Cap 6

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"Miss Dixon, è passato molto tempo!"

Il panciuto professore la accolse con calore ed evidente piacere. Lo studio era meno luminoso della prima volta, perché il cielo dietro le grandi vetrate era coperto di nuvole minacciose, gravide di pioggia. L'aria gelida spazzata dal vento freddo del Nord era però chiusa fuori, e riscattata dal fuoco acceso nel grande camino.

"Non mi sono sentito libero di cercarla", disse l'uomo contento di vederla, "ma avrei desiderato poterla ringraziare, l'anno scorso, del suo giudizio clemente... avendo lei rifiutato di dichiararmi mentalmente instabile ho potuto portare avanti il mio progetto ancora per diversi mesi, prima che loro tornassero alla carica con nuove testimonianze".

Tra le poltroncine fiorate un tavolino offriva diversi vassoietti di dolci profumati, verosimilmente appena sfornati e dunque caldi e fragranti. La compitissima signora che l'aveva accolta chiese se poteva servire il the, e Harriet si sentì a suo agio, e confortata da quel calore che la stanza offriva, come un familiare rifugio.

Era singolare come il professor Murray fosse rimasto impresso nella sua mente, al punto da decidere, in quei giorni di vacanza rabbuiati dall'improvviso piombare dell'inverno sulla città, di cercarlo per concludere quel loro discorso lasciato in sospeso.

"Saprà, credo, che alla fine il tribunale ha deciso di affiancarmi un curatore e che di fatto non posso più disporre del mio per ciò che eccede l'ordinaria amministrazione", aggiunse in modo colloquiale e apparentemente sereno l'uomo.

"In tal modo il mio progetto si è arenato. Avrei voluto fare molto altro, ma non era destino, evidentemente. Qualcosa, almeno un minimo, comunque è stato realizzato; vuol dire che non meritavamo, come razza, altro che un'estrema, irrisoria possibilità".

"Mi dispiace che infine sia stato inabilitato", commentò Harriet, fermandosi a questo aspetto senza insistere sulle curiose affermazioni successive. "Lo temevo e anzi un curatore è stata una soluzione moderata".

L'uomo ebbe un gesto lieve.

"Se il tempo non fosse così poco clemente le proporrei di accompagnarmi nuovamente in giardino, dopo il the", affermò.

"E io avrei accettato volentieri, professore, le sue orchidee sono una meraviglia. Ma in ogni caso, visto che sono qui, potremmo concludere la nostra chiacchierata. Ricorda? Rifiutò di dirmi come lei ipotizzava fossero stati avvelenati quei poveretti..."

L'uomo annuì sorseggiando con calma la bevanda dorata.

"Ricordo, sì", disse poi deponendo con gentilezza la tazza e prendendo un biscotto secco dall'aria meno golosa di quelli, colmi di confettura, che offrì ad Harriet.

"Ricordo che avevamo cominciato a parlare degli esperimenti di Backster, dei quali lei era in parte a conoscenza.

Come tutti si era fermata ai primi clamorosi risultati, senza ovviamente avere consapevolezza di dove hanno condotto nel tempo i loro sviluppi".

La giovane confermò: "Ammetto. Anche se sono giustificata perché, se ho ben capito, questi risultati successivi sono contestati dalla scienza ufficiale".

"Contestati solo in parte, Miss Dixon, in realtà alcune delle cose di cui le parlerò sono ormai, invece, conoscenze botaniche acquisite benché non di dominio pubblico".

Il professore si interruppe appena un istante, spazzolandosi la veste da camera con una mano, liberandola dalle briciole di biscotto con cui era riuscito a riempirla.

"D'altro canto in ogni campo della scienza il progredire delle scoperte è così veloce che solo gli appassionati del campo specifico possono tenersi aggiornati", rifletté, e proseguì con passione:

"Comincerò col dirle che le piante hanno consapevolezza dell'ambiente che le circonda e interagiscono con esso. La maggior parte di noi stenta a crederlo perché non hanno strutture somiglianti ai nostri organi di senso, eppure è provato ormai da decenni che esse abbiano molte percezioni e nozioni del mondo e dei comportamenti delle creature vegetali e non, che in esso vivono e agiscono".

