Capitolo 6

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Rosso

È tutta la mattina che lo sento.
Mi martella la testa senza sosta, non fa altro. Nemmeno una pausa.
Se solo chiudesse il becco per qualche secondo, non avrei il desiderio di avvolgere le dita intorno al suo fragile corpicino e stringere con tutte le mie forze.
A quel punto otterrei il silenzio che voglio.

Continuo a girare in tondo, all'interno della mia minuscola stanza, cercando di alleviare questa sensazione.
Il frenetico movimento delle mie dita sulle tempie non aiuta a bloccare l'emicrania sul punto di nascere, anzi.
Pessima giornata.

Un bussare incerto si aggiunge all'elenco dei fastidi mattutini.
Come se tutto questo non fosse abbastanza.

-Abigail? Buongiorno- dallo spiraglio grande abbastanza perché la sua testa possa intrufolarsi, fa capolino un uomo. In fretta un brivido mi attraversa le ossa, lenendo per la prima volta la mia irritazione.
Mi sbagliavo. La giornata potrebbe aver appena preso una svolta.

-Non so chi sei, ma prego, entra- lo invito pure con un gesto, mentre lui annuisce, pensieroso.
Il mio sguardo lo segue per tutto il tempo: dal primo passo una volta entrato, durante tutto il percorso fino alla piccola scrivania, fino a quando non ha deciso di sedersi.
Rimango distante, le spalle poggiate al muro, ad ammirare il suo fisico.
Non è un modello, anzi, ha proprio l'aspetto di un uomo comune.
Ed è così che mi piacciono.
Quelli che fingono di non avere nulla di speciale, ma sotto sotto nascondono una verità ben diversa. È alto, un punto in più. Mentre camminava è stato un piacere far scivolare gli occhi lungo le sue gambe, avvolte in dei pantaloni marroni, taglio classico.

-Sono il dottor Aaron Rejin-
Non posso far a meno di portarmi un dito alle labbra, interessata.
La situazione procede sempre meglio.
-Un dottore, eh?-
-Sono qui per aiutarti-
Non fa altro che eccitarmi di più.
-Non indossi un camice- gli faccio notare, dispiaciuta.
-Non volevo spaventarti; e poi non lo indosso sempre, mi mette a disagio-
Così come il mio sguardo, del resto.
Lo vedo distogliere lo sguardo quando le mie occhiate diventano più esplicite, quando mi soffermo a leccare un po' di più le dita.
È così carino. Sì. Mi piace troppo. Lo voglio. Sarà mio.

-Ti va di sederti?- indica la sedia di fronte a lui, dall'altro lato del tavolo.
E ammirare da vicino quei lunghi capelli castani? Volentieri.
Mi stacco dal muro con delicatezza, senza mai distogliere l'attenzione o nascondere il sorriso soddisfatto.
Una volta al mio posto, incrocio le braccia sul tavolo, in modo da mettere in evidenza il seno.
-Allora, cosa posso fare per lei, dottore?-
Ho già qualche idea.
E le immagini appaiono nella mia testa con una notevole chiarezza.
Mi chiedo cosa nasconda sotto quella camicia scura...
-Tutto quello che vuoi, non voglio obbligarti. Devi sentirti a tuo agio con me. -
Oh, ma lo sono già.
Questo atteggiamento da angioletto è adorabile, ma scommetto che a letto è tutt'altro.
Inizio ad accarezzargli il dorso della mano, ho appena il tempo di assaggiare con il polpastrelli la sua pelle liscia che si ritrae.
Allora non sei stupido.
-Intendevo parlare, confrontarci...- nonostante l'imbarazzo iniziale, adesso sembra tornato a fare il finto tonto, per nulla turbato dal mio gesto.
Fa' il difficile.
Glielo concedo.
Ma solo perché quei capelli mi fanno impazzire. Come vorrei toccarli, stringerli fino a strapparli...

-E di cosa vuole parlare, dottore?- sottolineo l'ultima parola, sporgendomi in avanti.
L'uomo rimane immobile.
-Ti ricordi perché sei qui?-
Di scatto mi ritraggo, annullando tutta l'alchimia che c'era tra noi.
Serro le labbra, infastidita. Credevo che la sensazione di questa mattina fosse sparita.
-Non mi piace questa domanda-
Non so dove voglia andare a parare, ma sicuramente questo non è quello che voglio.
-Va bene, allora posso chiederti di raccontarmi qualcosa di te? Un ricordo della tua infanzia, un momento felice-
L'emicrania riaffiora, incoraggiata dalle sue parole.
Mi dà sui nervi.
Il suo aspetto imperturbabile, le sue domande del cazzo.

