1.Ryan

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"Resistere significa semplicemente
tirare fuori i coglioni e meno
sono le chance più dolce
è la vittoria
-Charles Bukowski"

L'oscurità mi attira, mi provoca.
Alloggia nel mio corpo peggio della nicotina.
Il mio animo è consumato dal male, dalla sofferenza, da ciò che nessuno vorrebbe mai provare.
La mia mente è divisa tra ciò che mostro e ciò che sono.
Mostro di essere un riccone del cazzo anche se in fondo il mio lavoro mi piace.
Sono un uomo logorato da ciò che ha vissuto, diffidente persino della sua ombra.
Le porte del mio inferno personale sono state aperte molto tempo fa, non permettendomi di uscire, di vivere.
Quello che so è che la vita è una fottuta bastarda e non si pentirà di farti vivere l'inferno.
Gli attimi di felicità sono così deboli, come una luce fioca.
Sono così brevi ma intensi che una volta terminati ti rimangono secco, incredulo.
Possedere molti locali di lusso nel centro di Sydney dovrebbe rendere felice una persona normale, una persona senza problemi.
Ma io non faccio parte di quella categoria.
Una boccata di fumo fuoriesce dalle mie labbra, facendo provare sollievo ai miei polmoni.
Guardo la grande insegna illuminata da un led rosa e socchiudo gli occhi per scrutarla meglio
"The Black Club"
Afferro il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans neri e controllo l'indirizzo che mi ha mandato mio fratello Race.
Sì, è proprio questo il posto.
Questo lo conferma il cartello giallo con su scritto "Vendesi" e il numero del proprietario al di sotto.
Gusto un ultimo tiro dalla mia preziosa amica e la getto via.
Spalanco la porta in legno battuto di questo locale e una musica assordante mi accoglie. Non avanzo nemmeno di un passo e restando fermo sul posto inizio a scrutare il posto.
Anche se ci saranno più o meno mille persone, riesco perfettamente a osservare il pavimento rosso accesso macchiato da varie sostanze chimiche, le pareti troppo scure e trascurate, le luci troppo vistose e il bancone dei cocktail troppo vecchio. Questo posto è proprio da rifare. Non mi passa inosservata una biondina con un vestito da cameriera così striminzito da farle scoppiare le tette dalla scollatura. Mi lancia un'occhiolino prima di girarsi di spalle e tiro uno sbuffo scocciato.
Non sono qui per giocare, ma per lavorare.
Nascondo nelle tasche dei miei jeans le mani e inizio a farmi spazio in mezzo a questi corpi sudati per raggiungere il bancone di legno.
Mi siedo su una sedia rossa alta decente e incollo i miei occhi ad una figura girata di spalle dietro a questo sudicio bancone.
La lunga chioma nera copre le spalle esili e il corpo minuto.
Un pantalone nero fascia le gambe magre e il culo alto e sodo, una maglietta del medesimo colore fascia la vita stretta e risale verso l'alto.
Assolutamente mangiabile.
"Posso avere per un attimo la tua attenzione?" al suono delle mie parole, la ragazza si gira di scatto verso di me ed io rimango incantato a guardarla.
Le labbra grandi sono colorate da un rossetto rosso scuro, il naso è piccolo e snello e infine gli occhi grandi e azzurri, molto più dei miei, contornati da un filo di mascara, mi scrutano attenti, diffidenti come se non si fidasse abbastanza da ascoltarmi.
Insomma non ha tutti i torti, chi in questo posto è affidabile?
"Certo, dimmi." Mi dice nonostante tutto con tono professionale e gentile, sorridendomi.
Questa ragazza è troppo per questa merda di locale.
Decido di svelare la mia vera identità a questa piccola ragazzina che avrà si e no vent'anni e svolgere il mio lavoro iniziale.
"Sono Ryan James, l'imprenditore che sarebbe interessato a comprare il locale. Dove posso trovare il proprietario di cui non ricordo affatto il nome?"
La ragazzina mi fissa incredula non aspettandosi di certo che fossi io l'imprenditore.
I dipendenti sono consapevoli dell'arrivo di un nuovo proprietario e sono altrettanto consapevoli che dovranno affrontare due settimane di prova per farmi  capire di chi mi posso fidare o meno.
Qui, in questo posto, niente e nessuno è affidabile.
La ragazzina sbatte più volte le palpebre per poi darsi un contegno, dopodiché tossisce e ritorna seria posandosi una mano sul fianco.
"Oh quindi è lei, salve signor James. Prego, mi segua. Il signor Njar ci ha parlato di lei." Si pulisce le mani con uno strofinaccio bianco per poi gettarlo sul bancone. Chiama da lontano una ragazza che se non sbaglio credo abbia chiamato Dovie e lascia il suo posto, dove ora c'è la biondina che ho visto prima all'entrata.
Ora che c'è l'ho di fronte non è così bassa come sembrava. Ci divideranno, si e no, 20 cm e questa cosa mi piace, molto.
Dopo avermi indicato dove siamo diretti, inizio a seguirla mentre osservo alcune persone ubriache intente a giocare ad uno stupidissimo gioco.
Decido di dedicare di nuovo la mia intenzione alla ragazzina e mentre iniziamo a salire una rampa di scale non perdo tempo a fissarle il fondoschiena.
Rallenta il passo, affiacandomi, mentre iniziamo a percorre un corridoio buio illuminato da qualche luce debole.
"Tu come ti chiami, ragazzina?" le chiedo curioso, voltandomi un secondo verso di lei.
Noto che anche lei è volta verso di me.
"Perché ti interessa?" mi risponde, buttando all'indietro una ciocca di capelli nera caduta davanti al suo viso, con sguardo di sfida e sorrisetto provocatorio.
"Se preferisci essere chiamata ragazzina, non sarà un problema per me." le rispondo, continuando a camminare.
"Sono Lola. È un piacere"
mi dice in modo cordiale, facendo un piccolo sorriso, per poi aumentare di nuovo il passo.
Cazzo, questa ragazza.
Continuiamo a camminare fino a quando non raggiungiamo una porta nera. Lola si ferma e si gira verso di me.
"Questo è lo studio del signor Njar." mi informa prima di bussare alla porta.
Mi lecco le labbra per ogni suo movimento inspiegabilmente sensuale e affondo una mano nella tasca. Ah, le donne.
Un "avanti" ci permette di entrare e ciò che trovo in quello studio mi fa ribaltare lo stomaco.
Due vetrine piene di liquori e whisky coprono le due pareti laterali, al centro della stanza c'è una scrivania in metallo nero e due piedi incrociati su di essa.
Una figura massiccia alloggia sulla poltrona rossa e mi sorride sghembo.
"Oh, buonasera lei dovrebbe essere il signor James." Si alza e una grossa pancia si evidenzia, fiera, nella camicia bianca.
Annuisco e indurisco lo sguardo per il modo in cui si lecca le labbra alla vista di Lola dietro di me.
Vecchio pedofilo, è una ragazzina.
"Grazie mille, Lola, per aver guidato il signor fin qui." le dice, grattandosi una guancia con la mano destra.
"Di nulla." risponde lei quasi intimorita, avanzando verso di me per mettersi al mio fianco. Poso nuovamente i miei occhi sulla figura di quel porco, che nel frattempo si è attaccato al collo di una bottiglia di liquore. Forse notando la mia impazienza o forse perché è quasi l'una di notte, decide di posare quella merda e dedicarmi la sua attenzione.
"Allora signor James, ecco qui le carte da firmare per acquistare il locale. Fra una settimana andrò via da questo posto di merda. I soldi?" Detto ciò, lo guardo afferrando dalle sue mani una cartellina verde contenenti i fogli da firmare. Li afferro dall'interno di essa e firmo, poggiando, dopodiché un'assegno sulla sua scrivania, fissandolo negli occhi.
"Perfetto, la voglio fuori di qui entro una settimana. È stato un piacere" detto questo, mi allontano dalla scrivania e con un duro "arrivederci" senza stringergli la mano, afferro Lola per un braccio e ci chiudiamo la porta alle spalle. Lola sospira di sollievo e si morde un labbro.
"Se non le dispiace, torno a lavoro." Mi saluta con una mano e mi supera, mentre a grandi falcate raggiunge le scale.
Mi fermo a fissarla e inizio a pensare che quella donna mi fotterà il cervello senza accorgermene.

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