Harriet posò anch'ella la tazza dall'elegante decoro floreale.

"E questo è stato davvero dimostrato, professor Murray?"

L'uomo sorrise e annuì.

"Sì, Miss Dixon, i famosi esperimenti con la macchina della verità aprirono solo la strada a questa scoperta; siamo andati molto più avanti, benché tutto sia obiettivamente cominciato da quel curioso esperimento con cui si è avuta la prova che le piante reagivano al comportamento di altri esseri viventi.

Allora ottenemmo la prova che gradivano essere annaffiate, ad esempio, e che emanavano segnali allarmati se 'assistevano' a una violenza esercitata ai danni di un'altra pianta. Da subito alla gente sembrò straordinario che, senza occhi e orecchi, una pianta riconoscesse un essere umano che aveva danneggiato una compagna.

Questo perché gli uomini usano se stessi come termine di confronto per ogni realtà e mancano della fantasia e della elasticità per immaginare esseri senzienti diversi da loro.

Da quella prima scoperta, comunque, si è giunti oggi molto, molto lontano. Ripetendo l'esperimento di Backster sul limitare di un bosco, si è constatato che l'uomo che infierisca su un albero, per esempio, e che poi in macchina aggiri il bosco raggiungendone il capo opposto, provocherà nelle piante di quel luogo, molto lontano da quello dell'esperimento, una reazione avversa, come se l'informazione circa la crudeltà dell'azione vandalica possa viaggiare velocissima di pianta in pianta e l'intero bosco reagisca come un'entità unica.

C'è chi ha ipotizzato che l'informazione effettivamente 'viaggi' di radice in radice per contiguità, come un impulso elettrico di neurone in neurone nel cervello umano... ma resterebbero inspiegate, fosse così, le reazioni delle piante in vaso, come appunto quelle del primo esperimento tentato, la cui comunicazione pare avvenire per telepatia. 

In realtà sembra proprio che le piante dialoghino a distanza, anche attraverso l'aria. La sconvolge tutto ciò, miss Dixon?"

La bruna si fermò a riflettere, prima di rispondere: "Non del tutto, no. Piuttosto, immaginare queste capacità mi emoziona..."

Il professore annuì: "Ne sono lieto e la capisco. Consideri le implicazioni: sappiamo ormai che le piante dialogano e si intendono pur appartenendo a specie diverse. Di più, nel caso di un pericolo non si dimostrano stressate solo se il danno viene inferto a un'altra pianta. Avvertono e reagiscono alla violenza contro qualunque vegetale ma anche contro qualunque animale. Dimostrano una capacità di relazione e di coscienza che hanno lasciato increduli gli stessi scienziati che conducevano gli esperimenti.

Sanno relazionarsi col resto del mondo in modo sorprendente: abbiamo scoperto che quando un loro seme si schiude non lontano dai propri fusti, taluni alberi sintetizzano nelle radici sostanze zuccherine nutrienti e le rilasciano nel terreno, affinché la piantina possa nutrirsene e irrobustirsi rapidamente, con una strategia che avvicineremmo all'allattamento.

E se sono malamente messe in pericolo da erbivori troppo numerosi e affamati, talune piante sintetizzano e liberano nell'aria, attraverso le foglie, sostanze chimiche di richiamo per determinati insetti, che accorrono infastidendo e mettendo in fuga gli erbivori.

E potrei proseguire con innumerevoli esempi, che dimostrano come il regno vegetale sia estremamente più reattivo di quanto noi abbiamo mai saputo immaginare, ingannati da un'apparente immobilità delle piante".

"Tutto questo è davvero affascinante", convenne la giovane: "Ma ancora non mi ha svelato nulla del mistero su cui ha lavorato, quello degli avvelenamenti".

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