6 - meno di te

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Da Martedì a Venerdì mattina passo il tempo a guardare tutti i cataloghi di materiali e campioni che ho in casa, non ci ho mai messo così tanto impegno per trovare prodotti che avessero tonalità compatibili. Mi affidavo alla magia: cambiavo i colori con uno schiocco di dita. Cosa  che non posso più fare, visto che Emanuele è repellente agli incantesimi.
«Greeee» mia cugina si butta su di me a peso morto «Almeno oggi usciamo? Quando hai finito il meeting»
«Non so a che ora finisco» la scanso «E lo sai che questo cliente mi toglie sempre tutte le energie, sarò stanchissima»
«Ma non usciamo da un sacco» si lamenta.
«J» la chiamo scocciata: «Quanto hai intenzione di rimanere?»
Lei si porta teatralmente una mano dalla bocca: «Mi stai cacciando?»
«Sì» e, anche se sto ridendo, sono seria. Adoro Jubra, ma è impossibile riuscire a lavorare con lei che vuole sempre fare festa.
«Vabbè» borbotta mentre si mette la mia giacca di pelle «Vado a trovare Laura»
Quindi sparisce in un battito di ciglia ed io inizio a prepararmi per il mio appuntamento di lavoro.

Al diciassettesimo piano sono già arrabbiata, so benissimo che D'Ambrosio non si presenterà, non so manco perchè mi sia presa il disturbo di venire e, soprattutto, di affrontare tutti questi gradini.
Ero tentata di teletrasportarmi direttamente nel suo ufficio ma, se per fatalità fosse entrato nel palazzo proprio in quel momento, probabilmente il mio teletrasporto avrebbe smesso di funzionare, mi sarei ritrovata a cadere dal quindicesimo piano e adesso sarei morta.
Forse sono un po' drammatica, le possibilità erano minime, però non me la sentivo di rischiare.
Suono il campanello esausta, la domestica che mi apre è sempre la solita, quella che tutte le volte sembra in procinto di piangere, già adesso i suoi occhi sono carichi di terrore. La guardo truce, indirizzando tutta la mia irritazione su di lei, mi ricompongo e assumo subito un tono dittatoriale.
«Che ci fai lì impalata? Vammi a prendere da bere, non lo vedi che sto morendo disidratata? Voglio dell'acqua a temperatura ambiente con due cubetti di ghiaccio non più grandi di tre centimetri» la ragazza s'incammina immediatamente e le grido dietro: «In un bicchiere cilindrico da 300 ml. Se non lo trovi lo vai a comprare»
Il mio giovane cliente, inaspettatamente, spunta dalla porta dello studio: «Gradirei che non terrorizzassi i miei dipendenti» m'informa ma nel suo viso aleggia un'aria divertita «L'altra volta la povera Katerina è scoppiata in lacrime»
«E così si chiama Katerina» ghigno diabolica.
«S-»
«KATERINA!» strillo: «Sei andata al pozzo per la mia acqua?!»
Emanuele nasconde un'impercettibile risata.
Cosa lo diverte tanto?
Rientra nell'ufficio, lo seguo chiudendomi la porta alle spalle, ma noto che non si siede, afferra il suo cappotto bianco e torna indietro, il suo corpo statuario si ferma a qualche centimetro da me, che sono proprio davanti all'entrata.
«Che fai?» chiedo confusa, quando le sue mani si posano sulle mie spalle, accorciando ulteriormente le distanze.
«Andiamo» risponde mentre mi fa ruotare di 180 gradi su me stessa.
In quel momento la domestica apre la porta, per non prendere la superficie in faccia indietreggio, scontro la schiena contro il petto del biondo e, involontariamente, gli tiro una testata sul mento.

«Ma che fai?» si china su se stesso, coprendosi la parte dolorante.
«La tua cameriera mi stava tirando la porta in faccia» mi giustifico con lui, prima di rivolgermi a lei: «Non ti hanno insegnato a bussare?»
«S-sono desolata» balbetta con il vassoio tremolante in mano.
«Perchè non la licenzi?» domando indicando la poveretta, che sbianca palesemente e comincia a farfugliare mille scuse.
«La vuoi lasciare stare?» mi sgrida, ma il suo tono è divertito.
Gli piace che sia stronza?
«Passami il ghiaccio» borbotta, tornando con la schiena dritta come un soldatino. Quindi infilo la mano nel bicchiere che mi ha portato Katerina, e gli appoggio un cubetto sul mento, la sua mano sfiora le mie dita mentre afferra il quadratino. Un brivido attraversa il mio corpo e ritiro subito i miei polpastrelli dal suo viso, poi li asciugo sulla sua camicia con tranquillità, come se fosse lo straccio della cucina.
Uno straccio con dei bei pettorali.
«Non sono mica il tuo asciugamano» si lamenta, ributtando il ghiaccio nel bicchiere, afferra la mia mano, che ancora lo stava tastando, e si dirige verso l'uscita.
«Ma dove vai?» chiedo confusa: «Devo farti vedere la palette»
«Me la fai vedere in macchina»
«E cosa mi hai fatto fare 17 piani a piedi?! Non potevo aspettarti giù?!» mi libero dalla presa e incrocio le braccia al petto.
Ora gli strappo tutti i suoi bei capelli.
«A piedi? C'è un ascensore, sai?»
«Intendi quel cubo metallico troppo pesante per rimanere a mezz'aria e che potrebbe cadere da un momento all'altro?»
«Esatto, proprio quello che prenderemo adesso» mi spintona fuori dall'appartamento ed io scappo verso le scale prima di finire trascinata dentro l'ascensore. La sua ombra su di me, mi fa capire che mi sta inseguendo, così affretto il passo mentre scendo gli scalini. La sua altezza che mi sovvrasta mi mette ansia e inizio a correre più veloce.

The Prince and The WitchDove le storie prendono vita. Scoprilo ora