3. Milano

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Alberto mi accompagna con una mano aperta appoggiata alla schiena per le strade di Milano. Mi ha chiesto di passeggiare, forse ha pensato che un po' d'aria fresca può aiutare a schiarirci le idee.

Abbiamo parlato un po' di come vanno le cose, accantonando la sua proposta per Sanremo almeno per il momento. Abbiamo parlato dei nostri dischi, dei nostri vecchi compagni, di come ci vanno le cose ultimamente. Nessuno di noi è voluto scendere troppo nel privato, forse perché sarebbe troppo imbarazzante, forse perché entrambi sappiamo quanto l'altro sia riservato...

Ma, almeno per quanto mi riguarda, io ho anche paura di conoscere la verità.

È inutile che menta a me stessa. Non importa che non ci vediamo da mesi, non importa che le nostre strade si siano divise, non importa che le cose non siano ovviamente più quelle di un tempo. Il pensiero di Alberto con una persona diversa da me mi infastidirebbe comunque.

Mentre camminiamo, lo osservo. Al bar non mi ero resa conto di ogni dettaglio.

Ad esempio, i vestiti.

Porta un cappotto grigio, un pullover bianco, un paio di jeans e delle scarpe da tennis. Ha anche una sciarpa color panna avvolta attorno al collo e, come me, ora ha gli occhiali da sole posati sulla fronte perché al momento il sole è completamente nascosto tra le nuvole. Non mi sento quindi a disagio con addosso il mio giaccone preferito, la mia felpa larga e verde, i jeans scuri e le Vans, ma c'è da dire che ad Alberto non è mai importato molto di cosa avessi addosso, e questa è una delle cose che mi ha fatto andare matta per lui, fin da subito. Potevo essere me stessa senza preoccuparmi di nulla, perché a lui piacevo così com'ero.

Ad un certo punto, suggerisce di sederci su una panchina poco distante. Ci accomodiamo e osserviamo la gente camminare, stando in un piacevole silenzio per un minuto.

«Ah, io ho qualcosa di tuo» dice poi, all'improvviso.

Aggrotto le sopracciglia mentre lo guardo sfilarsi qualcosa da un polso. È un elastico nero. Lo riconosco, è un mio elastico.

«Non te l'ho mai restituito» aggiunge, porgendomelo.

Io accenno un sorriso e scuoto la testa prima di rispondergli.

«Ma va' là, tienilo tu.»

«Sicura?»

«Ma sì, certo. Ne ho a migliaia uguali. E poi così a te resta qualcosa di me.»

Lui si lecca le labbra e deglutisce.

«Credi davvero che di te mi resti solo un elastico, Tish?» mi chiede poi, lanciandomi un'occhiata.

Sospiro e mi stringo nelle spalle.

«Spero di no» sentenzio dunque.

«Ma certo che no.»

Devo ammettere che il fatto che abbia tenuto quello stupido elastico nero con sé per tutto quel tempo mi ha fatto stringere il cuore dalla dolcezza.

«Comunque lo tengo volentieri» aggiunge lui, infilandoselo nuovamente al polso.

«Mi fa piacere.»

Lui fa un sospiro profondo prima di parlare di nuovo.

«Mamma mia, sembra passato un secolo.»

«Da quando ti ho dato l'elastico?»

Onestamente, non ricordo l'aneddoto preciso. Devo averglielo prestato perché, all'epoca della casetta blu, aveva i capelli praticamente più lunghi dei miei e quindi usava gli elastici per legarli più di quanto non facessi io.

Come la Pioggia sul VetroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora