cena era l'unico momento in cui madre e figlia avevano un dialogo, il padre lavorava a fino a tardi. Quella sera, però, la signora Satella era particolarmente concentrata su un caso, da dare ancor meno attenzioni alla figlia.
"Hai guardato il programma in questo mese?" Courtney fece la fatidica domanda.
"Io e papà abbiamo visto si e no due puntate" rispose la madre, armeggiando con una pila di documenti "scusa tesoro, non ci sembrava degno di attenzione. Siamo molto impegnati, lo sai"
"Capisco" e la ragazza fu, per la prima volta in vita sua, felice di non venir considerata.
Mentre finiva la sua cena, Courtney puntò l'occhio sui fogli della madre, pieni di foto e descrizioni di criminali da difendere, tutti rigorosamente in ordine alfabetico. E poi vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere. Sull'ultimo foglio c'era una foto in bianco e nero, una di quelle che ti scattano prima di sbatterti in prigione; quelle con il futuro criminale che tiene in mano un cartonato con nome e cognome. Solo che su quel cartonato c'era scritto Duncan Tarun.
"Mamma..." sibilò Courtney con un filo di voce "tu devi.... fare da avvocato a lui?"
Indicò la foto del ragazzo dai capelli verdi, e la madre sembrò notare il suo sguardo spaventato.
"Lo conosci? Spero di no per te. È un criminale"
"Era al reality con me. Non c'era solo gente come lui, ovvio!"
"Ora ricordo dove me lo avevano segnalato, comunque non ho ancora accettato il caso e non penso che lo farò. Questo ragazzo ha giocato a fare il ladro per tutta la sua infanzia, poi, qualche giorno fa, è diventato maggiorenne, e gli serve un avvocato dai poteri magici per tirarlo fuori dalla gattabuia"
"Che crimine ha commesso?"
"Una serie di piccoli furti che gli hanno fatto accumulare vent'anni di galera. Ha genitori alcolizzati ed è privo di persone che possano testimoniare la sua innocenza. È indifendibile, e io sicuro non muoverò un dito per tirarlo fuori da questa situazione. Ma dopotutto chi lo farebbe mai, guardalo com'è conciato! Con questi capelli, questi tatuaggi e questi piercing, mi stupirei convincesse qualcuno ad accettare la causa!"
"Quindi è.... condannato a restare in prigione.... 21 anni?"
"A meno che qualcuno non lo faccia evadere!" la signora Satella scoppiò in una grossa risata, e si aspettò che anche Courtney facesse lo stesso, ma ciò non avvenne.
"Vado a dormire, sono molto stanca" si congedò la ragazza, che aveva preso troppo sul serio le ultime parole della madre, e che non si sarebbe fermata per niente al mondo. Stava per commettere una pazzia, qualcosa che non avrebbe mai neanche lontanamente immaginato di fare.

Passò una settimana a fare ricerche su ricerche e alla fine trovò il carcere dove Duncan era rinchiuso; era nella periferia spagnola, non troppo lontano da casa sua. Meglio, ci sarebbe stata meno strada da fare. Courtney sapeva essere molto convincente nelle parole, questo era un dato di fatto; perciò in pochi minuti riuscì a farsi passare al telefono il ragazzo dai capelli verdi.
Duncan fino ad allora era stato nella sua cella, completamente impotente. La prigione non era come il riformatorio, lì c'erano omoni giganti che avevano commesso i crimini peggiori, con cui non potevi azzardarti a scherzare: ci rimanevi secco. Il riformatorio era un gioco in confronto, evaderne una passeggiata per Duncan. In prigione ogni minuto passava una guardia a perquisirti, anche se, con un piano ben strutturato, non era impossibile la fuga. Ma era insensata, Duncan neanche sapeva dove si trovava, l'avrebbero acciuffato in un batter d'occhio. Un giorno fu chiamato al telefono collettivo, e la cosa lo sorprese non poco.

