Sei bellissima.

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#1

Un'altra mattina, un'altra sveglia che suona alle sei e mezza e si ripete ogni volta che Harry la colpisce malamente. Quando esce di casa, fa appena in tempo a chiudersi la porta alle spalle, che il solito Jack Russell gli si presenta ai piedi, coda dritta e zampettando lo sorpassa, seguito dalla signora che ogni mattina lo porta fuori, con lo stesso sguardo spento di chi non avrebbe alcuna intenzione di alzarsi, ma deve.

Neanche quel giorno il clima sembra essere dei migliori: un grigiore assopito sembra circondare i palazzi alti di Londra come una coperta, una lanosa e consunta coperta di lana, una di quelle pruriginose solo a guardarle e pare che nessuno sia disposto ad alzarsi e uscire, ma in realtà la città già scalpita, nonostante l'ora.

Harry, avvolto nel suo cappotto marrone, attraversa la strada sotto il suo palazzo e si dirige, spedito, alla fermata della metropolitana, distante solo qualche minuto. Non appena arriva alle scale del sotterraneo, la fila di persone che lo precede, smania e scalpita per aggiudicarsi un posto vantaggioso davanti e già sa che a lui non capiterà. Harry, come ogni mattina, aspetta il treno più vuoto, perché non ama essere circondato da tutti quei lavoratori in giacca e cravatta, che stanno lì a ricordargli di quanto miserabile e fallito sia. A 25 anni avrebbe preferito lavorare in un ufficio, progredire nella sua carriera con uno stipendio fisso e non prendere la metro e dirigersi verso l'ennesimo lavoro precario e a basso salario della sua vita. Così, aspetta e prende la corsa che lo farà arrivare tardi, ma che non lo fa sentire stupido e solo.

Quando arriva a Piccadilly, ormai è già in ritardo e non ha scuse: entrando da Cupid's, la caffetteria, neanche guarda Susie, che, come sempre, picchietta con quelle sue dita ossute sulla cassa in modo frenetico; si dirige a passo svelto verso la porta che cita 'privato', dove si cambia e indossa la maglietta verde lime con la targhetta col suo nome e ha giusto il tempo di posare la sua roba nell'armadietto, prima di uscire e iniziare il suo turno.

L'orario di punta è il più faticoso, ma è anche il suo preferito, perché può immaginarsi la vita delle persone attraverso il loro atteggiamento. Per esempio, la donna dietro i due quattordicenni che sta servendo in quel momento: dal battito incessante del piede, Harry pensa che sia una dirigente o qualcosa del genere; la sua borsa è fin troppo costosa perché sia una semplice impiegata e il viso poco truccato grida autorità. In un certo senso, gli ricorda la sua professoressa di matematica, terribile.

Mentre serve un uomo grasso, vestito con quello che poteva benissimo essere un tappeto da soggiorno, il campanellino della porta d'ingresso lo distrae dal cappuccino con latte scremato richiestogli. Una ragazza dai capelli castani si mette in fila, giusto due persone dietro l'uomo grasso e attende il suo turno.

"Hey, stai buttando il mio latte per terra!" lo rimprovera l'orco, lasciando le impronte della sua mano callosa per tutta la superficie, non più brillante, della vetrina dei dolci.

"Mi scusi" bofonchia Harry, non più così sicuro delle sue qualità. Per un motivo assai ignoto, l'entrata in scena, del tutto normale, di quella ragazza lo aveva destabilizzato mentalmente e non poteva fare a meno di lanciarle occhiate veloci, mentre le mani ripulivano il latte e si adoperavano a rifare la bevanda. "A lei, dica alla mia collega che glielo offro io" dice, porgendogli il cappuccino più complicato della sua vita.

"Sarebbe il minimo" commenta sprezzante il cliente, che poco ma sicuro, non sarebbe tornato tanto presto, per fortuna.

