5 - Ti odio

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Abbiamo passato giorni a cercare nei libri di maledizioni qualcosa che ricordasse, anche vagamente, la mia situazione e il risultato è: niente.
Nichts.
Almeno questo ho imparato a dirlo.
Non so più dove sbattere la testa, che tra l'altro sta pure galleggiando nel moccico, visto che a causa di tutta quell'acqua ho preso il raffreddore. Per fortuna Jubra è brava con le erbe e mi ha preparato degli infusi che sono praticamente miracolosi.

«Magari non è una maledizione» suggerisce mia cugina, sdraiata per terra in mezzo ad una pila di libri.
«Se lui non è una maledizione non so cosa possa esserlo» borbotto.
«Non c'è nulla che parli di un nastro sangue o della perdita di poteri a causa di un umano, nè separati, nè tantomeno insieme...sei sicura sia un umano?»
«Al 100%»
Affondo la testa nel cuscino e sbatto i piedi come una bambina che fa i capricci.
«Non ci lavorare e basta, così risolvi il problema»
«Magari! Laura dice che è davvero un'opportunità da non farmi sfuggire, se va tutto bene dovrebbe essere il mio debutto in Germania»
«Ma sono così importanti i soldi?» chiede, tirandosi a sedere.
«Non è per i soldi, alla fine anche senza un euro posso fare praticamente tutto» ammetto «è che amo quello che faccio e vorrei arrivare lontano. In ogni angolo del mondo»
«Ti invidio un po'. Io come unica passione ho il caz-»
Il campanello suona interrompendo quella grossolana di mia cugina, ridendo vado ad aprire alla mia assistente, che è venuta per pranzare insieme e farmi una lezione di calma, in modo da non prendere a schiaffi D'Ambrosio domani.
M'impegnerò ma non prometto niente.

Il giorno seguente Laura mi chiama per informarmi che non verrà: si è beccata il mio raffreddore e ora ha la febbre.
Se non mi arrestano, devo passarla a trovare dopo il meeting.
Inspiro profondamente e mi ripeto più e più volte che posso mantenere la calma.
Posso farcela.
Dunque esco dalla mia macchina ed entro nel palazzo.
Quel maledettissimo palazzo di 17 piani, che devo fare a piedi perché la magia non funziona e perché ho paura che quel dannato ascensore cada e mi uccida.
I miei tacchi rimbombano sul marmo bianco delle scale, la mia andatura è pesante e per nulla elegante, come, invece, lo è di solito. Inoltre sto pure iniziando a sudare. E io odio sudare.
Maledette scale.
2019 e non abbiamo ancora riempito il mondo con quelle mobili?
Veramente?
Dov'è l'evoluzione?

Tengo il dito premuto sul campanello fino a quando la solita ragazza non mi apre la porta, nel suo sguardo appare subito la disperazione.
«Ho appuntamento con quel cretino di D'Ambrosio» dico respirando a fatica.
«Il signor D'Ambrosio non è ancora rientrato» accentua le prime parole per farmi capire di aver mancato di rispetto al suo datore di lavoro, la fulmino con lo sguardo e, visto che non mi ha ancora fatta accomodare, entro con una spallata.
«Il signor D'Ambrosio affronterà il suo peggior incubo se non si presenta oggi» ringhio, poi mi ricordo di respirare e contare fino a dieci come consigliava Laura.

E conto fino a 3600, come i secondi del suo fottuto ritardo.
Vado a cercare la domestica, il suono dei miei tacchi rimbomba a causa del silenzio tombale. Sono furiosa. E la mia rabbia aumenta quando capisco che la ragazza si sta nascondendo da me. Sono tentata di ribaltare la casa e scovarla con la magia.
«Dove sei finita?» sbraito «Dov'è finito lui?»
Annuso l'aria e sento l'odore di lacrime, quindi lo seguo e riesco a stanarla.
«Mi dispiace, signorina» piagnucola appena la trovo «Continua a dire che sta arrivando»
«È un'ora che dice che sta arrivando!» strillo isterica.
Vaffanculo a lui e alla Germania, si tengano le loro case.
«Io me ne vado» annuncio mentre raccatto con rabbia le mie cose.

Uscendo dal portone principale del palazzo, un biondo fin troppo famigliare cattura la mia attenzione.
D'Ambrosio!
Ora gli strappo la carotide con le unghie.
Scendo i pochi gradini che mi separano dal grosso marciapiedi e mi dirigo decisa verso il mio primo omicidio, che sta chiudendo la portiera di una Audi bianca e lucida.
Ho i capelli scompigliati, gli occhi sbarrati, il fiatone e le guance rosse per la rabbia, e per i 17 piani che ho appena fatto. Mi paro di fronte a lui con i pugni chiusi e le labbra serrate.
Subito un grosso omone, sceso dalla parte del guidatore, cerca di avvicinarsi a me, ma gli basta uno sguardo di fuoco per arrestarlo.
Sto per urlare come una pazza ma lui mi anticipa.
«Oh, eccola qui» mi sorride.
Cosa c'hai da sorridere?!
«Oh, eccola qui a chi?! Ricordami un attimo l'ora del nostro appuntamento, perchè l'Oh, eccolo qui dovrei dirlo io» sbraito isterica, mandando a quel paese le lezioni di calma.
Lui non si merita la mia calma!
«Mi hanno trattenut-»
«Ma vaffanculo, D'Ambrosio! Quando ti sarai deciso che vuoi davvero lavorare per il tuo appartamento chiama la mia assistente, ti farò fissare un appuntamento per MAI PIÙ NELLA VITA»
«Mi dispiace per il piccolo ritard-»
«Piccolo ritardo?! Io non sono riuscita neppure a pranzare per essere puntuale mentre tu h-»
«Neanche io» schiocca le dita come se avesse avuto una brillante intuizione: «Secondo me è la fame che parla»
«Cos-?» allargo le braccia esaperata, poi mi accarezzo le tempie: «Stai cercando di confondermi?»
«Andiamo a mangiare un boccone» dice candidamente, dopo che io l'ho aspettato per un'ora. Di nuovo.
«No» ringhio: «Devo lavorare»
«Però devi assolutamente lavorare per me» dice mentre rientra nella macchina: «Sali, così questa giornata può essere fruttuosa per entrambi»
Mi guardo intorno per capire se sono finita in una di quelle CandidCamera di pessimo gusto, ma non c'è nessuna telecamera.
Trattengo un urlo di frustazione, ma decido di seguirlo perchè voglio davvero sfondare in Germania.
Quindi salgo nella vettura e sbatto la portiera, poi l'energumeno si siede al posto del conducente e mette in moto.

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