"Duncan?"
"Courtney? Cosa stai facendo?" chiese il ragazzo, più sbalordito che mai, non appena riconobbe la voce. Chiunque si sarebbe aspettato di sentire, tranne lei.
"Non fare domande. Devo tirarti fuori da qui"
"Stai scherzando. Courtney, qualsiasi cosa tu voglia fare, non farla. Non voglio che ci vada di mezzo anche tu"
"Tra qualche settimana c'è la finale, non puoi stare rinchiuso lì. Lo so che te lo meriti perché sei un criminale, ma NON CE LA FACCIO ad immaginarti tra quegli assassini veri. Ho paura per te, Duncan" la ragazza era in lacrime. "Mi sono documentata su tutto, e ho elaborato un piano per farti fuggire"
"Non devi farlo. Non posso trascinarti nei miei casini, tu devi essere di più di così!"
"Smettila! Non cercare di farmi cambiare idea! Non posso lasciarti lì!" singhiozzò.
La ragazza non poteva mettersi a riflettere sulle conseguenze delle sue azioni: se l'avesse fatto, anche solo per un secondo, Duncan sarebbe stato in prigione vent'anni. La ragazza gli spiegò per filo e per segno il piano che in poco meno di una settimana aveva elaborato. Un piano geniale, che combaciava in tutto e per tutto e che doveva essere attuato esattamente al settimo cambio della guardia la mattina del venerdì successivo. Duncan non aveva commesso crimini seri, quindi non era in un carcere di massima sicurezza e, cosa più importante, era in cella da solo. Un coltellino su venti non erano riusciti a sgamarglielo: avrebbe silenziosamente, ma velocemente segato la grata sul muro, che guardava direttamente fuori dall'edificio, e sarebbe scappato senza lasciare traccia. Courtney avrebbe aspettato fuori, e senza far vedere il suo volto avrebbe oscurato tutte e cinque le telecamere che, aveva calcolato, avrebbero puntato su di lui in quel momento. Era una questione di minuti, forse di secondi: uno sbaglio e sarebbero stati entrambi in gattabuia. Per arrivare in Canada non c'erano problemi: una nave sarebbe passata a prendere Courtney per portarla a Wawanakwa alla finale, e Duncan sarebbe stato con lei, in un altro stato, dove poi avrebbe vissuto senza essere ricercato.
"Non devi farlo per me, principessa. Ti ho rovinata, non doveva succedere così" disse Duncan, preoccupato della sorte della ragazza. Ne era così innamorato, e per questo voleva solo il meglio per lei.
"Forse mi hai rovinata" ammise Courtney "o forse mi hai fatto scoprire un lato nuovo della mia personalità. Io sarò sempre la ragazza maestrina e bacchettona, ma non voglio essere solo questo. Io ti amo Duncan, tu mi fai sentire come se niente potesse fermarmi, tu mi fai sentire bene. E non sopporterei non vederti per vent'anni. Anche se spesso ti vorrei morto, non ce la faccio a pensarti rinchiuso là dentro. Non posso resistere senza vederti per così tanto tempo"
Duncan voleva replicare. Voleva dirle quanto ciò che aveva detto era ricambiato, ma una guardia lo strattonò con forza nella sua cella, interrompendo la chiamata. Erano le parole più belle che nessuno gli avesse mai rivolto, e se le sarebbe aspettate da tutti tranne che da Courtney. Guardò malinconico una sua foto che teneva sul letto, mentre una lacrima amara gli rigava la guancia.

Ciao amici 🖤🖤
Vi avevo detto di aspettarvi di tutti e mo vi beccate Duncan in galera, poveretto
E poverina anche Courtney a vivere con quella famiglia
A proposito dei Satella si scopriranno tanti segreti su di loro, che, ovviamente per lasciare la mia solita suspense, non vi rivelerò adesso
Ora mi capite quando dico che la mia storia è un casino unico hahah
Comunque non ho ancora capito se il cognome di Courtney è "Barlow" o "Satella", perché ho cercato su internet e ho trovato entrambi, però "Satella" mi suonava più spagnolo, quindi a posto
Alla prossimaa
-S🌟🤟🏻🕊❄️

Il Diario di una Secchiona - TDIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora