Capitolo uno.

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Giorno uno. (12.11.2012)

L’avevano diagnosticato come ‘asma’. Tutte le mie fatiche nel respirare, il mio sentirmi affaticato lo avevano semplicemente spiegato come asma, leggermente più forte del solito, e da tenere molto di più sotto controllo.

Ma poi, avevano insistito su più controlli, domande su domande, terapie su terapie, ed eccolo li.

A soli ventiquattro anni, che mi ritrovo a girare per ospedali quasi ogni giorno, a dormire con la macchinetta per respirare nel caso dovessi avere una crisi durante la notte, e a tentare terapie differenti quasi ogni giorni, con farmaci a me sconosciuti per cercare di tirare avanti il più possibile la mia vita, che ormai era chiaro doveva avere comunque una fine.

Il mio destino era gia stato deciso da qualcuno, non so da chi, ma avevano ormai deciso che quando sarei morto, sarebbe accaduto per questo, un tumore ai polmoni.

Ma non era questo il problema, il problema era.. che chiunque aveva deciso al posto mio, poteva anche concedermi qualche anno in più, almeno il tempo per amare davvero. Ma a quanto pare mi erano stati concessi all’incirca solo un tempo di circa cinque mesi…

Mi avevano detto di presentarmi con urgenza all’ospedale subito in mattina, ma poi, quando ero arrivato li, avevo dovuto affrontare più di un’ora in sala d’attesa. Un’ora nella quale mi sentivo soffocare, un’ora in cui avevo un disperato bisogno di uscire fuori, all’aria, perché i miei polmoni ne necessitavano, e nemmeno la mia pompetta dell’asma sembrava risolvere molto le cose.

“Signor Styles?” ma poi finalmente il mio dottore si era affacciato nella sala d’attesa, scusandosi per il ritardo, e mi aveva fatto entrare.

Aveva divagato su discorsi che il mio cervello non era in grado di seguire a lungo, troppo concentrato sul cercare di ritrovare la giusta aria per respirare.

Quando però era uscito e tornato con i miei risultati delle ultimi analisi, aveva fatto si, che la mia attenzione fosse di nuovo, completamente rivolta verso di lui.

“Harry, per molto tempo, come ti ho detto ci siamo sbagliati, e forse già siamo in ritardo, ma sappi che faremo comunque di tutto pur di aiutarti” e con queste parole aveva fatto strisciare sul tavolino verso di me, le mie analisi.

Aprii quelle dannatissime analisi, e il risultato era in grassetto, cerchiato da una forte presenza di giallo fosforescente: cancro ai polmoni.

Fu come se in un attimo tutto il mondo cadesse addosso a me. Sentii esattamente come tutti i sogni che avevo nel cassetto stessero già scappando da li. Il mio sogno di diventare scrittore, di essere ricordato con molta gloria per i tanti romanzi che avrei scritto. Il sogno di amare, di essere amato, e di avere una famiglia piena di vita, con una splendida moglie e degli splendidi bambini, di darei ai miei bambini ciò che non avevo avuto io.

Niente di questo sarebbe più avvenuto, perché era stato diretto, si erano sbagliati, il mio problema non era l’asma, il mio problema era stato questo sin dall’inizio. E dopo tre mesi in cui credi di avere semplicemente l’asma, scoprire questo, e scoprire che ormai sei in ritardo su tutto fa si che la rabbia cresca dentro di te.

Avevo una dannata voglia di prendere a pugni il dottore che mi stava davanti, e ogni altro dannatissimo dottore che si era sbagliato per tutto questo tempo, ma cosa mi dice che anche se fosse stato preso in tempo io potrei guarire? Secondo l’un percento c’e ancora una possibilità, ma sicuramente io non rientro in quel poco di speranza.

Mi spiegò tutto ciò che dovevo fare. Cominciare a dormire con la macchinetta, terapie ogni settimana, anche se non ancora ogni giorno, farmaci su farmaci, avere una vita tranquilla, e girare sempre con una bombola di ossigeno in macchina, perché secondo le sue parole, sarebbe arrivato anche quel giorno in cui avrei dovuto girare costantemente con quella, come se diventasse una parte del mio corpo, come un braccio, o una gamba, di cui non puoi farne a meno per vivere.

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