1. Emicrania

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1. Emicrania  (capitolo introduttivo)

Mi guardai allo specchio. La mia immagine riflessa appariva quella di sempre, ma forse quando mia madre diceva che ero cambiata non si riferiva al mio aspetto.

Tornai con la mente indietro nel tempo, ma non riuscivo a afferrare l'esatto momento in cui era avvenuto il cambiamento. Cercai di non pensarci mentre pettinavo i miei lunghi capelli castano chiaro e fissavo i miei occhi verde-giallo. Beh... Forse aveva ragione... Il mio sguardo metteva un po' a disagio anche me.

Avevo notato da un po' di tempo a questa parte che la gente non amava guardarmi negli occhi a lungo, ma il motivo mi sfuggiva. Che dire, tutto sommato avevo quasi diciannove anni; non passano tutti nella vita un periodo di... come definirlo, turbamento? No, non era la parola adatta, in effetti erano più che altro gli altri a essere turbati da me -pazienza - mi dissi, cercando di convincermi che se ero sgradevole era dovuto al fatto che per anni ero stata costretta a frequentare i miei poco allettanti coetanei, scarsamente attraenti dal punto di vista intellettivo.

Sorrisi a me stessa. Sì, ero decisamente sgradevole e superba. Forse con il college sarebbe andata meglio, me lo auguravo. Di sicuro il panorama umano sarebbe stato più variegato, no? E se non mi fosse bastato neanche quello? Se anche lì mi fossi sentita un'aliena? Scacciai il pensiero sbuffando e finii di mettermi il mascara, con attenzione. Mi alzai in piedi convinta di aver fatto il possibile per rendermi se non bellissima - obiettivo decisamente irraggiungibile - quantomeno carina e scesi di sotto afferrando la borsetta da sopra il mio letto.

Da settimane mi sentivo più inquieta del solito, ma non riuscivo a capirne il motivo, sentivo come una specie di tormento interiore, la sensazione che qualcosa mi sfuggisse... Qualcosa di importante.

La cucina era inondata dal sole del pomeriggio, uno dei più caldi di quella torrida estate. Presi un bicchiere e lo riempii d'acqua nel lavandino, la testa mi scoppiava ormai da giorni... Che diamine, gli esami erano finiti da un pezzo per di più con ottimi risultati, quando mi avrebbe abbandonato questa emicrania da ansia?

Ero ancora china sul lavello intenta a massaggiarmi la fronte e a bere, quando sentii la macchina di mia madre entrare nel vialetto. Addio pace. Vidi dalla finestra mio fratello scendere dall'auto con la borsa del basket quasi più grande di lui, mi vide e si aprì in uno dei suoi incredibili sorrisi.

Peter. Il mio adorabile fratellino di otto anni, l'unico in casa che sembrava apprezzarmi senza riserve rasentando, oserei dire, l'adorazione... Ma perché? Entrò in casa trascinandosi la borsa.

"Ciao mostro!", gli dissi mentre varcava la porta. Con lui a differenza degli altri dovevo sforzarmi di essere acida, ma ritenevo che la coerenza fosse tutto.

"Ciao strega!", rispose riservandomi un altro di quei sorrisi che gli facevano brillare gli occhietti castani, lo sguardo furbo dietro le lunghe ciglia. Non potei fare a meno di sorridergli a mia volta e scossi la testa tra me e me. Lui sì che ci sapeva fare con la gente, lo adoravano tutti e a ragione, ovviamente. Mi era difficilissimo strapazzarlo come ogni sorella maggiore dovrebbe fare con il proprio fratello più piccolo; sì, dovevo vessarlo di più, dovevo impegnarmi di più.

"Com'è andata la partita?", chiesi perfidamente, già conoscendo la risposta.

"Abbiamo perso", sospirò. Era decisamente negato con il basket. Un attimo dopo però si era già ripreso dallo sconforto e correva verso di me mostrandomi un libro. "Guarda cosa mi ha comprato mamma!".

"Wow, un altro libro pieno di navicelle spaziali e raggi laser! Non mi stupisce che nello sport tu sia una schiappa visto quante energie sprechi con questa paccottiglia commerciale". Tenni il libro in alto e lui iniziò a saltare per afferrarlo cercando di spingermi con tutte le sue forze contro il frigorifero, ma naturalmente senza ottenere nessun risultato: era così piccolo, mi faceva quasi tenerezza.

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