13. Luce

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13. Luce

Arrivò anche il giorno della festa. Non ero dell'umore adatto per festeggiare, ma difficilmente mi sarei potuta sottrarre all'incombenza del mio finto divertimento: era l'anniversario dei miei genitori e il giorno dopo avrei compiuto diciannove anni.

Avevo intimato ai miei di non farmi torte o auguri pubblici; li avevo convinti a regalarmi una sala discoteca per la serata, in cui rifugiarmi nel buio e in cui fingere di non conoscere le decine di ragazzi e ragazze, figli degli amici dei miei genitori. Per lo meno avrei evitato il più possibile il barboso rinfresco della sala adulti.

Mi avevano accontentata, quindi fingere un malore sarebbe stato eccessivamente disdicevole, persino per me. Mi consolava il fatto che ci sarebbe stata Angie a distrarmi, la serata sarebbe stata un po' meno soffocante con la mia amica accanto e forse sarei riuscita per qualche ora a non pensare a lui.

Quella mattina, molto presto, Jason si era limitato a svegliarmi scuotendomi un piede. Mi ero girata su un fianco e lo avevo ignorato, senza neanche aprire gli occhi, ma lui aveva continuato finché non gli avevo fatto presente – e in malo modo- che ero sveglia, facendo ben attenzione a non aprire ancora gli occhi: non volevo imprimermi nella mente il suo viso, non volevo passare la giornata a fare ipotesi e interpretazioni del suo sguardo.

I miei genitori avevano passato la mattina e il pomeriggio nel loro studio, a sbrigare del lavoro visto che il giorno dopo avrebbero avuto entrambi degli impegni.

Tempo prima gli avevo fatto presente che organizzare un party di domenica per loro sarebbe stato stancante, ma loro non erano parsi affatto turbati; mio padre mi aveva detto che nella vita non è una festa a essere faticosa e altre stupidaggini varie sul senso di responsabiltà eccetera, quindi avevo lasciato perdere, d'altronde non era un problema mio; io il giorno dopo avrei potuto dormire quanto mi pareva, per lo meno così avevo pensato all'epoca.

Quindi sospirai al pensiero della serata e del giorno dopo, diciannove faticosissimi anni...

In tarda serata cominciai a prepararmi iniziando con una lunga doccia calda; avevo bisogno di rilassarmi, mi sentivo stanca e irritata. Sotto il getto dell'acqua calda avvertii con sorpresa l'arrivo di Jason: eppure sapeva che c'era la festa, sarebbe potuto arrivare molto più tardi per il mio sonno... Mah, probabilmente aveva da fare e si sarebbe goduto il mio mondo.

Chinai il capo, pensando tristemente a quanto lo sentivo vicino e a quanto facesse male. La doccia non faceva effetto, anzi, non mi andava più. Mi infilai svelta l'accappatoio e strofinandomi un asciugamano sui capelli tornai imbronciata in camera mia.

Nel momento in cui varcai la soglia e sollevai lo sguardo vidi che Jason era lì, accanto alla finestra, poggiato al muro. Per la sorpresa cacciai un urlo e l'asciugano mi scappò di mano. Mi strinsi nell'accappatoio, imbarazzata e con il cuore a mille.

"Scusa, non volevo spaventarti".

Recuperai il contegno e distolsi lo sguardo da lui, raccogliendo l'asciugamano.

"No, non fa niente, se vuoi torno un attimo in bagno".

"Perché?", chiese lievemente confuso.

"Perché forse sono arrivata troppo presto e non hai avuto abbastanza tempo per dileguarti".

Vidi un lampo di rabbia balenare nei suoi occhi, ma fu un attimo, perché subito mostrò un perfetto sorriso canzonatorio, ma sembrava calcolato.

"Volevo solo sapere a che ora comincia la festa".

Cercai di mascherare la sorpresa. "Non c'è bisogno che tu venga".

"Ho già detto ai tuoi che ci sarò".

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