Capitolo 2: 𝓒𝓱𝓲 𝓮̀ 𝓝𝓮𝔀𝓽 𝓑𝓮𝓷𝓼𝓸𝓷?

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Una settimana più tardi, passata a gironzolare per il paese con Drew, sorseggiare succo d'arancia distesa sulla sdraio in terrazza o ascoltare mia mamma raccontarmi i fatti piú clou dei suoi momenti con Tom, mi ritrovo qui, a scuola, pronta ad affrontare il mio primo giorno di corso di pittura.

Fortunatamente, Drew ha deciso di accompagnarmi, con la scusa che una volta che si sarà liberato di me, si gusterà una bella ciambella alla glassa di more allo Stenfield, bar mattutino dei paraggi.

In realtà, credo che il mio grande amico si sia sforzato di puntare la sveglia ed accompagnarmi fin qui per ben altri motivi: la speranza di rivedere quel bel faccino della volta scorsa.

«Aah, se solo avessi saputo che avrei potuto trascorrere del tempo con un tale strafico, mi sarei iscritto anche io».
Mi si illuminano gli occhi. «Posso provare a parlare con l'istruttrice o... l'istruttore, o... Insomma! Con chi di dovere!»
Mi guarda di sottecchi. «Mi stai prendendo in giro, per caso?»
«Come? No!»
«Andiamo... ti ricordi in quarta elementare? Quando il maestro di arte mi chiese di disegnare un elefante?»

Trattengo le risate quando il ricordo si fa vivido nella mia mente.
Drew, quella volta, ci mise tutto il suo impegno per fare bella figura, ma quando il suo disegno fu appeso assieme ai restanti animaletti sulla bacheca della classe, tutti i compagni cominciarono a schernirlo per le strane sembianze che quel povero elefante aveva assunto.

«Beh, diciamo che quella proboscide lasciava ben poco all'immaginazione», commento tra una risata e l'altra, ignorando l'espressione afflitta del mio amico.

Prendo in prestito il polso di Drew per dare un'occhiata al suo orologio e per poco non mi viene un colpo quando mi accorgo dell'ora che abbiamo fatto.
Sono le 9:10. La "lezione" dovrebbe essere cominciata dieci minuti fa!

Normalmente, in una giornata scolastica, mi sarei regolata con le tempistiche grazie al suono della campanella, e ho dato per scontato che sarebbe scattata anche oggi.

Mi precipito subito in quella che sarà l'aula dove si terrà il corso, spalancando la porta con prepotenza, guadagnandomi così un'occhiata poco accogliente da quella che sarà la nostra istruttrice e dal resto dei partecipanti.

La classe è davvero limitata. Non so per quale motivo, ma mi aspettavo ci sarebbero state piú persone... Beh, potrebbe anche trattarsi di un fatto positivo: meno gente, meno distrazioni. Più arte.

È allora che lo vedo, nel banco più lontano dalla cattedra, non troppo interessato al trambusto che ho causato. Almeno così sembra...

«Siediti pure dove preferisci...», comincia, tentando di scoprire il mio nome.
«Lorraine», le sorrido, scrutando tra i banchi alla ricerca di un posto libero.

Ah, ma chi vogliamo prendere in giro? Questa classe è per metà vuota!
Mi sistemo volontariamente al fianco di... Com'è che si chiamava?

Dannazione, non sono mai stata brava ad ingannare la mia coscienza... Il suo nome è ben vivido nella mia mente: Newt Benson.

Non credo mi darà troppi problemi: è silenzioso, per nulla invadente, disinteressato... Ho già detto silenzioso?

Dopo l'ultimo anno trascorso a fianco di Susy Maison, chiacchierona di primo grado e disturbatrice seriale, Newt potrebbe addirittura vincere una medaglia come "miglior compagno dell'anno".

L'insegnante si presenta: possiamo chiamarla Marylin, ha trentasette anni e la sua vocazione sono i pennelli, le tempere, le matite ben appuntite e le tele.

«Che ne dite...», comincia lei sfregandosi i palmi delle mani. «Vi va un giro di presentazioni, giusto per entrare nel clima adatto?»
Scorgo alcune testoline annuire, altre ammutolirsi.

«Beh, non troppo entusiasmo!», commenta Marylin ridacchiando.
«Essendo ad un corso di pittura, delle classiche - e oserei dire banali - presentazioni non fanno al caso nostro...»

Ci consiglia di munirci del foglio che consegna ad ognuno di noi per disegnare qualcosa, la prima cosa che ci viene in mente, per tentare di conoscerci meglio in questa maniera alternativa.
Approfitto di questi attimi per contare tutti i partecipanti: sette, solo sette ragazzi.

Finalmente Newt, accanto a me, sembra tornare nel mondo dei vivi. Preleva dallo zaino accatastato a terra una matita, si china su se stessa e senza aspettare una sorta di "via" dall'insegnante comincia la sua opera.

Non sembra affatto concentrato sul suo lavoro: gli occhi nerissimi, nascosti in parte da ciuffi di capelli scuri scompigliati, sembrano essere altrove, eppure le sue dita si muovono agili, creando linee nette sparse sul foglio, mentre i muscoli sul suo braccio guizzano ad ogni movimento.
Noto qualcuno voltarsi nella nostra direzione con un'espressione piuttosto inquietata sul volto.
Beh, come dargli torto...

Un attimo dopo, lo sguardo di Newt incontra il mio, dato che si gira di scatto con un'aria decisamente nervosa.
Sussulto, ma decido di mantenere lo sguardo.
Sono Lorraine Myers, non mi lascio di certo intimorire da uno svitato del genere.

«Qualche problema?», domanda lui in tono sarcastico.
Sono queste le prime parole che sento uscire dalla sua bocca. La voce forte, a tratti roca, è in grado di lasciarmi spaesata.
«Perche credi che io abbia qualche problema?», rido nervosamente.
«Non lo so, forse perché mi stai fissando da quando hai varcato quella porta?»

La sua frase attira l'attenzione della ragazza seduta al mio fianco, che liquido con un sorriso imbarazzato.
E poi che ne sa questo di quanto l'ho fissato, se è stato a guardare i fiorellini fuori dalla finestra per tutto il tempo?

Decido di non ribattere, e tentare di concentrarmi sul mio compito.
Impresa molto ardua, dato che il mio petto sembra esplodere e rischio un attacco di nervi.
Ma chi si crede di essere?

Sbuffo, ma mi scruto attorno per cercare ispirazione. Devo disegnare qualcosa che mi rappresenti... Ma cosa?
Scruto a destra e a manca, e ad un certo punto un salice piangente in cortile attira la mia attenzione.
Una volta, su una strana enciclopedia polverosa nascosta tra gli scaffali della libreria, ho letto che il salice piangente, per alcuni è simbolo di dolore o tristezza, per altri invece rappresenta positività.

In effetti... Potrebbe rappresentarmi abbastanza bene.
Voglio dire, l'impressione che a tutti do è quella di essere una ragazza piuttosto cupa, introversa, a tratti antipatica...
Eppure, chi mi conosce meglio, sa bene che i mormorii della gente che mi vede per la prima volta, non sono altro che futili menzogne.
Pregiudizi fondati sul nulla.

Mi scuoto dai miei pensieri, impugno la matita e mi metto d'impegno.
Poco dopo, la base è pronta, così do il via alla colorazione, con le tempere che, nel frattempo, Marylin ha messo a nostra disposizione.

Con la coda nell'occhio, noto che Newt sta prediligendo di gran lunga i colori scuri, sui toni del grigio e del nero.
Alzo le spalle impercettibilmente e proseguo nel mio trambusto.

Qualche passata di verde prato più tardi, ecco che il mio disegno è concluso.
Non sono particolarmente soddisfatta del risultato. Insomma... Sono ancora decisamente sconvolta da quanto successo, e concentrarsi non si è rivelato così facile come previsto!

Una volta che tutti hanno terminato, Marylin si schiarisce la gola.
«Bene, ragazzi... Giù i pennelli!», sogghigna convinta di aver fatto la battuta del secolo. «Ora, a turno, mostrerete il vostro disegno e svelerete il vostro nome... Cominci tu!», indica una ragazza dalle trecce più bionde che abbia mai visto.

«Catherine, ciao a tutti!», sorride voltandosi per mostrare il suo bel tramonto.
Un lago, una villetta accogliente, una montagna innevata e altri disegni interessanti più tardi, è il turno di Newt, che mostra una serie di linee scure che si accatastano tra loro. «Sono Newt», afferma in tono serioso e netto.

Marylin sgrana gli occhi. «Bene, Newt...», sorride. «Perchè non ci racconti un po' cosa hai rappresentato?»
«Non era previsto che dovessimo spiegare le nostre opere.»
«Certo», continua lei. «Ma perché no? Sono piuttosto incuriosita...»
«Credo dovrà tenersi la sua curiosità, per stavolta», ribatte secco come una foglia.

La classe rabbrividisce, e io comincio a domandarmi...
Chi è Newt Benson?





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