Strane Idee pt.2

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#3

Harry è di corsa, come al solito. Lo sciopero alla metro non ha fatto altro che alimentare il suo odio per le mattine e gli uomini in giacca e cravatta. Troppo intelligenti per spostarsi dall'ingresso del sotterraneo, bloccandogli così il passaggio?

Decide che una camminata non può che fargli bene, ma sa benissimo di mentire a se stesso; non gli piace camminare, preferirebbe tornare indietro e accalcarsi nel buco con quegli uomini, ma deve arrivare al lavoro o sarà la fine.

L'ora nel suo cellulare gli ricorda che Susie gli aprirà la faccia a morsi, se continua a perdere tempo.

Piccadilly è già fin troppo affollata, ogni tanto annaspa per farsi spazio tra i marciapiedi colmi di turisti; in qualche modo raggiunge l'entrata della caffetteria, oltrepassando la fila e riuscendo nell'impresa epica che era stata arrivare fin lì, quella mattina.

A passo svelto e a testa bassa, entra nell'area privata, deciso a cambiarsi e iniziare quella giornata, ma Susie lo aspetta dentro, seduta su una di quelle sedie pieghevoli, con occhi fermi. Harry sa cosa significa, però resta fermo, le mani alzate in un patetico segno di resa.

Poco dopo è nuovamente fuori, sotto l'insegna della caffetteria, nella nebbia mattutina londinese, una crepa nel cuore che grida 'fallito'.

"Hey" qualcuno lo richiama, prima che la depressione gli faccia piangere anche l'espresso.

Julia gli sorride, tranquilla, ancora assonnata, completamente ignara del fallimento umano che ha davanti.

"Ciao" la risaluta Harry, afflitto.

"Non entri a lavoro?" Ed eccola, la domanda fatidica. Cosa dovrebbe risponderle? Che ha libero? Non lo crederebbe nessuno.

"No, sono-" pensa veloce, ma nulla. "No, mi hanno licenziato." ammette, abbattendo quel muro di incredulità che lo avvolgeva da una decina di minuti.

"Oh mio Dio, mi dispiace!" Dice lei sincera, gli occhi ora tristi lo guardano con pietà. Harry distoglie lo sguardo, non sopporta quando la gente lo vede in quel modo, in quello stato, tantomeno lei. Julia allora, sentendosi quasi colpevole, lo abbraccia, tenendolo a sé ed Harry respira, calmo, come mai ha fatto prima.

Si lasciano, sciogliendo l'abbraccio.

"Beh, facciamo qualcosa allora" propone lei, speranzosa. Harry non sa che rispondere: sa che lei lavora per una rivista di moda e che i suoi orari lavorativi sono flessibili, ma non vuole rovinare anche la sua giornata. "Non lo so, andiamo da qualche parte, andiamo al mare!" Suggerisce, gesticolando per l'intensità delle sue emozioni.

In un altro momento Harry non avrebbe esitato a prenderle la mano, a correre tra la folla e a portarla ovunque, ma il pensiero della sua tragica condizione lo affligge come una morsa. Eppure, qualcosa gli dice di accettare e di fottersene, solo per il momento, del suo ennesimo fallimento.

"Sei mai stata a Brighton?" Le chiede, sentendo la vita attraversargli il petto in un impeto di coraggio.

"No, mai" ammette lei, un sorrisetto furbo che fa capolino dalle sue labbra colorate.

Harry sbuffa, ancora visibilmente combattuto sul da farsi e guarda l'insegna sopra la sua testa.

"La tua è un'idea terribile, orribile, incredibilmente stupida." Comincia, guardando la ragazza diventare paonazza. "Ma si, andiamo e vediamo cosa succede" conclude e Julia non può fare a meno di lasciare andare un gridolino di eccitazione e felicità, che lo fa ridere di gusto, contento, di aver fatto le scelta giusta, forse

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