Getting Slippery

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#5

In cuor suo, Harry sa di essere caduto in basso: uno come lui, che entra in uno di quei grattacieli a specchio, vestito in quel modo; mai e poi mai ci avrebbe scommesso. Alto, nella sua figura resa ancor più slanciata dal completo grigio opaco che gli aderiva e fasciava il corpo, spiccava tra gli altri uomini in giacca e cravatta, stretto nel gruppo chiuso nell'ascensore.

"Permesso" chiede, accorgendosi di dover scendere proprio a quel piano e si fa spazio, scusandosi con chiunque entri in contatto. Si dirige, cercando di mantenere l'equilibrio con le scarpe lisce che scivolano sul pavimento lucido, a passi svelti, verso il bancone posto al centro della spaziosa sala d'attesa.

"Ho un appuntamento con, uhm" dice, sentendosi d'un tratto la gola secca, prosciugata dall'ansia.

"Langhorne, sì, la terza stanza sulla destra" Gli risponde la signorina dall'altra parte del bancone, rifilandogli un sorriso asettico. Segue le indicazioni e, passando per un corridoio illuminato a led, giunge alla stanza del suddetto Langhorne.

Non sa bene se entrare o aspettare; decide di bussare, almeno per farsi riconoscere, ma nessuno, dall'altra parte risponde. Con la nocca ancora appoggiata alla superficie della porta, preme quanto basta per aprirla e rendersi conto che, come previsto, non c'era nessuno ad aspettarlo. L'ufficio di colui che avrebbe dovuto fargli un colloquio di lavoro non gli sembra niente di speciale: una scrivania posta al centro, oggetti moderni e visibilmente inutili a decorare lo spazio. Solo il computer di marca lo affascina al punto di entrare e dare un'occhiata ravvicinata.

I tacchi delle scarpe schioccano al contatto con il parquet e quasi si spaventa da solo. Non che stia facendo qualcosa di illegale, ma forse poteva aspettare fuori. Però, ormai si trova dentro e, pensa, sarebbe stupido tornare fuori. Sulla scrivania, ora che vede meglio i dettagli, nota un paio di cornici in argento lucido e anche qualche Parker, dall'aspetto importante e costoso. Si siede al posto che gli spetta e si stira le maniche, che gli stanno progressivamente salendo, a testimoniare la misura sbagliata dei vestiti indosso.

Passati dieci minuti dal suo arrivo, Harry comincia a temere nell'ennesimo rifiuto a prescindere e la sua mente inizia a divagare, proiettando immagini di qualche settimana prima, quando lui e Julia avevano fatto l'amore, in quella camera a Brighton.

Non ne avevano più parlato, era tornato tutto come prima. In realtà no, per Harry qualcosa era cambiato, ed era innegabile, ma non voleva e non vuole costringere nessuno a fare niente, neanche se stesso. Di lì a poco, inoltre, avrebbe partecipato come suo amico alla cena del ragazzo e l'ultima cosa che desidera è quella di sconvolgerle la vita. Sebbene lo avesse già fatto.

Non vuole dirle addio, pensa, fissando la vetrata dietro il computer.

"Salve" all'improvviso la voce di un uomo si intromette. "mi scuso per il ritardo, vengo da una riunione ai piani alti" Harry si gira, per trovare un giovane che doveva avere più o meno la sua età, forse qualche anno in più, intento a chiudersi la porta alle spalle.

"Harry Styles" Si presenta dunque, alzandosi e stringendo la mano dello sconosciuto, solo per risedersi immediatamente. Un bell'uomo, si trova a pensare, mentre questo digita la password del computer e gli riproduce il solito copione trito e ritrito di come funziona la propria azienda.

"Vorrei tu rispondessi sinceramente a un questionario che proponiamo a tutti i nostri candidati. Ovviamente resta privato" specifica l'uomo, girandogli lo schermo ed il mouse di modo che possa usarlo appropriatamente. Harry risponde col suo solito metodo: verità, ma non troppa, un motto che lo accompagna sin dai tempi delle medie e lo ha portato avanti per tutto quel tempo, tutelandolo il giusto.

Quando finisce, gli viene automatico chiudere la pagina del browser e, per questo e per lo sfondo del desktop, sbianca.

"Non ti preoccupare, i dati si salvano per 24 ore" gli sorride Langhorne, ma Harry ha ancora il volto cereo e le mani gli cominciano a sudare.

"Lei è.." accenna il riccio, che non può fare a meno di sperare in una risposta diversa da quel che si immagina.

"Lei è la mia ragazza" risponde invece colui che ora sa essere, per certo, Cory, il ragazzo di Julia.

Un imbarazzante silenzio ripiomba sui due uomini e li avvolge nel suo gelido abbraccio, accompagnato da una cupa presa di coscienza.

"Sono suo amico" deglutisce, annuendo poco convinto.

"Oh si, Harry, ho sentito parlare di te" lo fulmina l'altro. Che possa sapere? Si chiede Harry, solo per sbarazzarsi di quel pensiero ridicolo un attimo dopo averlo formulato.

Impossibile che sappia.

Il colloquio prosegue, col suo ritmo normale, senza altri intoppi e nessuno dei due uomini, al suo termine, sembra voler rimanere in compagnia dell'altro più del dovuto. Perciò, entrambi scivolano sul parquet fuori dall'ufficio.

"Grazie per avermi dedicato del tempo" saluta Harry, porgendo la mano all'altro, con la coscienza sporca.

"Non c'è di che" gliela stringe Langhorne, forse troppo, dato che in seguito la sua mano riporta il segno della presa.

In silenzio, percorrono il corridoio sul pavimento scivoloso ed entrano nell'ascensore che la segretaria si era premurata di chiamare, appena un attimo prima del loro arrivo. Questo, scende tra i piani del grattacielo, fino a raggiungere il piano terra, in poco meno di due minuti. Le porte però si bloccano e una luce rossa lampeggia sopra i riccioli di Harry, confuso dall'accaduto.

"Sfiorala e conoscerai esattamente cos'è peggio della morte" lo minaccia Langhorne, che, senza scomporsi, allunga una mano e pigia nuovamente il tasto con la campanella, riavviando l'ascensore e facendone aprire le porte.

Harry, sudando freddo, varca l'uscita del grattacielo e si sofferma a guardarlo per un attimo, riflettendo su ciò che era appena successo.

Sicuramente, non lo richiameranno.

At Cupid's QueueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora