8. Vecchi amici

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Quando rientro in cucina, con addosso la prima maglietta e i primi jeans trovati nell'armadio, trovo Alberto affacciato alla finestra, ancora a petto nudo. Lo affianco e gli porgo la sua maglia, che ho recuperato dalla camera da letto. Lui mi sorride per ringraziarmi prima di infilarsela al volo.

«Ti ho sentita parlare da sola, mentre eri di là» commenta, sistemandosi i capelli.

Faccio spallucce. Dovrei decisamente togliermi questo vizio.

«Quando parli da sola, è un brutto segno. E per giunta, parlavi anche in serbo, quindi direi che è un pessimo segno» continua, accennando un sorriso.

Guardo fuori dalla finestra, fuggendo dal suo sguardo.

«Sei rimasto fuori dalla porta tutto quel tempo? Cioè, non te ne sei mai andato da quando sei uscito ieri mattina?» chiedo, sviando il discorso.

«Più o meno. Ho ordinato del cibo d'asporto per pranzo e l'ho aspettato di sotto, all'entrata del palazzo. Avevo il terrore di rimanere chiuso fuori. Il che è successo, per la cronaca, quando ho ritirato la pizza per cena. Ho avuto un malinteso con il fattorino e quando ho visto il portone chiudersi, sono andato nel panico. Per fortuna, la signora del terzo piano che tornava a casa dal lavoro mi ha riconosciuto e non si è fatta problemi a farmi rientrare con lei. Anche se credo che il portiere si sia fatto un'idea strana su di me. Insomma, tu che penseresti di uno che non vive nel palazzo ma che ordina cibo da asporto per poi mangiarselo seduto sulle scale?»

«Avresti potuto citofonarmi.»

«Non mi avresti aperto.»

«Hai ragione, probabilmente no» ammetto.

C'è un momento di silenzio. Entrambi guardiamo il panorama che ci offre la finestra della cucina, anche se non è un granché.

«Ascolta, quello che è successo stanotte... insomma, ho agito senza pensare alle conseguenze. Io...» cerco di andare al punto, ma lui mi interrompe.

«Aspetta, ti prego, aspetta.»

Mi volto verso di lui, confusa.

«Cosa devo aspettare?» gli chiedo, alzando un sopracciglio.

Lui mi guarda a sua volta e abbozza un sorriso.

«Aspetta solo un altro po'» ribadisce.

E come faccio a non darti retta se mi guardi così?

Resto in silenzio mentre lui mi prende per mano e ci spostiamo insieme verso il divano, dove si siede per primo per poi trascinarmi sulle sue gambe. Io lo lascio fare, anche quando mi stringe a sé e mi guarda senza dire una parola.

Io e Alberto insieme sappiamo fare bene tre cose, a parte litigare: rincorrerci con lo sguardo, cantare e fare l'amore.

Quando invece iniziamo a discutere, va tutto a rotoli. Un po' perché entrambi facciamo fatica ad esprimerci, un po' perché entrambi siamo permalosi e un po' perché siamo il sole e la luna.

Evitare di affrontare i nostri sentimenti, ora, è il suo modo di proteggerci. Vuole restare un altro po' in questa bolla di tranquillità, ad immaginare che, almeno per adesso, tutto sia facile.

Come la Pioggia sul VetroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora