V - L'Annuncio - INIGO

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Tra i monti della Spagna centrale, incastonato lassù tra le colline alle spalle di Toledo, si trovava il villaggio di Arabella. Era piccolissimo e l'aria vi era sempre tersa. Era forse l'unica cosa di buono che si potesse dire di Arabella: fantastica... Si poteva vedere per miglia all'intorno.

Ma non c'era lavoro, i cani infestavano le strade e non c'era mai cibo a sufficienza. L'aria, oltre che perfettamente trasparente, era anche troppo calda durante il giorno e troppo fredda la notte. Per quanto riguarda la vita personale di Inigo, dobbiamo dire che aveva sempre fame, non aveva né fratelli né sorelle e che sua madre era morta nel metterlo al mondo.

E godeva di una felicità fantastica.

Per merito di suo padre. Domingo Montoya aveva un aspetto buffo, era eccentrico, impaziente, distratto e non sorrideva mai.

Inigo lo amava. Totalmente. E non domandate perchè. Non c'è in realtà nessuna ragione che lo giustificasse. O" forse Domingo lo ricambiava, ma l'amore è tante cose e ne suna logica.

Domingo Montoya fabbricava spade. Se qualcuno voleva una spada favolosa, si recava forse da Domingo Montoya? Se qualcuno voleva un capolavoro di equilibrio, si recava forse tra le montagne alle spalle di Toledo? Se qualcuno voleva una meraviglia, una spada che facesse epoca, lo conducevano i suoi passi forse ad Arabella?

Macché.

Sarebbe andato a Madrid perché era là che viveva il famoso Yeste, e se aveva denaro e Yeste tempo, avrebbe ottenuto la sua arma. Yeste era grasso e gioviale e uno dei cittadini più ricchi e onorati. Cosa del tutto meritata poiché fabbricava spade meravigliose e i nobiluomini si davano un mucchio di arie quando possedevano una Yeste originale.

Ma poteva accadere... non spesso, attenzione, forse una volta all'anno, anche meno... che venisse richiesta un'arma che nemmeno Yeste fosse in grado di fabbricare. E quando ciò accadeva, credete forse che Yeste dicesse: "Ahimé, signore, mi dispiace, non sono in grado di fabbricarla?"

Quello che lui rispondeva era: "Ma certo, con gran piacere, cinquanta per cento all'ordine, il saldo alla consegna, ritorna fra un anno e grazie tante."

Il giorno seguente prendeva la strada delle montagne alle spalle di Toledo.

"Ehi, Domingo," chiamava Yeste quando raggiungeva la capanna del padre di Inigo. "Ehi, Yeste," rispondeva Domingo Montoya dalla porta. Poi i due uomini si abbracciavano e Inigo arrivava di corsa per farsi arruffare i capelli da Yeste e poi correva a preparare il tè mentre i due uomini parlavano. "Ho bisogno di te," cominciava Yeste invariabilmente. Domingo grugniva.

"Questa settimana ho accettato la commissione per una spada destinata a un membro della nobiltà italiana. L'elsa deve essere incrostata di gioielli che devono intrecciare il nome della sua amante attuale e..."

"No."

. Quella parola e solo quella. Ma era sufficiente. Quando Domingo Montoya diceva di no, non intendeva altro.

Inigo, indaffarato intorno al tè, sapeva cosa sarebbe seguito. Yeste si dava da fare col suo fascino.

"No."

Yeste usava della sua ricchezza. "No."

Del suo spirito, della sua fantastica capacità di persuasione. "No."

Pregava, scongiurava, prometteva, implorava. "No."

Insulti. Minacce. "No."

Infine, lacrime genuine. "No. Vuoi altro tè, Yeste?"

"Magari un'altra tazza, grazie..." Poi, forte: "PERCHÈ NON

volete?"

Inigo si affrettava a riempire le tazze per non perdere una parola. Sapeva che erano cresciuti insieme, che si conoscevano da sessantanni, si amavano come fratelli, e gli piaceva quando litigavano. Ed era un fatto strano, perché litigare era l'unica cosa che facevano.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 29, 2020 ⏰

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