6. La mia rivoluzione

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Sospiro profondamente.

La notte va avanti e anche quel pizzico di sonnolenza che mi era rimasto svanisce nel nulla.

Le lancette dell'orologio a muro della mia stanza scandiscono il tempo che passa, ticchettando quasi fastidiosamente. Perfino il rumore della pioggia battente, che di solito mi rilassa, ora mi fa saltare i nervi.

I pensieri che galleggiano nella mia testa sono troppi per permettermi di dormire.

Quasi rassegnata, decido di alzarmi per andare a prendere un bicchiere d'acqua. Cammino scalza fino alla cucina e mi procuro un bicchiere dalla credenza, poggiandolo sul tavolo. Prendo la bottiglia d'acqua dal frigo e me ne verso fino a riempire il bicchiere a metà.

Tutto un tratto, un rumore cattura la mia attenzione, facendomi sobbalzare.

Specialmente da quando vivo da sola, ho il terrore dei ladri. Il rumore, una specie di tonfo, proveniva dalla porta d'ingresso, come se qualcuno fosse lì dietro, magari intento a forzare la serratura.

Deglutisco e resto immobile al centro della cucina, stringendo forte il bicchiere d'acqua che ho in mano.

Non posso tornare a letto come se niente fosse, ma non avrò mai nemmeno il coraggio di aprire la porta e trovarmi faccia a faccia con qualche criminale.

Lentamente, poso il bicchiere sul tavolo e mi trascino in silenzio fin dietro la porta.

«Vai via o chiamo la polizia» dico dunque, con voce tremante e molto poco convincente.

Se il mio intento era intimorirlo, non sono molto sicura di esserci riuscita.

«Addirittura?» arriva la risposta dalla voce ovattata dietro la porta.

Ma io conosco perfettamente quella voce.

Mi mordo il labbro.

Il "ladro" è Alberto.

Guardo dallo spioncino -non so perché non l'ho fatto prima- e vedo solo i suoi bellissimi riccioli, perché ha la testa appoggiata contro la porta.

Sospiro e faccio lo stesso anch'io.
Chiudo gli occhi e appoggio anche le mani sulla superficie in legno che mi separa da lui.

«Che ci fai ancora qui?» chiedo con voce flebile.

«Non lo so, io... non voglio andare via da te un'altra volta.»

Mi mordo il labbro più forte. Se spingessi ancora un po' i denti, di sicuro sanguinerei.

«Non era nei miei piani che te ne accorgessi. Non so se me ne sarei andato, prima o poi, ma per ora mi stava bene rimanere appoggiato con la schiena alla tua porta. Anche se non è il massimo della comodità» mi spiega.

«Non hai i soldi per un albergo?»

«Non mi hai capito? Ho i soldi, potrei andare in qualsiasi posto e comprarmi qualsiasi cosa, ma quello che voglio è qui e non posso comprarlo.»

Rialzo la testa e guardo il soffitto sperando che i miei occhi non cedano alle lacrime.

«Tu che ci fai sveglia alle quattro del mattino, invece?» continua lui da dietro la porta.

«Bevo un bicchiere d'acqua» rispondo semplicemente.

«Senti, so di non avere nessun diritto di stare appostato dietro la porta di casa tua, specialmente a quest'ora, quindi... se mi dici di andarmene, giuro che me ne vado. Però devi dirmelo.»

«Altrimenti?»

«Altrimenti resto.»

Sbuffo.

Come la Pioggia sul VetroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora