Dottoressa Werni
Perché diamine non avevo dato ascolto alla 'consulente' quando mi aveva suggerito di anticipare le 'ferie'?
Chiaramente non ero in me. Innanzitutto non avrei mai parlato ad un paziente con quel tono di voce, quel ragazzo si era recato da noi per essere curato. Il fatto che mi avesse guardato in cagnesco appena l'avevo rianimato non doveva infastidirmi o distrarmi.
«Signor Lessard, sa dove si trova?»
«Uhh, forse sono all'ospedale visto che siete tutti vestiti di bianco.»
L'unico occhio aperto mi scrutò con rabbia.
Forse ho premuto con troppa forza le nocche sul suo torace...
La sua voce continuò impastata:
«O forse sono all'inferno vista la sua cortesia.»
Per confermare quello che diceva portò la mano sul petto, proprio dove avevo spinto prima.
Avrei dovuto premere più forte! Così avrebbe imparato a non ridurre il proprio corpo in questo stato.
«Che cosa le è successo signor Lessard?»
«Sono caduto dalle scale.»
Lo guardai con diffidenza. Nemmeno i bambini usavano scuse così assurde.
«E le ragazze che erano con lei?»
«Eh sì, lo so. La prossima volta eviterò di fare certe cose sulle scale.» Aggiunse con un sorriso sghembo. Prima che potessi dire qualcosa, continuò:
«Ma, non il ménage a trois.» Il sorriso crebbe quando vide la mia espressione seria.
Provai per l'ultima volta, visto che la sua accompagnatrice aveva accennato ad una lite in un bar. Avevo permesso a Vithusan di lasciarla andare quando mi aveva informato che faceva il tirocinio all'ospedale.
«Abbiamo trovato la presenza di sostanze stupefacenti nel suo sangue. Forse dobbiamo informare la polizia o...»
Lasciai la frase in sospeso, così avrebbe avuto tempo per pensare alle conseguenze dei suoi atti. Visto che non proferiva parola, continuai:
«Magari le ragazze che erano con lei sapranno dirmi di più.»
Mi girai verso Vithusan con un cipiglio autoritario.
«Vithusan vai a prender-»
Con la coda dell'occhio notai che lo sguardo del ragazzo steso sul lettino si fece cupo. La sua voce tagliò le mie parole.
«Nah, non è assolutamente il caso. Il fatto è che mia cugina è appena tornata dal Perù e ha portato queste caramelle, come posso dire... da urlo.»
La sua arroganza, nonché completa irresponsabilità, quasi mi fecero perdere la pazienza. Feci un profondo respiro.
Se non altro era scaltro e mi scrutava aspettando una reazione. Ignorai la sua risposta e mi concentrai sui risultati anomali degli esami del sangue che comparvero sul monitor del computer principale. Avevo già visto valori ambigui come quelli, ma non ricordavo dove.
Forse ero ancora all'università...
Il mio sguardo si alternava tra le analisi e il monitor dell'elettrocardiografo che era, in quel momento, la mia maggior preoccupazione. Visto che il suo petto non mostrava nessun segno di schiacciamento o ematomi evidenti che potessero essere la causa del suo arresto cardiaco, dovevo assolutamente capire come mai il suo cuore si fosse fermato in quel modo così improvviso. La mia prossima domanda era fondamentale per farmi un'idea del quadro generale.
«Lei è al corrente di aver una piccola aritmia cardiaca? Per caso è seguito da un cardiologo?»
«Non ho assolutamente niente. Sono sano come un pesce.»
La risposta era concisa, ma il piccolo tremore che notai nelle sue mani mi confermò che sapeva qualcosa, solamente che non era intenzionato ad approfondire l'argomento. Provai aggiungendo un tono amichevole a quello professionale.
«Signor Lessard, pos–»
«Ho detto di no, grazie.»
Il timbro duro nella sua voce mi fermò, non potevo insistere con un paziente che non voleva essere curato. Avrei passato la sua cartella al cardiologo, in quel momento ero la responsabile per l'emergenza, il mio lavoro lì era concluso.
