Il signor F.

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Il signor F. ha quasi settant'anni, ma ha ancora una mente molto vivace.

Ha un curriculum piccoloborghese di tutto rispetto. Nato e cresciuto nel Piccolo Borgo (criterio indispensabile), ex assessore, ex consigliere di maggioranza, ex consigliere di minoranza (e qui servirà un capitolo a parte, credo), ha sposato una manciata di decenni fa la signora M., Lady Attivismo & Beneficenza Piccoloborghese.

Frequenta tutti i miei corsi. Si presenta sempre con una decina di minuti di ritardo - quello che io chiamo "fuso orario del signor F." -, cartellina in mano, penna in tasca. Non usa mai né cartellina, né penna, perché sostiene di non saper leggere la sua grafia. Ma li porta comunque.

«Ah, non so perché continuo a venire qui», mi dice, tutte le volte. «A me non piace, la narrativa. Sono fatto per i saggi, io, per i problemi della società. Altro che racconti. Vorrei scrivere dei giovani che hanno sempre in mano il telefonino, io.»

Corre voce che partecipi solo per staccarsi qualche ora da Lady A&B. Che lei sia una specie di arpia e che le sue facce gioviali e di immenso amore siano solo a beneficio della beneficenza. Ma le voci corrono sempre, per cui facciamo finta di non averle sentite e torniamo al signor F.

Il signor F. fa sempre gli esercizi di scrittura. Non quelli che ho assegnato io, però. Ogni volta dice che ci ha provato, ma che la narrativa proprio non gli piace. Dice che aspetta con pazienza che io gli dia da scrivere un saggio. Io continuo a non farlo. Lui continua a venire e a lamentarsi.

Dovrebbe prendere spunto da quello che ha intorno, gli dico. La vita è simile a un saggio, la narrativa pure. Magari è anche più interessante, gli dico. Lui mi porta un suo commento su un passo del vangelo. Io lo sprono a scrivere una storiella. Punti sull'ironia, gli dico. Cerchi di tirare fuori qualcosa di ironico da quello che vede ogni giorno, gli dico. Lui mi porta una roba di dieci pagine sull'importanza degli animali domestici. Racconti qualcosa del suo passato, gli dico. Pensi a un evento importante e ci racconti cosa ha provato, gli dico. Lui mi porta un verbale di una riunione della giunta comunale.

Io insisto. Trasformi un saggio in un racconto, gli dico.

Si presenta all'ultima lezione con un foglio scritto a mano.

«Guardi», mi dice. «Forse ho capito che cosa voleva.»

Legge il suo racconto con orgoglio. Si è superato: è davvero un racconto. Una novella boccaccesca, in cui una donna riesce a ingannare il marito e a farlo saltare giù dalla finestra, per godersi finalmente la pensione. Nella sala qualcuno ride. Rido anch'io, mi complimento.

Lui è serio. Mi guarda, scuote la testa. «Ho fatto come diceva lei», mi dice. «Ho pensato alla vita di tutti i giorni.»

«Ha fatto bene.»

«L'altra sera avevo mal di schiena e mia moglie mi ha detto di salire al terzo piano e buttarmi di sotto. Mi ha dato l'ispirazione.»

Nella stanza continuano a ridere. Lui rimane serio.


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