2. Il cavallo è nero

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Io non avevo un cavallo, papà continuava a ripetermi che erano animali bisognosi di troppe cure e che avevo già un gatto. Vanamente avevo cercato di fargli notare che i gatti non possono portarti lontano sul loro dorso: lui aveva risposto, incrollabile, che gli unici animali che avrebbero potuto vivere sotto il nostro tetto erano i gatti. Lui ne aveva dodici. Io uno solo: si chiamava Dracula, era nero come la notte, e in quel momento era in piedi su una mucchio di balle di fieno.

Lo salutai grattandogli il mento e solleticandolo su tutta la schiena. Per tutta risposta, lui iniziò a fare le fusa a volume altissimo e a rotolarsi tutto finché il suo pelo non si riempì di pezzettini di fieno.

Mi misi a chiamarlo con una serie di nomignoli affettuosi, mentre gli passavo la mano sul pancino peloso. Come capita piuttosto spesso con i gatti, Dracula era il nome "ufficiale" che era stato scelto per lui, ma in pratica io e papà lo chiamavamo con una pletora di altre parole, tra cui Brilky, Mucio, Neruzzo, Spruscio, Monello, Dentinone e Toh-Toh. Probabilmente quel gatto non aveva la benché minima idea di quale fosse il suo nome.

«Adesso devo andare, Mucio» Gli dissi, poggiando la punta dell'indice sul suo nasino nero «Tu fai il bravo, sì? E li prendi i topini? Li prendi?»

«Mao» rispose lui, facendo ondeggiare solo la punta della coda.

Gli posai un bacio leggero sulla testolina, fra le orecchie, ed entrai dalla porta di servizio sul retro. Papà era nel suo ufficio, intento a gestire le prenotazioni. Se ne stava seduto su una poltrona, con un taccuino in mano e la tavoletta magica PRENOT in grembo. Quest'ultima continuava a sputargli informazioni in faccia sottoforma di lettere di luce azzurrognola e fumo, velocissima.

Ci vuole una grande abilità, e molta esperienza, per usare senza intoppi quel vecchio modello di tavoletta, che otto volte su dieci rivelava le parole in ordine casuale e facendo apparire le scritte nell'aria per uno o due secondi. Ad esempio, se un cliente alla stazione magica più vicina spedisce la frase "Sarò lì alle sette e mezza, vorrei una stanza per due e una torta", la vecchia tavoletta PRENOT di papà potrebbe sputare fuori "Una stanza per torta e per lì, sarò le sette e mezza torta" ed è l'arduo compito del capotaverna quello di sbrogliare la matassa e capire che diavolo volesse dire. Un giorno, nel futuro, sarei dovuta esserne capace anch'io e il solo pensiero mi faceva rabbrividire.

Aspettai con calma che papà finisse di scrivere tre prenotazioni, dopodiché la tavoletta si spense e io mi avvicinai.

«Ehi, pa'»

«Ciao, Belarda» mi rispose lui, mettendo da parte l'apparecchiatura, sul tavolino basso e lungo di lato alla poltrona «Sei in pausa?»

«Non è arrivato nessun altro cliente dopo quattro mezzorchi» risposi «E Nihal se la sta cavando bene da sola. Sono andata a vedere se stavano arrivando altri clienti, perché ho sentito gli zoccoli di un cavallo, ma indovina?»

«Era un fantasma» disse lui, mortalmente serio

«No, papà! Era un cavallo»

«Beh, non mi sembra così straordinario» aggrottò le sopracciglia «Hai sentito un cavallo ed era un cavallo, no?»

«Sì! Ma non aveva nessun cavaliere sopra».

D'improvviso, la sua faccia tradì una strana preoccupazione

«Nessun cavaliere» disse, sollecito

«Già»

«E aveva una... aveva le bardature... ed era nero? Tutto nero?»

«Sì!» annuii «Possiamo tenerlo? Papà? E poi... come lo conosci?»

«Ho ricevuto una prenotazione tre giorni fa. Pensavo di averla interpretata male, perché non aveva molto senso ma... sembra proprio che invece abbia capito giusto. Ci hanno mandato un cavallo come ospite, starà da noi un mese e mezzo. Gli ho preparato una camera»

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