Capitolo 2

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Viola

Sento l’impellente bisogno di piangere, nonostante sia già la quarta volta da quando mi sono alzata dal letto.
È come se cercassi di espellere qualcosa che rimane radicato dentro di me. Voglio strapparmelo di dosso ed allontanarmi per sempre da tutto questo. Ma cosa sono io senza la mia tristezza?
Rimarrei un guscio vuoto senz’anima. Forse è per questo che sono sempre triste, perché non ho ancora trovato un motivo.
Ricomincio a piangere, sento la faccia gonfia e rossa, mi fa quasi male.

Bussano alla porta, sicuramente mi diranno che devo smetterla, che i miei singhiozzi disturbano gli altri.
Mi chiedo perché nessuno venga a parlare con me, forse riuscirei a sentirmi meglio.

Mi scappa un urlo disperato e nascondo il viso dietro il cuscino nella speranza di attutire il suono. Se io sto male non significa che anche gli altri devono.
-Buongiorno Abigail, tutto bene?- Esplodo in un altro pianto, nessuno capisce che questo in fondo è il mio modo per stare bene.
Non so fare altro.
-Per favore vada via, ho bisogno di stare sola- la mia voce esce così roca e scortese, non è questa la prima impressione che volevo dare.
Sono un disastro, merito di stare da sola a lamentarmi.
-Sono qui per aiutarti- mormora sedendosi con cautela vicino a me.
-Chi è lei?-
cosa vuole ottenere da me?
Potrebbe approfittarsi delle mie debolezze.
-Sono Aaron, il tuo psichiatra. Ci siamo conosciuti ieri- non è vero, nessuno mi parla da giorni. Forse è per questo che piango.

L’uomo che siede sul mio letto si sistema i capelli lunghi all’indietro, non mi è per nulla familiare. Ha la barba appena accennata e gli occhi chiari, quasi vitrei.
Sento una scarica di dolore invadermi il corpo, d’istinto apro la bocca per dar voce alla mia sofferenza, poi mi rendo conto di avere la gola secca. Le mie corde vocali bruciano per lo sforzo, credo di essere arrivata al limite e questo non fa altro che farmi stare peggio.

-Ti va di parlare?- indica la scrivania con un cenno del capo.
Sospiro e stringendomi le spalle mi dirigo verso una delle due sedie che occupano i lati del semplice tavolo. Non riesco ancora a capire che cosa spera di ottenere. Non poter piangere mi innervosisce, costringe il mio corpo a stare sottopressione. Se non esterno subito i miei sentimenti credo che potrei scoppiare.
Fa così male.
L’uomo che si era allontanato in direzione della porta, prende posto dall’altro lato porgendomi un bicchiere d’acqua. Accenno un grazie, quasi commossa dalla sua gentilezza, per poi bere tutto in un sorso.
Non mi ero accorta di averne bisogno, nonostante la mia gola ne gridasse la necessità da ore.
-Posso sapere perché piangi?- inizio a singhiozzare in maniera frenetica e incostante, senza che io possa fermarlo. È come se stessi cercando l’aria, e con essa pure uno scopo.
-Non lo so- parlare mi riesce quasi impossibile in questo stato.
Io sono le mie lacrime, non riuscire a piangere per me equivale a non respirare.
- Io credo che tu pianga per un trauma che il tuo cervello ha rimosso al fine di proteggerti- suggerisce l’uomo davanti a me. Io desidero solo liberarmi da tutte queste emozioni.

Delusione, Pentimento, Vulnerabilità

-Come se ti fossi ritirata nel tuo guscio- aggiunge serio. È tutta colpa mia se sono così, ho creato la mia sofferenza in modo che potessi viverci. Eppure non mi sento al sicuro, sto così male.

Amarezza, Smarrimento, Impotenza

-Ricordi dove ti ha trovata la polizia?- le sue esortazioni accompagnate dalla sua espressione incoraggiante non fanno altro che mettermi ansia, la sento quasi bruciare sulla pelle.
La polizia? Ho fatto qualcosa di brutto?
Ho voglia di urlare, lanciare quei pochi oggetti che ci sono nella stanza e rotolare fino al primo angolo. Ma non posso farlo.
Perché? Mi accanisco contro i miei capelli e li tiro con forza, spero quasi che si stacchino. Me lo meriterei.
-Abigail, calmati. Se mi prometti di stare tranquilla, ti racconterò quello che so- con le mani che mi coprono il volto, sposto il mignolo in modo da poter osservare il mio interlocutore con discrezione da dietro la mia barriera improvvisata.
Annuisco cercando di sopprimere i singhiozzi. Scorgo l’accenno di un sorriso sul suo volto, prima che lui possa schiarirsi la voce.

Sfiducia, Infelicità, Disperazione

- La polizia ti ha trovato dentro lo sgabuzzino di un’abitazione, dei vicini avevano sentito il suono di alcuni spari. Quando la polizia ha fatto irruzione nella casa ha trovato te, priva di sensi, tra corpi senza vita- si ferma per un secondo, inclina la testa cercando di scorgere la mia reazione.

Abbandono, Frustrazione, Insicurezza 

-Ti cercavano da un mese Abigail, sei stata sequestrata durante una rapina finita male- il mio battito cardiaco accelera sempre di più, costringendomi ad aprire di poco le labbra per emettere un gemito.

Umiliazione, Fragilità, Confusione

-Tu ricordi qualcosa?- scuoto il capo con energia, mi sento così infelice. Non riesco mai a costruire qualcosa di buono, dove ci sono io abitano solo cose spiacevoli.
Ma io non ho fatto nulla per attirare tutto questo, voglio solo piangere.
Per me, per gli altri.
-I tuoi genitori hanno perso la vita, è per questo che piangi?-

Rimango a fissare il muro oltre le sue spalle, percepisco il dottor Aaron scavare alla ricerca di un motivo, della causa.
Eppure io non sento nulla, sono così piena di emozioni da esplodere, ma al tempo stesso vuota ed arida. È possibile una cosa del genere?
-Sei stata un mese tra le mani dei tuoi rapitori, in balia del loro controllo- sono ricca di emozioni, magari ha ragione e derivano da queste situazioni, ma io non sento niente. Sono finte, sto immaginando tutto. Sollevo lo sguardo adornato dalle ultime lacrime che mi rimangono, devo tenermele strette, è tutto quello che sono.

-Aaron, la verità è che io non ho motivo di esistere-
Non ho ancora capito perché piango.

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