Sbatto una mano sul tavolo per fermare la crescita progressiva dei miei pensieri.
Ma non faccio altro che irritarmi di più.
-Che cosa vuole da me, dottore?-
È rimasto sorpreso dal mio gesto, ma a differenza mia, non si scompone.
-Solo aiutarti, Abigail-
Mi viene da ridere. E sono tentata di ridergli in faccia.
-Non sembra sulla buona strada-

La sua attenzione si sposta sul mio polso, ignorando le lamentele. 
-Come hai avuto quel nastro rosso?- adesso anche i miei occhi ricadono sul mio braccialetto.
Adesso cosa c'entra?
Sta cercando il modo migliore per darmi fastidio?
-È mio da sempre-
-Non ti ricordi come lo hai avuto?- mi incalza, sempre più curioso.
Non capisco a che gioco stia giocando.
È interessato a me o no?

-Perché dovrei? L'importante è che sia mio!-
Solo adesso mi rendo conto di star urlando. Solo dopo essere saltata giù dalla sedia e averla lasciata cadere con un tonfo.
Solo dopo aver incontrato lo sguardo del dottor Rejin.

L'uomo, ancora dietro il tavolo, sposta la manica che prima copriva il polso sinistro, lasciando intravedere un orologio scintillante.
Una ciocca di capelli castani gli ricade davanti al viso, e lui prontamente la riporta dietro l'orecchio.
Se fossi stata più vicina avrei potuto farlo io.
Idiota.

Fa un respiro profondo prima di iniziare.
-Questo orologio me lo ha regalato mio padre, appartiene alla mia famiglia da generazioni. Una famiglia di soldati. Me lo ha regalato a diciotto anni, prima di mandarmi in caserma, in modo che avessi sempre un compagno fedele.-
-Non sembra un militare, dottore-
Sebbene una parte di me stia sudando solo al pensiero di vederlo con una divisa. E un'arma in mano. Soprattutto quello.
Anche se i capelli corti forse non gli donerebbero così tanto.
-Nemmeno io ero molto convinto, forse non lo sono mai stato. Ho studiato medicina durante quegli anni e poi finalmente ho mollato. Nonostante fossi stato un vero soldato solo per qualche anno, mio padre mi ha comunque lasciato tenere l'orologio. Ecco come l'ho avuto.-
Si blocca, soffermandosi un secondo sull'oggetto che lo ha accompagnato da così tanto tempo.
Perché si è aperto con me dopo che gli ho urlato contro?
Significherà qualcosa.

-Com'è che hai trovato il tuo nastro?-
Ancora questa domanda.
Mi fa arrabbiare che la ponga o che io non sappia rispondere?
L'emicrania sembra sul punto di riaffiorare di nuovo.
Non vuole lasciarmi in pace.
-Mi è stato dato, non l'ho scelto io- le parole sfuggono dalle mie labbra, senza che possa controllarle.
Odio quando succede.
-Da chi?-
Proprio non riesce a smetterla con le domande invadenti. Se è così in vena, potrebbe pure chiedermi altro.
-Che importa? Continui a parlarmi di lei- ritorno vicino al tavolo, nel tentativo di distrarlo.
Deve capire di star camminando sul filo sottile della mia pazienza, e non so se sono disposta a concedergli altri errori.
-Sono qui per aiutare te, Abigail-
I suoi occhi sono così gentili e rivelatori, quasi da sembrare quelli di uno stupido.
Ma mi hai già dimostrato che non lo sei, vero dottore?
-Io non ho bisogno di aiuto-
-Sei qui per un motivo- adesso il suo tono è rassegnato, e questo mi irrita.
Che vorrebbe dire?
Che cazzo significa quell'espressione?

Stringo i pugni in modo da poter scaricare la tensione dei muscoli.
-Posso andarmene quando voglio-
In risposta, il dottore abbassa lo sguardo, nascondendosi per la prima volta.
Pensavo che avesse le palle per dirmelo.

Mi scaglio contro il comodino, rovesciandolo sul pavimento, vicino alla sedia.
È come se fossi stata colta da una scarica di energia che necessita di essere liberata.
E ne ho tutta l'intenzione.
Dò un calcio alla sedia, anche se il metallo è freddo e resistente, anche se fa un fottuto male.
È così che deve essere.
Poi me la prendo con il muro, sotto gli occhi tranquilli del dottore.
Non sobbalza mai, dopo nessun colpo.
Forse ha cercato di fermarmi, forse mi ha detto qualcosa.
Ma io sento solo i tonfi regolati dai miei pugni.
Tum.
Tum.
Tum.
Sembra quasi un ritmo ammaliante.
Non sento neanche il dolore.
Solo il suono. La musica.
Non so neanche dove mi trovo.

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