Capitolo 3 JONATHAN

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« Dammi qualcosa per pulirmi.» ordinai alla ragazzina che di fronte ancora nuda mi guardava con occhi estasiati.

« Puoi andare in bagno , ma è al piano di sopra.» disse con la sua voce squillante ,baciandomi mi tirò per farmi alzare.

Sono ancora ubriaco pensai nervoso e incazzato con me stesso. « Dove hai detto che è il bagno?» chiesi confuso guardandola per la prima volta in tutta la sera negli occhi.

« Vieni ti accompagno .» esclamò premurosa con un velo di pietà negli occhi.

« Senti sta tranquilla, me ne vado a casa.» sbuffai mentre mi rivestivo , mi infilai i boxer e dopo i pantaloni.

« Puoi restare, i miei sono fuori, te lho già detto.» sussurrò lei al mio orecchio maliziosa.

« Ma io nemmeno ti conosco.» risposi mentre mi infilavo le scarpe , avrei avuto un aspetto terribile e sicuramente puzzavo di alcol e fumo della sera trascorsa al pub.

« So che sei ubriaco e so anche che sei triste per tua madre e mi dispiace.» sussurrò , cercando di accarezzarmi il viso .

« E tu che cazzo ne sai di mia madre?» sbottai, spingendola contro il muro mi innervosiva solamente sentirla nominare.

Lei non parlò e questo mi fece stare meglio, la testa mi scoppiava e non volevo che nessuno mi ronzasse attorno. Tutti volevano farsi carico e dispiacersi dei miei problemi, ma a me non importa un cazzo di loro e nemmeno dei miei stessi problemi.

« Cara , come faccio ad uscire da questa maledetta casa?» chiesi mentre lei cominciava a piangere, i suoi singhiozzi mi causavano un mal di testa ancora più forte.

« Non ti importava che non mi conoscevi mentre stanotte mi scopavi però.» esclamò la ragazza inginocchiandosi per terra continuando a piangere.

« Senti impara a non aprire le gambe agli sconosciuti, invece che me avresti potuto trovare un pazzo o un maniaco.» sbottai ancora pieno di rabbia.

Vagai per la casa alla ricerca di unuscita, trovai la porta e me la richiusi alle spalle. Avevo anche guidato fatto e ubriaco ieri notte ,con una sicuramente minorenne in macchina e mi era andata bene anche questa volta.

Aprii la macchina e con un barlume di lucidità che mi tornava pensai allautodistruzione che da mesi ormai praticavo su me stesso.

Tutti i miei amici li avevo abbandonati in California con essi avevo lasciato anche tutti i miei ricordi e la vita che sognavo, pensai alla specializzazione in chirurgia che avevo lasciato , ai miei sogni e alla fine che non avrei mai pensato di fare.

Mio padre poteva darmi tutti i soldi che desideravo , ma io non li volevo e mai li ho voluti, ma ora mi ritrovo in un paesino di merda ad essere il suo sottomesso.

Ripensai al sangue sulle mie mani e a ciò che inevitabilmente avevo fatto.

Le sue urla mi riempivano la testa delle solite immagini, lei distesa per terra ed io che cercavo inutilmente di fermare il sangue, non accorgendomi che però era troppo tardi.

Cominciai a sbattere le mani contro il volante e ad urlare, nessuno avrebbe mai capito come mi sentivo

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