Intro (W. Goldman)

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TRA TUTTI I LIBRI DEL MONDO questo è il mio preferito, anche se non l'ho mai letto.
[...]
La polmonite oggi non è più come una volta, specie quando l'ho avuta io. Dieci giorni suppergiù di ospedale e poi a casa per una lunga convalescenza. Credo di essere rimasto a letto altre tre settimane o un mese. Niente energia, niente giochi.
Ero semplicemente uno gnocco che cercava di recuperare le forze, punto e basta.
Ed è così che mi dovete immaginare quando incontrai La Principessa Sposa.

La mia prima sera a casa: ero esausto, un tortello malato. Entrò mio padre, per augurarmi la buonanotte, pensai. Si sedette ai piedi del letto. "Capitolo uno. La sposa" disse.
Devo aver alzato lo sguardo e visto che teneva in mano un libro. il fatto in sé era sorprendente. mio padre era prossimo all'analfabetismo per quanto riguardava la lingua inglese. veniva da Florin ( dove è ambientata La principessa sposa) e laggiù pare non fosse uno sciocco. una volta mi disse che doveva diventare avvocato, e forse era vero. Fatto sta che a sedici anni ebbe l'occasione di emigrare in America, scommise sul Paese delle Opportunità, e perse. Non era tagliato per questa Terra. Non aveva un bell'aspetto, era piccoletto, precocemente calvo e un po' lento di comprendonio. Una volta capito qualcosa non se lo dimenticava, ma il tempo che impiegava a farselo entrare nel cervello era incredibile. Il suo ridicolo inglese da immigrato non gli fu d'aiuto nella carriera. Incontrò mia madre durante la traversata, in seguito la sposò e quando ritennero di poterselo permettere ebbero me. Lavorò per sempre come secondo di poltrona nel più scalcagnato negozio di barbiere di Highland Park, in Illinois. Verso la fine prese l'abitudine di sonnecchiare sulla poltrona. Se ne andò così. Se n'era andato già da un'ora quando il primo di poltrona se ne accorse; fino a qual momento aveva creduto si stesse facendo una bella dormita. E magari era vero. Magari è così per tutti. Quando me lo dissero ci rimasi molto male, ma nello stesso tempo pensai che per lui andarsene così era stato un modo per affermare di essere esistito.
Comunque dissi: "Eh? Cosa? Non ho sentito". Ero così debole, così terribilmente stanco.
"Capitolo uno. La sposa". Mi mostrò il libro. "Te lo leggo per farti rilassare". Praticamente me lo sbatté sulla faccia. "Di S. Morgenstern. Un grande scrittore florinese. La principessa sposa. Anche lui è venuto in America. S. Morgenstern. Morto da poco a New York. L'inglese è il suo. Parlava otto lingue". A quel punto mio padre depose il libro e sollevò le dita. "Otto. Una volta a Florin City ero nel suo caffè". Scosse il capo; lo faceva sempre, mi padre, di scuotere la< testa quando sbagliava a dire qualcosa. "Non nel suo caffè. Lui era lì e io anche, nello stesso tempo. L'ho visto, S. Morgenstern. Aveva una testa grossa così" e con le mani  mostrò la forma di un pallone. "Grande uomo a Florin City. non altrettanto in America".
"Parla di sport?"
"Scherma. Lotta. Tortura. Veleno. Vero amore. Odio. Vendetta. Giganti. Cacciatori. Uomini malvagi. Uomini buoni. Belle dame. Serpenti. Ragni. Bestie di ogni natura e tipo. Dolore. morte. Uomini coraggiosi. Uomini codardi. Uomini più forti. Inseguimenti. Fughe. Menzogne. Passioni. Miracoli".
"Sembra okay" dissi e chiusi gli occhi. "Farò il possibile per stare sveglio, ma ho un sonno terribile, papà..."
Chi può sapere quando il suo mondo sta per cambiare? Chi può dire, prima che succeda, che ogni esperienza precedente, tanti anni, sono stati una preparazione... inutile. Immaginatevi un vecchio quasi analfabeta in lotta contro una lingua nemica, un ragazzino esausto in lotta contro il sonno. E tra loro nient'altro che le parole di un altro straniero, faticosamente tradotte dal suono natio in quello di una parlata aliena. Chi avrebbe potuto sospettare che il mattino seguente si sarebbe risvegliato un bambino diverso? Io ricordo solo la battaglia per respingere la stanchezza. Una settimana dopo non mi ero ancora reso conto di quello che era successo quella sera, delle porte che si erano definitivamente chiuse e di quelle che si erano spalancate. Forse avrei dovuto intuirlo, o forse no; chi è in grado di avvertire la rivelazione nel vento?
Per la prima volta in vita mia mi interessai attivamente a un libro. Io, fanatico degli sport; io, mostro dei giochi; io, unico ragazzino di dieci anni dell'Illinois con un odio cronico dell'alfabeto, volevo sapere cosa succedeva dopo.
Cosa ne era della bella Buttercup, del povero Westley e di Inigo, il più grande spadaccino del  mondo? E quanto era forte veramente Fezzik, e c'erano limiti alla crudeltà di Vizzini, il perfido siciliano?
Ogni sera mio padre leggeva, capitolo dopo capitolo, sempre lottando per pronunciare correttamente le parole, per afferrarne il senso. E io giacevo con gli occhi chiusi e il corpo che recuperava lentamente le forze. Ci volle, come ho detto, un mese, forse, e in quell'arco di tempo mio padre mi lesse La principessa sposa due volte. Anche quando fui in grado di leggere da solo, il libro rimase suo. Non mi sarei mai sognato di aprirlo. era la sua voce, il suono delle sue parole che io volevo. In seguito, persino dopo anni, qualche volta gli chiedevo: "Cosa ne dici del duello sul dirupo tra Inigo e l'uomo in nero?" e mio padre, sbuffando, prendeva il libro, si umettava il pollice per girare le pagine fino all'inizio del tenzone. Lo adoravo. Anche oggi è così che lo ricordo. Piegato in due, con gli occhi arrossati per lo sforzo ed esitando sulle parole, mi offriva il capolavoro di Morgenstern come meglio poteva.
La principessa sposa apparteneva solo a mio padre.
Tutto il resto fu mio
[...]
Quel libro è la cosa migliore che mi sia mai capitata (scusami Helen. Helen è mia moglie, una psichiatra infantile fenomenale), e tanto tempo prima di sposarmi sapevo che l'avrei diviso con mio figlio Sapevo che avrei avuto un figlio. Così quando nacque Jason ( se fosse stato una femmina si sarebbe chiamata Pamby; possibile che una donna che si occupa di psichiatria infantile dia nomi simili ai propri figli?), a ogni modo, quando nacque Jason, mi ripromisi di regalargli una copia della Principessa sposa il giorno del suo decimo compleanno.
[...](Salto la parte in cui, per il decimo compleanno del figlio, Goldman, fuori per lavoro, cerca ovunque una copia del libro in inglese per recapitarlo a Jason.  Eccoci a quando torna a casa, la sera, a cena)
"Mi è piaciuto molto il libro, papà. Era veramente bello".
Fui piacevolmente sorpreso che lo dicesse perché stavo per aprirmi la strada verso l'argomento. Ma, come dice sempre Helen, Jason non è uno sciocco. "Be', sono contento" dissi.