Volevo chiedergli di più sul suo cognome, magari capire perché mi suonasse familiare ma con tutta quella scortesia decisi di lasciar perdere. Quando fossi riuscita ad avere un po' di tranquillità, avrei cercato di ricordare. Era più giovane di me, perciò probabilmente era qualche vecchio compagno di scuola; sicuramente non era il genitore di uno dei miei pazienti, il ragazzo aveva una stazza che avrei ricordato. Il suo viso, anche se ferito, era abbastanza particolare e i capelli biondi avevano un taglio che non passava inosservato. Conoscevo genitori giovanissimi, ma nessuno portava i capelli legati in una piccola coda e rasati ai lati.
In effetti, mi accorsi che l'assistente che mi stava affiancando lo osservava con particolare interesse mentre lo esaminava. Dopo il suo ennesimo palpare per assicurarsi che gli elettrodi attaccati al suo petto fossero ben saldi, aver pulito bene le ferite, ed essersi accertata che fosse abbastanza comodo, si accorse del mio sguardo tagliente. Non ammettevo certe frivolezze nella mia sala.
Di solito non avevo problemi del genere, ero sempre circondata da bambini e da abili assistenti, ma ogni tanto mi capitavano serate nel reparto delle emergenze e non sopportavo comportamenti indisciplinati.
L'assistente arrossì e si girò in fretta verso l'elettrocardiografo, mentre continuavo ad esaminare il paziente.
Quando fui soddisfatta, visto che ero già riuscita a stabilizzarlo e l'infermiera mi avvertì che il cardiologo stava arrivando, mi girai verso il lavandino e, mentre mi toglievo i guanti, approfittai per dare le ultime informazioni da fornire ai colleghi che avrebbero effettuato la tomografia.
«Avverti i reparti che voglio visionare i risultati.»
Diedi ancora qualche ordine in fretta mentre uscivo dalla sala, visto che il telefono dell'emergenza suonava un'altra volta nella tasca del camice.
Quando la barella con il ragazzo mi passò affianco notai che l'assistente, senza nemmeno accorgersene, gli camminava vicino e che lui le diceva qualcosa che la fece prontamente arrossire. Lei sapeva che non sarebbe stato necessario accompagnarlo, per quelle mansioni avevamo altre persone.
La mia voce fece fermare la barella:
«Maddaleine, non c'è bisogno che accompagni il signor Lessard alla TAC. Armand è qui apposta.»
Mentre balbettava qualche scusa che nemmeno ascoltai, chiusi la chiamata, avevano sbagliato numero. Quando mi girai verso di lui per salutarlo, vidi che mi guardava storto. Forse avevo rovinato qualcosa.
Ohh, mi dispiace tanto...
La mia attenzione tornò all'assistente.
«Per favore prendi il mio cappotto e portalo su nel mio ufficio.»
La ragazza si girò verso la sala da dove eravamo appena usciti e a testa bassa ritornò sui suoi passi. Guardai il ragazzo e gli feci il mio miglior sorriso professionale. La sua voce era appena un mormorio.
«Guastafeste.»
La mia risposta fu altrettanto bassa, con un falso accento sdolcinato:
«Non ha idea di quanto.»
Tornai al mio tono professionale mentre lo salutavo e mi incamminavo verso il mio prossimo paziente.
Lo sguardo arrabbiato che scorsi nell'unico occhio aperto mi portò uno strano, ma breve, sorriso trionfante sulle labbra, ma non avevo più tempo per pensarci, il telefono riprese a squillare.
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Audace
Mystery / Thriller❤️❤️❤️ Guarda il book trailer nel primo capitolo ❤️❤️❤️ Direttamente dalle foreste di pini in Svizzera arriva... In quanti modi diversi ci si può camuffare? Dietro a quante maschere ci si può nascondere? Per quanto tempo lui riuscirà a fare il dopp...