Non lo guarda nemmeno, non può proprio, deve assolutamente servire le due persone davanti alla ragazza, non vuole farla aspettare più del dovuto. Le occhiate fugaci che le manda, gli dicono che la giovane non ha fretta, essendosi persino tolta i guanti viola, ma non vuole che resti in attesa.

"Ci puoi scrivere Madison sopra?" gli domanda la teenager, zaino in spalla e occhiali rossi sul naso a punta.

"Certo" le risponde lui, ansioso. Anche la misteriosa -non troppo in realtà- ragazza gli avrebbe chiesto di metterci il suo nome? Tutti lo facevano, ma la cosa lo turbava. Sicuro, avrebbe saputo il suo nome, ma poi? La cosa avrebbe stimolato il suo interesse e, soprattutto, avrebbe alimentato la speranza di rivederla, in qualche modo.

Doveva impressionarla, fare colpo.

"Ciao" la voce lo risveglia: è lei e lo sta guardando, il sorriso appena accennato. Harry, in risposta, le sorride, nervoso, mostrandole i denti bianchi e le fossette al lato della bocca. "Vorrei un muffin, per favore" lei indica quello al centro, al cioccolato.

Con l'automatismo più assoluto, Harry glielo impacchetta, senza neanche chiedere se davvero lo volesse portare via o mangiare lì: cretino.

"E vorrei anche un caffè macchiato, grazie" le porge il sacchettino bianco e quasi le tocca la mano, giusto il tempo di vedere che la ragazza porta le unghie corte e poi si gira, dandole le spalle, adoperandosi per prepararle la bevanda calda.

Si accorge solo quando unisce il caffè al latte, che la ragazza non ha detto il suo nome e una scintilla di panico lo attraversa. Forse dovrebbe chiederglielo o forse dovrebbe semplicemente darle il bicchiere vuoto, bianco e spoglio. Non gli pare giusto però, così, le sue dita afferrano il pennarello nero e scrivono di getto le parole che gli frullano in testa da almeno cinque minuti.

Intanto, la ragazza si è spostata verso la cassa, il borsellino nero borchiato stretto tra le mani, pronta a pagare la sua colazione. Harry non vuole porgere il bicchiere a Susie, che sta battendo il prezzo sul dispositivo, ma la sconosciuta non lo sta guardando e non si accorge che lui sta lì, immobile, aspettando lei.

"Mi scusi" lo richiama un anziano, che aspetta il suo turno. Harry sbatte gli occhi e scuote appena la testa, gesto che gli fa smuovere i ricci da un lato all'altro della fronte; si sposta, lontano dal suo luogo sicuro e affianca Susie, che ha appena strappato lo scontrino della ragazza e glielo da, sorridendogli, salutandola e augurandole buona giornata. Questa si volta appena prende il pezzo di carta e Harry non sa che fare.

Deciso, scavalca Susie e ferma la cliente, battendogli sulla spalla con la mano destra e le porge il bicchiere con la mano sinistra.

"Oh, grazie, me ne stavo scordando" ride lei, imbarazzata e con un gesto si sposta la frangia che le ricadeva sugli occhi. Harry le annuisce, non dice niente e torna al suo posto, trattenendo il respiro.

Le sue orecchie ascoltano l'ordinazione dell'anziano, ma i suoi occhi seguono la figura snella della giovane che, adesso, apre la porta e se ne esce, indaffarata nel rimettersi i guanti senza far cadere la colazione. Si trova ancora in apnea, se ne rende conto, sentendosi le guance avvampare, ma non può fare a meno di guardarla, ferma appena fuori dalla caffetteria che ripone il muffin nella borsa e, finalmente, osserva il bicchiere del caffè macchiato.

Respira di nuovo e torna al lavoro, ma due occhi castani sono ora puntati su di lui, leggermente interdetti e per lo più sorpresi della scritta nera che recita 'sei bellissima', sul bicchiere bianco.

Ha fatto colpo, Harry.

At Cupid's QueueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora