Capitolo 7: Una serata da dimenticare

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«Tu non esci di qui conciata in quel modo!», mi sbarra la porta Drew, scrutando di malocchio i miei adorabili jeans vintage e la mia camicetta beige.
«Avanti, Drew! L'ha detto anche Calvin che si tratta semplicemente di una festicciola in tranquillità», tento di rassicurarlo, anche se so bene che le feste organizzate da un tipo come lui finiscono sempre col risultare tutto fuorchè tranquille.

Mia madre, seduta al tavolo in cucina, si sporge ridacchiando. «Drew non ha poi tutti i torti, tesoro...».
Alzo gli occhi al cielo, rassegnata al fatto che, se voglio uscire indenne da questa situazione, mi toccherà prestare loro ascolto. «D'accordo, ti lascio scegliere le scarpe.»

Gli occhietti a mandorla di Drew si illuminano all'istante.
«Solo le scarpe!», ripeto minacciandolo con l'indice a mezz'aria.
Mia madre ci raggiunge all'istante, esaltata quanto lui, per poi farci strada lungo il corridoio che porta alla sua stanza.
Apre il guardaroba, armeggia con gli appendiabiti, per poi lasciare spazio a Drew, che scruta l'ammasso di scarpe spaiate alla ricerca di ciò che può fare al caso mio.

«Io ti consiglierei...», tenta di intromettersi mia madre, consapevole del fatto che questa sia un'occasione più unica che rara.
Tuttavia, Drew la interrompe. «Shh! Sto pensando...», si porta una mano alla fronte, restando in silenzio per i prossimi due minuti. «Abbiamo le prescelte».

Mia mamma saltella dalla trepidazione, mentre io comincio ad indispettirmi per questo ennesimo siparietto.
Drew estrae come fosse un minerale prezioso un paio di decolletè di un tono che si avvicina parecchio alla mia camicetta.
«Sembrano piuttosto dolorose...», commento decisamente poco convinta.
«Fidati, tesoro... Andranno benissimo», tenta di rassicurarmi mia madre.

Annuisco, infilando la scarpetta dalla punta.
Non sembrano essere così male, dopotutto.

Mamma ci riaccompagna alla porta, mi schiocca due baci sulle guance come se stessi per partire per una spedizione in Afghanistan, e mi saluta con un cenno di mano.
«Divertitevi, ma non bevete mai dai bicchieri degli sconosciuti...», mi avverte con aria seriosa.
«Certo, mamma», taglio corto e prima che possa continuare, mi fiondo nel maggiolino giallognolo di Drew.

Faccio un segno della croce, giusto per infastidire il mio amico.
In effetti, alla guida diventa davvero irascibile...
Sicuramente, guidare tra i vicoli turbolenti della campagna e in piena notte, non deve essere poi un'avventura così spassosa.
Ma questo non posso saperlo, dato che non ho ancora tentato di prendermi la patente.

Arriviamo alla villa di Calvin, una vera e propria cascina immersa nei campi.
Ricordo che da piccoli, quando ci invitava alle sue svariate festicciole, era sempre così contento di mostrarci le stalle.

I bambini impazzivano quando Calvin dava loro permesso di montare un puledro, ovviamente sotto la sua attenta ed esperta supervisione.

«Non è cambiata di una virgola», constato io con lo sguardo fisso sull'imponente villetta bianca.
Drew annuisce, e intrepido, si fa strada nell'ampio giardino straripante di ragazzi di ogni genere.

Una volta giunti all'ingresso, la musica rimbomba nelle orecchie.
«Una cosa tranquilla, eh?», tento di sovrastare l'alto volume.
Per tutta risposta, Drew alza gli occhi al cielo, annoiato dalle mie lamentele.

I ragazzi strillano, ridono, scherzano, bevono da dei bicchieri di plastica.
Sono appena entrata e già mi sento così estranea a tutta questa situazione.

Drew, invece, sembra essersi ambientato in fretta: si muove ancheggiando a ritmo di musica, mi prende per la mano e mi trascina in cucina.
Si versa da bere in uno dei bicchieri colorati, poi dà un sorso senza troppe esitazioni.

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