Grave

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(Song or Suicide - HIM)




25 dicembre 1986


14.47

-Tu non vieni Elizabeth?-

Spalancò gli occhi, sorpresa dalla mia domanda e scosse in fretta la testa -No-

Si sentiva ancora in colpa, talmente tanto da non voler nemmeno mettere piede nel cimitero dove era stata sepolta sua madre.

-Va bene- mi avvicinai e le baciai la fronte.

-Ti aspetto qui, o in camera.. sì, credo mi rifugerò in camera- sussurrò, tesa.

-Faremo in fretta-

Nel suo sguardo riuscii a leggere tutta la voglia che aveva di fuggire da quel posto.

Era vero quello che mi aveva detto: suo padre non riusciva a guardarla se non quando lei era occupata in altro e i suoi deboli tentativi di comunicare con lei non facevano altro che spaventarla e farla ritirare ancora di più in sè stessa.

-A dopo- conclusi mentre lei annuiva e seguii suo padre fuori dalla porta.

Arrivammo al cimitero dopo una passeggiata di una decina di minuti in cui a fare da padrone era stato il rumore delle nostre scarpe contro l'asfalto.

Logan Moore si trascinava sul marciapiede, avvolto in una giacca scura, con la schiena leggermente ricurva sotto il peso che Elizabeth mi aveva fatto conoscere.

Nella mia lettura affrettata, lo ammetto, potevo però rischiare di confondere la fatica per sopportare la storia alle sue spalle con il tentativo di proteggere contro il suo petto il sottile fiore bianco che aveva tra le mani.

Togliendo quell'insolito particolare, rimaneva anonimo.

Se ci fosse stato qualcun altro oltre a noi, avrei seriamente rischiato di perderlo di vista tra gli altri uomini di mezza età: tutti uguali, dai colori tenui e senza alcun segno di fantasia o libertà.

Però mi piacevano i suoi capelli. Anche se qualche sottile filo bianco spiccava tra il resto, il corvino della sua capigliatura era lo stesso colore di Elizabeth. Ma non era da lui che aveva preso il modo in cui le ciocche le si arricciavano sulla schiena creando un magnifico mare: i capelli di Logan erano indubbiamente dritti.

Chissà come era stata Lei.

Per quanto mi sembrasse un sentimento poco adatto alla situazione non potevo fare a meno di essere curioso. Dannatamente curioso.

In casa loro, nelle stanze in cui ero stato, non avevo trovato nessuna foto della donna ed ero riuscito a dare un'occhiata solo a qualche immagine raffigurante le bambine nei loro primi anni e la nuova famiglia.

Avevo letto un sacco di tristezza negli occhi di quell'Elizabeth di quasi diciott'anni che fissava l'obbiettivo, tentando di nascondersi nella sua giacca invernale e di sfuggire all'apprensione della sua madre adottiva, all'imporsi della sorellastra, all'indifferenza di suo padre.

Varcando la soglia del cimitero mi ritrovai a tracciarmi addosso un impacciato segno della croce.

Storsi la bocca: credere? Avere la speranza che ci fosse qualcosa di più oltre a questo schifoso mondo?

Sì, ero convinto che esistesse qualcosa di più, qualcosa che andava oltre la logica e ci guidava verso il nostro destino, ma la religione...

Elizabeth non era la sola ad avere dei fantasmi, e quello della cinghia di mio padre sulla schiena mi aveva appena teso un agguato inaspettato.

Stephen era riuscito a rovinare anche la mia fede.

Ignorai l'impulso che mi diceva di toccare la zona lesa come avevo fatto innumerevoli volte: tutto pur di non fargli capire che stavo soffrendo enormemente e mantenere intatta la mia dignità.

Il dolore fisico era una passeggiata, la mente no.

Dopo qualche passo sul ghiaino Logan si fermò.

-Eccoci-

Affilai lo sguardo, squadrando la semplice tomba in granito chiaro.



Hazel Walker

29 giugno 1944 - 3 luglio 1983

Madre sempre amata



39 anni appena compiuti.

Porca vacca.

Dannatamente giovane.

Realizzai in quel momento che avessimo continuato così, noi Guns N' Roses non saremmo arrivati a quell'età. Ed eravamo solamente all'inizio di una possibile carriera...

-Non era mai stata una ragazza difficile prima.

Sai, aveva il suo gruppo di amici, era senza preoccupazioni-

Interruppe i miei pensieri e strappò con accuratezza i fiori ormai secchi, lasciando nel vaso i più belli.

-Poi si è accorta che si può anche morire-

Infilò il giglio bianco in mezzo al mazzo e si tirò in piedi.

-Ha passato un bel po' di tempo in ospedale, per la scottatura ed un paio di costole rotte-

Scottatura, come se stessimo parlando di troppo sole.

Mi chinai, avvicinandomi alla foto. Ci passai un pollice in modo da ripulire il vetro dal sottile strato di polvere.

Hazel.

-Poi ha iniziato a fumare, e invece di farsi aiutare ha rifiutato tutti-

-Fino a che non si è trasferita a Los Angeles- conclusi.

Sentii il suo sguardo perforarmi la testa ma decisi di ignorarlo: aveva trovato di meglio stando lontana da loro, era riuscita ad essere felice da sola, quindi meglio per lei.

Se noi, Guns e Adriana, eravamo stati migliori di suo padre, lui poteva dare la colpa solo a sè stesso.

-Le assomiglia spaventosamente-

Eccole: onde castane ai lati del viso e stesse piccole fossette sulle guance nel sorridere.

-So cosa pensi di me, probabilmente mi detesti per come la tratto-

Continuai a guardare l'immagine.

Sì, mi faceva abbastanza schifo.

-La amo con tutto me stesso, ma anche se ci provo non riesco quasi a guardarla in faccia da quando è uscita dall'ospedale. Rivedere in lei sua madre ogni giorno è un'illusione che spezza il cuore-

Trattenni un sospiro più profondo.

Se io avessi perso il mio amore probabilmente non avrei saputo fare di meglio, anzi.

-L'ho lasciata andare- ammise.

-L'ha perdonata?-

-Non c'è nulla da perdonare-

Mi rialzai, sorpreso dalla tono della sua voce, improvvisamente cambiato in pura convinzione.

-Elizabeth è mia figlia-




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