Jason annuì. "Forse è addirittura il più bello che abbia mai letto".
Mangiai ancora un po' dei miei spinaci. "Qual'è la parte che hai preferito?"
"Capitolo uno. La sposa" disse lui.
Il che mi stupì. Non che il capitolo uno faccia schifo o cose del genere, ma non è che succeda granché rispetto all'incredibile storia che segue. Buttercup diventa grande e praticamente è tutto. "Cosa ne dici della scalata del Dirupo della Follia?" domandai. Si trovava nel quinto capitolo.
"Oh, grande" annuì Jason.
"E la descrizione dello Zoo della Morte? E' nel secondo capitolo".
"Ancora più grande" annuì Jason.
"Quello che mi ha colpito, è che da quel brevissimo cenno si intuisce l'importanza che avrà in seguito. Hai avuto anche tu la stessa impressione?"
"Già" fece Jason. Ma ormai sapevo che non l'aveva letto.
"Ha cercato di leggerlo" si intromise Helen. "Ha letto il primo capitolo, ma il secondo era impossibile per lui, così, dopo un ragionevole numero di tentativi, gli ho detto di smetterla. Persone diverse hanno gusti diversi. Gli ho spiegato che avresti capito, Willy".
Naturalmente capivo, solo che mi sentivo completamente abbandonato.
"Ho cercato di farmelo piacere, papà, ma non ci sono riuscito".
Gli sorrisi. ma come poteva non piacergli? Passione. Duelli. Miracoli. Giganti. Vero amore.
"Non mangi nemmeno gli spinaci?" domandò Helen.
Mi alzai. "Cambiamento d'orario. Non ho fame". Non disse niente finché non mi udì aprire la porta d'ingresso.
"Dove stai andando?" chiese. Se lo avessi saputo le avrei risposto.
Vagai attraverso il dicembre. Senza paltò. Non mi rendevo nemmeno conto di avere freddo. Sapevo soltanto di avere quarant'anni, e a quarant'anni non avrei voluto essere così, incastrato con quel genio di strizzacervelli di mia moglie e quel pallone di mio figlio. Dovevano essere le nove e io me ne stavo seduto nel bel mezzo di Central Park, solo, nessuno vicino, nessun'altra panchina occupata.
Fu allora che sentii un tramestio nei cespugli. Smise. Poi ancora. Soffocato. Più vicino.
Mi voltai, strillando: "Lasciami in pace!" e qualunque cosa fosse, amico, nemico, immaginazione, si dileguò. Sentivo i passi di corsa e mi resi conto di una cosa: allora, in quel momento, ero pericoloso.
Poi mi venne freddo e tornai a casa. Helen era a letto che riguardava degli appunti. In condizioni normali se ne sarebbe uscita con simpatici commenti sulla mia età ormai troppo matura per certi comportamenti infantili. Ma probabilmente un po' di minaccia aleggiava ancora intorno a me. Potevo leggerlo nel suo sguardo acuto. "Ci ha provato" disse infine.
"Non ho mai pensato che non l'avesse fatto. Dov'è il libro?"
"Nella biblioteca, credo".
Mi girai per uscire.
"Posso fare qualcosa per te?"
Dissi di no, poi andai nella biblioteca, mi chiusi dentro e stanai La principessa sposa. era in buone condizioni, constatai controllando la rilegatura, e fu in quel momento che mi resi conto che era stato pubblicato dalla mia stessa casa editrice, Harcourt Brace Jovanovich. ancora prima che si chiamasse così, non erano nemmeno Harcourt, Brace & World, solo Harcourt, Brace, punto. Scorsi la prima pagina, il che era strano perché non lo avevo mai fatto prima; era sempre stato mio padre a maneggiare il libro. Fui costretto a ridere quando vidi il vero titolo, perché proprio lì diceva:

LA PRINCIPESSA SPOSA
di S. Morgenstern
Una storia classica di vero Amore
e Grande Avventura

Era da ammirare un tale che definiva classico il suo nuovo libro prima che fosse pubblicato e qualcuno avesse avuto la possibilità di leggerlo... Magari aveva pensato che se non lo avesse fatto lui, non lo avrebbe fatto nessun'altro, o forse stava solo cercando di dare una mano ai recensori; non so. Diedi un'occhiata al primo capitolo ed era più o meno come lo ricordavo io. Poi affrontai il secondo capitolo, quello che riguardava il Principe Humperdinck e quel pezzettino di descrizione dello Zoo della Morte.
E allora cominciai a rendermi conto del problema. Non che la descrizione non ci fosse. C'era ed era proprio come la ricordavo io. Ma prima di arrivarci si dovevano scorrere almeno sessanta pagine sulle ascendenze del Principe Humperdinck e come la sua famiglia aveva preso il potere a Florin e di questo matrimonio e di quel figlio che generò quell'altro che sposò la tizia, allora saltai al capitolo terzo, il corteggiamento, che era tutto sulla storia di guilder e come il Paese si fosse fatto valere nel mondo. Più andavo avanti, più me ne rendevo conto: Morgenstern non scriveva un libro per bambini; aveva scritto una specie di storia satirica sul suo Paese e sul declino della monarchia nella civiltà occidentale.
Mentre mio padre mi aveva letto solo l'azione, le parti belle. Aveva tralasciato i risvolti più seri.
Alle due del mattino chiamai Hiram a Marta's Vineyard. Hiram Haydn è stato il mio editor per una dozzina d'anni, fin dai tempi del Soldato sotto la pioggia, e insieme abbiamo sopportato tante traversie, ma mai una telefonata alle due del mattino. ancora oggi so per certo che non capisce perché non potessi aspettare fino all'ora di colazione. "Sei sicuro di star bene, Bill?" ripeteva in continuazione.
"Ehi Hiram" cominciai dopo circa sei squilli. "Ascolta, voi avete pubblicato un libro subito dopo la Prima guerra mondiale. Non credi sarebbe una buona idea se io ne facessi un'edizione ridotta e lo ripubblicaste?"
"Sei sicuro di star bene, Bill?"
"Benissimo, assolutamente, e vedi, lascerei solo le parti belle. Farei una specie di ponte in corrispondenza dei salti nella narrazione e lascerei solo le parti belle... Cosa ne pensi?"
"Bill, sono le due del mattino da queste parti. Sei ancora in California?"
Mi finsi scioccato e sorpreso. Così non mi avrebbe preso per scemo. "Mi dispiace, Hiram. Mio dio, che idiota; sono solo le undici a Beverly Hills. Comunque, credi di poterne parlare a Jovanovich?"
"Adesso, intendi?"
"Domani, o dopo. Non è urgente".
"Gli posso parlare di tutto, solo che dubito di aver capito bene quello che vuoi. Sei sicuro di star bene, Bill?"
Sarò a New York domani. Ti chiamo e ne parliamo meglio, okay?"
"Non potresti farti vivo un po' prima, ancora in orario d'ufficio?"
Risi e riappendemmo e chiamai Zig in California. Evart Ziegler era il mio agente cinematografico da almeno otto anni. Si è occupato del contratto per Butch  Cassidy e svegliai anche lui. "Ehi Zig, puoi ottenermi una dilazione per La fabbrica delle mogli? Mi è venuto fuori qualcos'altro".
"Secondo il contratto dovresti cominciare subito, di quanto vorresti posticipare?"
"Non lo so di preciso; non ho mai fatto una riduzione prima d'ora. Dimmi solo quanto ti concederebbero".
"Credo che se vorrai rimandare, minacceranno di ricorrere alle vie legali e finirai per perdere il lavoro".
Andò proprio come aveva detto lui; minacciarono di fare causa, rischiai di perdere il lavoro, persi di sicuro u197n po' di quattrini e non mi feci certo degli amici nell' "industria", come quelli che lavorano nello show biz chiamano il cinema.
Ma la riduzione fu portata a termine e la state tenendo tra le mani. La versione che contiene solo le "parti belle".

Perché l'ho fatto?
Helen mi ha spinto molto a cercare una risposta. Le sembrava che fosse importante, non necessariamente per lei, ma per me. "Perché ti sei comportato come un matto, Willy caro" mi ha detto. "Mi hai veramente spaventato".
Allora, perché?
Non sono mai stato bravo nell'autoscrutarmi. Scrivo d'impulso. Questo mi suona bene, questo no; è così, non sono in grado di analizzare, non le mie azione perlomeno.
Naturalmente non mi aspetto che cambi la vita degli altri come ha cambiato la mia.
Ma prendete le parole del titolo: "Vero Amore e Grande Avventura" ...  una volta ci credevo. Pensavo che la mia vita avrebbe seguito quel percorso. Avevo pregato perchè accadesse. Ovviamente non fu così, ma non credo esista ancora la grande avventura. Nessuno al giorno d'oggi sguaina la spada e grida: "Hola. Il mio nome è Inigo Montoya. Tu hai ucciso mio padre, preparati a morire!"
E anche il vero amore ve lo potete scordare. Io non so se sono ancora capace di amare veramente qualcuno o qualcosa, oltre alla cotoletta che servono da Peter Luger e l'enchilada di formaggio di El Parador. (Scusami, Helen.)
Comunque, questa è la versione con le "parti belle". L'ha scritta S. Morgenstern. E mio padre me l'ha letta. Ora la consegno a voi. Quello che ne farete sarà importante per noi tutti.


New YorkDicembre 1972

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